4 Settembre 2024

Sulla ammissibilità delle fusioni e scissioni c.d. negative

di Mary Moramarco
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L’ammissibilità di operazioni di fusione o scissione c.d. “negative” è questione da tempo controversa in dottrina. I nuovi orientamenti notarili del Comitato interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie affrontano il tema, distinguendo le soluzioni fornite a seconda che si tratti di operazioni contabilmente negative, ma positive a valori correnti, o di operazioni negative tanto a valori contabili quanto a valori correnti.

Nel motivare le nuove soluzioni, i notai si soffermano anche sul disposto dell’articolo 2504-bis, comma 4, cod. civ. e sulla sua interpretazione, aderendo alla tesi che ammette la genesi di un disavanzo da concambio e la conseguente possibilità di iscrizione dello stesso nel primo bilancio post operazione straordinaria con incremento dei relativi valori contabili.

 

Il problema e le posizioni assunte dalla dottrina e dalla giurisprudenza

Argomento da sempre molto dibattuto in dottrina è quello dell’ammissibilità (e legittimità) di operazioni di fusione o scissione c.d. “negative”, ossia caratterizzate dall’assegnazione alle società beneficiarie di complessi patrimoniali in cui è prevalente la presenza di elementi passivi rispetto a quelli attivi.

Invero, tale definizione merita di essere ulteriormente precisata, atteso che nel novero di detto concetto possono rientrare tanto le operazioni in cui il patrimonio che si intende trasferire sia solo contabilmente negativo, ma positivo a valori correnti[1], quanto quelle in cui il patrimonio sia negativo a valori sia contabili sia correnti. Nel primo caso (che di seguito verrà chiamato, per brevità, scissione o fusione “negativa contabile”), pur a fronte di un patrimonio netto contabile negativo, la presenza di plusvalori latenti consente comunque l’assegnazione ai soci della trasferente di una partecipazione nella beneficiaria, atteso che nel determinare il rapporto di cambio si deve aver riguardo unicamente ai patrimoni reali e non a quelli contabili[2]; al contrario, nel secondo caso (che di seguito verrà chiamato, per brevità, scissione o fusione “negativa reale”), in linea generale, l’assenza di un valore positivo anche reale non consente l’attribuzione di partecipazioni della beneficiaria (stante l’impossibilità di determinare alcun rapporto di cambio).

Tanto chiarito, va preliminarmente rilevato che, come noto, tanto la fusione quanto la scissione sono considerate dalla dottrina e giurisprudenza più recenti modalità di riorganizzazione societaria configuranti vicende meramente modificative del soggetto giuridico[3], caratterizzate, per un verso, dall’assegnazione di uno o più patrimoni o di loro parte in altri enti societari, preesistenti o di nuova costituzione (a seconda dell’operazione), e, per altro verso, dall’attribuzione delle relative azioni o quote ai soci delle prime[4] (fatto salvo oggi il nuovo caso di scissione con scorporo introdotto all’articolo 2506.1, cod. civ., ove le relative azioni o quote vengono assegnate alla stessa società scissa).

Più precisamente, il trasferimento patrimoniale in questione può attuarsi mediante immissione di uno o più patrimoni o di loro parte nel patrimonio di società preesistente (fusione per incorporazione e scissione a favore di beneficiaria già esistente) oppure di nuova costituzione (fusione in senso stretto e scissione a favore di beneficiaria creata attraverso l’operazione).

A fronte di detta assegnazione patrimoniale in favore della beneficiaria (e fatto salvo il caso della scissione con scorporo di cui si è appena detto), poi, vi è (ordinariamente) la correlativa attribuzione delle partecipazioni di quest’ultima ai soci della società trasferente, di modo tale da far sì che questi ultimi possano continuare a partecipare ai risultati delle attività esercitate con quei patrimoni mantenendo invariato il valore della loro partecipazione originaria[5], pur mutandone l’oggetto. Si è osservato al riguardo[6] che alcuni dei precetti legislativi che governano tali operazioni sembrano postulare implicitamente l’idea che i complessi patrimoniali così attribuiti debbano necessariamente avere valore positivo e che, dunque, queste portino a un incremento patrimoniale della società beneficiaria attuato (normalmente) tramite un aumento di capitale a servizio in una misura determinata in funzione del rapporto di cambio[7]. Da una parte, infatti, l’articolo 2506, cod. civ. prevede che ai soci della società scissa vengano assegnate partecipazioni della beneficiaria e dall’altro la previsione di cui all’articolo 2501-ter, comma 1, n. 3), cod. civ. – dettata in tema di fusione e applicabile anche alla scissione in virtù del rinvio diretto contenuto nell’articolo 2506-bis, cod. civ. – impone che detta assegnazione venga posta in essere sulla base di un principio di congruità del rapporto di cambio tra valore delle partecipazioni della trasferente e valore delle partecipazioni della beneficiaria[8].

Sotto il profilo contabile, poi, si è ulteriormente rilevato, con particolare riguardo alle sole ipotesi di operazioni di fusione e scissione “negative contabili”, che ulteriore elemento che parrebbe rappresentare un limite alla loro fattibilità andrebbe rinvenuto nell’articolo 2504-bis, comma 4, cod. civ. (norma applicabile anche alla scissione per effetto del rinvio diretto contenuto nell’articolo 2506-quater, comma 1, cod. civ.), che richiede che nel primo bilancio post fusione gli elementi dell’attivo e del passivo siano iscritti ai valori risultanti dalle scritture contabili alla data di efficacia della fusione medesima[9]. Secondo una parte della dottrina[10], infatti, tale previsione andrebbe interpretata nel senso che la società beneficiaria, dovendo ricevere le attività e le passività ai medesimi saldi rilevabili dalla contabilità della società trasferente, non potrebbe modificarli per adeguarli al loro valore corrente, con la conseguenza che la società beneficiaria, anche in caso di attribuzione di un patrimonio solo contabilmente negativo ma positivo a valori correnti, dovrebbe essere tenuta a fronteggiare detta perdita mediante una speculare riduzione del proprio patrimonio netto[11], ferma restando la rilevanza di tale differenza ai fini della determinazione del rapporto di cambio secondo il criterio di congruità. Secondo questa impostazione, dunque, non potendovi essere l’emersione di avanzi e disavanzi da concambio, la fattibilità di tali operazioni dipenderebbe dalla capacità della beneficiaria di assorbire la perdita con il proprio patrimonio preesistente. Viceversa, l’attribuzione ai soci della società trasferente di partecipazioni della beneficiaria dovrebbe essere attuata tenendo conto del plusvalore effettivo del patrimonio assegnato, in virtù del principio di congruità del rapporto di cambio, che impone l’assegnazione ai nuovi soci di valori coerenti con il reale patrimonio apportato.

Ciò posto, viene, altresì, osservato in contrario che nessuna disposizione di legge vieta la fusione o la scissione quando il patrimonio interessato dal trasferimento (o uno degli stessi) sia caratterizzato dalla prevalenza di elementi passivi sugli attivi e che, del resto, una tale possibilità è espressamente consentita dal Codice della crisi laddove sia coinvolta una società soggetta a procedura di liquidazione giudiziale o di risoluzione della crisi[12]. Inoltre, in antitesi rispetto all’impostazione tradizionale che vede nell’articolo 2504-bis, comma 4, cod. civ. un ostacolo all’iscrizione di plusvalori derivanti da disavanzi da concambio, si è affermato che elemento imprescindibile della scissione è il trasferimento di valori economici positivi, a prescindere dal fatto che gli stessi abbiano un valore contabile negativo e che, in tal caso, sarebbe possibile iscrivere un disavanzo da concambio nell’attivo dello Stato patrimoniale della società beneficiaria, atteso che l’articolo 2504-bis, comma 4, secondo periodo, cod. civ., prevede che l’avanzo venga iscritto nel patrimonio netto mentre il disavanzo sia imputato agli elementi dell’attivo e del passivo e per la differenza ad avviamento[13]. Il che, dunque, consentirebbe di ammettere la fattibilità di operazioni “negative contabili” anche in favore di società beneficiaria che non avesse riserve sufficienti per assorbire la perdita derivante dall’assegnazione del netto negativo contabile o anche a favore di una società beneficiaria di nuova costituzione.

Ebbene proprio questa pluralità di considerazioni di tenore opposto ha determinato il proliferare nel corso degli anni di differenti orientamenti e posizioni in merito alla legittimità delle operazioni tanto di fusione quanto di scissione c.d. negative[14]. Il dibattito dottrinale apertosi sul punto ha mostrato, però, via via sempre maggiori aperture in favore dell’ammissibilità di dette operazioni, pur essendo maturata negli studiosi della materia l’idea che sia necessario distinguere le diverse fattispecie a seconda che il patrimonio assegnato sia negativo solo a valori contabili o lo sia tanto a valori contabili quanto a valori correnti, non potendosi assimilare le 2 fattispecie sotto il profilo delle soluzioni giuridiche adottate.

 

L’(altalenante) evoluzione degli orientamenti notarili in materia di fusioni e scissioni “negative

La stessa dottrina notarile che si è occupata del problema ha via via modificato il suo approccio al tema, fornendo altalenanti soluzioni esegetiche variamente articolate. Al riguardo basti osservare che, subito dopo l’entrata in vigore della Riforma societaria, la massima n. 72 della Commissione società del Consiglio notarile di Milano del 15 novembre 2005, si era da subito espressa in senso favorevole all’ammissibilità dell’imputazione a bilancio del disavanzo da concambio, a norma dell’articolo 2504-bis, comma 4, seconda frase, cod. civ., tutte le volte in cui non vi fossero sufficienti riserve (nel patrimonio netto della beneficiaria) per “coprire” la differenza tra il capitale sociale della trasferente ante fusione e l’aumento di capitale sociale deliberato dalla beneficiaria a servizio dell’operazione in misura necessaria per soddisfare il rapporto di cambio.

In tal caso, aveva cura di precisare la massima, atteso che siffatta imputazione del disavanzo da concambio comporta la formazione ex novo di capitale sociale non coperto da valori già risultanti nelle scritture contabili e nei bilanci delle società partecipanti all’operazione, è necessario che venga redatta anche la relazione di stima del patrimonio della società incorporata a norma dell’articolo 2343 cod. civ., la quale può essere affidata agli esperti incaricati della relazione sulla congruità del rapporto di cambio, in analogia a quanto dispone l’articolo 2501-sexies, comma 7, cod. civ..[15]

Così facendo la massima fissava, dunque, 2 principi:

  1. l’ammissibilità di fusioni o scissioni “negative contabili” in favore di società (preesistente o di nuova costituzione) anche laddove il netto patrimoniale di queste non fosse in grado di assorbire le perdite derivanti dal trasferimento del patrimonio negativo;
  2. la necessità di periziare il patrimonio trasferito nel rispetto delle regole dettate in tema di conferimenti in natura nelle società di capitali.

Con la successiva massima L.E.1 del Comitato interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie del 2008 (oggi abrogata e sostituita dai nuovi orientamenti L.E.18 e L.E. 19) si è avuto un parziale arretramento di posizioni, atteso che tale orientamento ha affermato l’ammissibilità della fusione e della scissione “negative contabili” alla duplice condizione che:

  1. la società beneficiaria fosse preesistente;
  2. l’operazione dovesse alternativamente attuarsi:
  • mediante riduzione delle riserve della beneficiaria (ovvero, in carenza di riserve capienti, del capitale) in misura tale da assorbire il netto contabile trasferito;
  • mediante rilevazione della minusvalenza.

In altri termini, quindi, a mente di questo secondo orientamento era da reputarsi ammissibile l’operazione “negativa contabile” solo in caso di beneficiaria preesistente in grado di assorbire la minusvalenza contabile con il proprio patrimonio. Inoltre, la massima aveva negato tout court l’ammissibilità di una scissione o fusione “negativa reale”, sulla scorta dell’insussistenza in tal caso di alcun rapporto di cambio[16].

Con la massima L.E.9, pubblicata nel 2010, il Comitato Interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie sembrava, poi, avere dato ulteriore conferma alla soluzione della fattibilità delle operazioni negative contabili solo in favore di beneficiaria preesistente con patrimonio in grado di assorbire la perdita contabile. Con detta massima, infatti, i notai avevano escluso, anche sotto il profilo contabile, la possibilità di dar vita a rivalutazioni (o svalutazioni) di poste di bilancio o a creazione di nuove poste da avviamento in deroga alle regole sostanziali del diritto societario[17] e tale rilievo era parso orientato ad avallare la posizione di quella parte della dottrina che aveva escluso la possibilità di formazione di disavanzi da concambio imputabili a elementi dell’attivo e del passivo e per la differenza ad avviamento.

Un ulteriore revirement (anche se parziale) di questa posizione si è, poi, avuto con le massime pubblicate nel luglio 2016 dal Consiglio notarile di Roma, Velletri e Civitavecchia, che hanno nuovamente mostrato un’apertura sia in favore dell’iscrizione dei plusvalori derivanti dalla rivalutazione del patrimonio netto assegnato, sia in favore della scissione “negativa reale”. Il primo dei 2 principi elaborati dal Consiglio notarile di Roma, con riferimento al caso di scissioni “negative contabili”, ha ammesso, infatti, la fattibilità di detta operazione in favore di beneficiaria preesistente non solo laddove questa sia in grado di assorbire il netto negativo assegnatole[18], ma anche nel caso in cui si proceda a rivalutazione del netto assegnato a valori correnti sulla base di una perizia di stima redatta ai sensi dell’articolo 2343, cod. civ. (o 2343-ter, comma 2, lettera b), cod. civ. o 2465 cod. civ.)[19].

Il punto di novità della posizione assunta dai notai romani rispetto al precedente orientamento del Triveneto risiede, quindi, nell’aver nuovamente ammesso (analogamente a quanto già faceva la massima n. 72 della Commissione società del Consiglio notarile di Milano), la possibilità di rivalutare a valori correnti il netto contabile negativo assegnato, di modo tale da generare una plusvalenza iscrivibile in bilancio e da consentire la fattibilità dell’operazione anche in favore di beneficiaria con patrimonio non capiente o di beneficiaria di nuova costituzione. Ciò (di nuovo) all’unica condizione di sottoporre a perizia giurata di stima il patrimonio oggetto di assegnazione, applicando (in via analogica) la disciplina dettata in materia di conferimenti in natura nelle società di capitali.

Con la seconda massima, invece, il Consiglio notarile di Roma, Velletri e Civitavecchia ha ammesso la fattibilità dell’operazione di scissione “negativa reale”, seppur con le limitazioni dovute alla necessità di rispettare, per un verso, il principio di congruità del rapporto di cambio e, per altro verso, il profilo patrimoniale della società beneficiaria. A mente di questo orientamento, infatti, è ammissibile tale operazione ove ricorra almeno una delle seguenti situazioni:

  1. non si debba procedere a concambio (in quanto si tratti di società scissa interamente posseduta dalla beneficiaria o altre ipotesi assimilabili); oppure, in caso di scissione parziale
  2. si assegnino in concambio partecipazioni della scissa in favore dei soci della beneficiaria preesistente[20]; oppure, in caso di scissione totale
  3. si assegnino in concambio ai soci della beneficiaria preesistente, assegnataria del patrimonio negativo, partecipazioni nell’altra o nelle altre beneficiarie. Inoltre, è necessario sotto il profilo patrimoniale, che il patrimonio netto della beneficiaria sia in grado di assorbire il netto negativo assegnatole senza incorrere nella situazione di cui all’articolo 2447, cod. civ. o 2482-ter, cod. civ. o, alternativamente, che si tratti di una scissione a scopo meramente liquidatorio[21].

Va osservato sul punto che, nelle motivazioni formulate in relazione a detti orientamenti, sono gli stessi notai romani a chiarire che la ratio che sta alla base di dette posizioni va rinvenuta nel superamento dell’opinione tradizionale che rinviene la causa delle operazioni nel trasferimento di ricchezza, laddove questi affermano che “l’elemento caratterizzante della scissione è l’intento di porre in essere un processo riorganizzativo delle società partecipanti e non quello di operare un trasferimento di ricchezza”.

 

Le massime del Triveneto

A valle di questo travagliato percorso esegetico e argomentativo si pongono da ultimo le 2 massime L.E.17 e L.E.18 elaborate dal Comitato Interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie[22], che, nel fornire una ulteriore chiave di lettura al problema delle operazioni “negative”, mostrano maggiori aperture in favore dell’ammissibilità di dette operazioni, opportunamente differenziando (come già era accaduto con le massime del Consiglio notarile di Roma) le soluzioni a seconda che si tratti di operazione “negativa contabile” o di operazione “negativa reale”.

Per un verso, infatti, la massima L.E.17 conferma la fattibilità dell’operazione “negativa contabile” senza limiti, affermando l’ammissibilità della scissione e della fusione “mediante l’assegnazione ad una o più beneficiarie (sia preesistenti che di nuova costituzione) di un insieme di elementi patrimoniali aventi valore contabile complessivo negativo qualora quello corrente sia positivo”. Sotto il profilo patrimoniale, poi, l’orientamento de quo individua 4 modalità attraverso cui poter realizzare l’operazione, tra le quali spicca[23] la possibilità di soddisfare il concambio attraverso l’emissione di nuove azioni derivanti da un aumento gratuito del capitale con utilizzo, per la parte non coperta da riserve disponibili, dell’imputazione a elementi dell’attivo e del passivo del disavanzo da concambio ai sensi dell’articolo 2504-bis, comma 4, cod. civ., previa valutazione in tal caso del patrimonio assegnato mediante redazione di apposita perizia di stima. Specularmente, sotto il profilo contabile, la massima precisa che in caso di beneficiaria di nuova costituzione o di beneficiaria preesistente che non abbia riserve in grado di assorbire la perdita, emergerà un disavanzo da concambio da imputare agli elementi dell’attivo e del passivo con conseguente aumento dei valori contabili.

È evidente, quindi, in questo orientamento l’abbandono senza riserve della tesi che nega la fattibilità dell’operazione “contabile negativa” tutte le volte in cui il patrimonio della beneficiaria non abbia riserve sufficienti per coprire il netto negativo assegnatole in considerazione della necessità di rispettare il principio della conservazione dei dati contabili (c.d. pooling of interest method), in favore dell’ammissibilità di tale operazione all’unica condizione di rispettare il procedimento previsto dagli articoli 2343 e 2465, cod. civ. per i conferimenti in natura. Il che, in altri termini, sta a significare che secondo i notai del Triveneto l’operazione “negativa contabile” è sempre ammissibile, tanto in favore di beneficiaria preesistente, quanto di nuova costituzione, e tanto nel caso in cui la beneficiaria preesistente abbia riserve in grado di assorbire il netto negativo assegnatole, quanto nel caso in cui non ne abbia, purché il patrimonio netto assegnato (e, dunque, in definitiva, il plusvalore derivante dalla valutazione a valori correnti) formi oggetto di una perizia giurata di stima di modo da poter iscrivere il disavanzo da concambio nel primo bilancio post operazione straordinaria.

Per altro verso, la massima L.E.18 si concentra, invece, sulla differente fattispecie della fusione o scissione “negativa reale”, giungendo ad ammetterne la fattibilità, ma solo in favore di beneficiaria preesistente[24] e purché attuata nel rispetto di una serie di condizioni, quali precisamente:

a) il rispetto dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società coinvolte, se operative, ovvero che l’operazione sia strumentale alla loro liquidazione, se società in scioglimento;

b) la possibilità di determinare un rapporto di cambio congruo ovvero che non sia necessario determinare alcun rapporto di cambio perché si tratta di operazione semplificata;

c) che l’assegnazione negativa a una beneficiaria positiva non determini la riduzione del patrimonio netto di questa al di sotto del limite previsto dagli articoli 2447 o 2482-ter, cod. civ..

Come già anticipato, opportuna è la distinzione delle diverse fattispecie e, conseguentemente, delle differenti soluzioni prescelte, atteso che nelle operazioni “negative reali” non solo il valore contabile, ma anche il valore reale del patrimonio netto è negativo. Sicché in dette situazioni risultano necessariamente coinvolti interessi di soggetti che, invece, generalmente non assumono rilievo nelle operazioni “negative contabili[25].

Il che porta i notai del Triveneto ad affermare che in queste operazioni occorre che vengano rispettate non solo le regole che presiedono alla corretta formazione del capitale sociale e alla congruità del rapporto di cambio, ma, altresì, i precetti dettati in tema di corretta gestione societaria e imprenditoriale e, quindi, in ipotesi di operazioni infragruppo, i precetti imposti in materia di responsabilità da attività di direzione e coordinamento, poiché la fattispecie in esame impone di rinvenire un’adeguata giustificazione dell’operazione anche sotto il profilo dell’interesse della società beneficiaria del netto negativo[26].

Tuttavia, mentre le regole a presidio della integrità del capitale e della congruità del rapporto di cambio sono tali da poter consentire una valutazione prognostica di tipo oggettivo circa la sussistenza delle stesse, poiché basata su dati numerici; viceversa, la condizione che impone che l’operazione rispetti i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società coinvolte pare rappresentare un elemento di difficile valutazione e ponderazione, ove con ciò si pretenda di demandarne al notaio l’apprezzamento circa la sua effettiva sussistenza[27]. Non è ben chiaro, infatti, il senso del riferimento della massima alla necessaria presenza di tale condizione, soprattutto con riguardo al soggetto che dovrebbe essere deputato a valutarne la effettiva ricorrenza. Laddove, invece, con ciò la massima intendesse semplicemente affermare il principio della responsabilità dell’organo amministrativo in materia, in quanto organo titolare esclusivo del potere di iniziativa ad avviare tali operazioni, un simile riferimento risulterebbe comunque ultroneo e tautologico, non essendo, invero, dubitabile che anche tali operazioni, alla pari di ogni altra materia di competenza degli amministratori, debbano da questi essere poste in essere nel rispetto delle regole di corretta gestione societaria e imprenditoriale imposte dall’ordinamento.

Sebbene espresso in maniera non chiarissima, il riferimento a tale condizione potrebbe essere anche apprezzato come riferito a un obbligo di specifica motivazione[28] della operazione con riferimento alla sussistenza dell’interesse sociale di ciascuna delle varie società partecipanti all’operazione (trattandosi di operazione potenzialmente lesiva dei diritti patrimoniali della società beneficiaria del netto negativo), benché vada osservato in proposito che, in caso di operazioni infragruppo, sugli amministratori gravi già un obbligo di motivazione analitica della decisione consiliare nel momento in cui questa sia stata assunta sotto l’influenza della società esercente attività di direzione e coordinamento[29].

 

[1] Il che può accadere, come noto, nell’ipotesi in cui vi siano eventuali plusvalori latenti e inespressi negli elementi che compongono il patrimonio oggetto di trasferimento nell’ambito dell’operazione straordinaria.

[2] Il principio di congruità del rapporto di cambio impone, infatti, di determinare il concambio in funzione del valore effettivo del patrimonio assegnato. In questo senso anche la massima L.D.1 del Comitato interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie, secondo cui “Dal punto di vista dogmatico le stesse integrano delle vicende evolutive delle società coinvolte e non anche dei trasferimenti di ricchezza tra soci. A ciò consegue che il rapporto di cambio determinato dagli amministratori, ai sensi dell’art. 2501-ter, n. 3), c.c., deve essere formalmente congruo. Gli amministratori sono ovviamente liberi di svolgere le più ampie e personali valutazioni in ordine alla determinazione del rapporto di cambio, anche attribuendo rilevanza ad elementi extrapatrimoniali o di fatto. Quello che deve considerarsi non conforme allo schema tipico della fusione e della scissione è l’espressa previsione di un rapporto di cambio non congruo”.

[3] Come noto, nel corso del tempo il dibattito sulla natura giuridica delle 2 operazioni straordinarie ha visto dividersi gli studiosi tra i fautori della teoria traslativa, i sostenitori della teoria modificativo-evolutiva e coloro invece optavano per la teoria modificativo-traslativa. Sul punto si vedano, tra gli altri P. Ferro Luzzi, “La nozione di scissione”, in Giurisprudenza commerciale, 1991, pag. 1066 e ss.; G. Scognamiglio, “Le scissioni”, in “Trattato delle società per azioni”, diretto da G. E. Colombo e G.B. Portale, Torino, 2004, pag. 200 e ss.; D. Galletti, “Scissione negativa e valutazione dell’insolvenza della società scissa e di quella beneficiaria”, in Ius societario, 23 aprile 2014. Pare ormai definitivamente superata la tesi che ricollegava alla fusione e alla scissione un effetto estintivo della società fusa, incorporata o scissa (C. Santagata, “La fusione tra società”, Napoli, 1964, pag. 93; U. Belviso, “La fattispecie della scissione”, in Giurisprudenza commerciale, 1993, pag. 525 e ss.; E. Simonetto, “Trasformazione fusione delle società. Società costituite all’estero, Art. 2498-2510”, in “Commentario cod. civ.”, a cura di A. Scialoja e G. Branca, 1976, pag. 230; G. Ferrara, F. Corsi, “Gli imprenditori”, Milano, 1994, pag. 879; A. Serra, “La trasformazione e la fusione”, in “Trattato di diritto privato”, diretto da P. Rescigno, 1985, pag. 340. In giurisprudenza si veda Cassazione, SS.UU. 8 febbraio 2006, n. 2637, secondo cui “la fusione tra società, prevista dagli artt. 2501 c.c. e segg., non determina, nella ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria; ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione. Il fenomeno non comporta, dunque, l’estinzione di un soggetto e (correlativamente) la creazione di un diverso soggetto; risolvendosi (come è già stato rilevato in dottrina) in una vicenda meramente evolutiva-modificativa dello stesso soggetto, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo”. Nello stesso senso in materia di scissione Cassazione n. 30246/2011 e n. 13762/2014. In favore della tesi modificativo-traslativa della scissione Cassazione, SS.UU., n. 23225/2016. Nella giurisprudenza di merito si veda Tribunale Roma, 7 novembre 2016; Appello Perugia, 12 luglio 2012.

[4] Occorre precisare in merito che sussistono delle peculiari fattispecie in cui può mancare o essere limitata l’assegnazione di partecipazioni della beneficiaria ai soci della società trasferente. Per una panoramica delle ipotesi cfr. G. Scognamiglio, “Le scissioni”, cit., pag. 313.

[5] Così G. Rescio, “Fusioni e scissioni negative”, in Rivista di diritto societario, n. 3/2018, pag. 537. Sul punto anche G. Scognamiglio, “Le scissioni”, cit., pag. 189, secondo cui, con riferimento alla scissione, al centro del fenomeno vi è “l’intento dei soci della società scissa, titolari in senso sostanziale del patrimonio trasferito, di continuare l’attività, pro parte, nelle società beneficiarie, ovvero nella stessa scissa (in questo caso allo scopo di separarsi da altri soci che la continuano, invece, nella o nelle beneficiarie)”. G. Oppo, “Fusione e scissione, delle società secondo il d.lgs. 1991 n. 22: profili generali”, in Rivista di diritto civile, 1991, pag. 510, il quale rileva che è “essenziale per la qualificazione di fusione e scissione è infatti l’imputazione del risultato sostanziale dell’operazione, dell’effetto attivo corrispondente alla (se non corrispettivo della) attribuzione ad altri del patrimonio o di quote del patrimonio sociale. Si estingua o no la società fusa o scissa, questo risultato appartiene ai soci”.

[6] L’osservazione formulata G. Rescio, “Fusioni e scissioni negative”, cit., pag. 537 viene ripresa anche dal Comitato interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie nella massima L.E.18, in cui si rileva al riguardo che “sussistono diverse ipotesi nelle quali le operazioni negative sono idonee a soddisfare interessi meritevoli di tutela nel rispetto dell’elemento causale proprio delle fusioni e delle scissioni, ossia: “la riorganizzazione delle società coinvolte” al fine della prosecuzione dell’attività o di favorire la liquidazione”.

[7] Dovendosi precisare al riguardo che, in realtà, l’aumento di capitale rappresenta solo una delle possibili modalità attraverso cui poter assegnare ai soci della società trasferente le partecipazioni della società beneficiaria, ben potendo ciò avvenire anche attraverso l’assegnazione di azioni proprie già in portafoglio, attraverso l’emissione di azioni prive di valore nominale o la redistribuzione di azioni del capitale della società incorporante.

[8] Proprio muovendo da questa norma una parte della dottrina ha negato in passato la fattibilità delle operazioni di fusione o di scissione in tutti quei casi in cui non fosse possibile procedere alla determinazione di un rapporto di cambio per via della assegnazione di patrimoni negativi. Sul punto in dottrina U. Belviso, “La fattispecie della scissione”, in Giurisprudenza commerciale 1993, pag. 526; S. Accettura, “Profili giuridici della scissione”, in “Le operazioni straordinarie”, a cura di A. Tamborrino, Milano, 2004, pag. 162 (nota 26); G. Buffelli, M. Sirtoli, “Le operazioni straordinarie delle società”, Milano, 2004, pag. 173 e ss. In giurisprudenza, ante riforma, cfr. Tribunale Verona, 6 novembre 1992, secondo cui “la causa dell’istituto giuridico della scissione va individuata nel trasferimento di attività e passività della società ad una o più società in cambio dell’attribuzione di azioni o quote della beneficiaria ai soci della società scissa per somma pari alla differenza tra l’attivo e il passivo trasferito, escludendosi dunque che possa utilizzarsi lo schema normativo della scissione nell’ipotesi in cui sia previsto il trasferimento dei beni senza assegnazione di quote”.

[9] Sul punto anche A. Busani, C. Montinari, “La scissione con apporto di valore patrimoniale negativo”, in “Società”, 2011, pag. 649.

[10] L. G. Picone, “Sub art. 2506 bis”, in “Commentario alla riforma delle società, Trasformazione, fusione e scissione”, a cura di L. A. Bianchi, Milano, 2006, pag. 1087; G. Scognamiglio, “Le scissioni”, cit., pag. 313 e ss..

[11] G. Scognamiglio, “Le scissioni”, cit., pag. 313, la quale osserva che il principio di continuità dei valori contabili non consente l’emersione di avanzi e disavanzi da concambio, ma solamente avanzi/disavanzi da annullamento, deducendo da ciò che “se, ai fini del concambio, ad alcuni beni della scissa assegnati alla preesistente beneficiaria deve essere attribuito un valore superiore a quello di iscrizione nella contabilità della società scissa, tale plusvalenza (benché, appunto, rilevante ai fini del concambio) non potrà essere iscritta nel bilancio post scissione della società beneficiaria: correlativamente, l’aumento di capitale (più eventuale sovrapprezzo) della beneficiaria, conseguente al trasferimento dei beni della scissa, non potrà essere superiore alla sommatoria dei valori di iscrizione dei beni (al netto dei debiti) nella contabilità della scissa (c.d. ‘‘valore di carico’’)”.

[12] Tale osservazione, formulata da G. Rescio, “Fusioni e scissioni negative”, cit., pag. 537, viene ripresa anche dal Comitato interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie nella massima L.E.17.

[13] Sul punto M. Tamburini, “Sub art. 2504 bis c.c.”, in “Il nuovo diritto delle società”, a cura di A. Maffei Alberti, pag. 2563, secondo cui un argomento a favore di questa tesi risiederebbe nel fatto che “la nozione diacquisto a titolo oneroso”, di cui all’art. 2426 n. 6) cit., introdotto dal legislatore del 1991, risulta ben più ampia di quella di “prezzo pagato” contenuta nel previgente art. 2447, e dunque può intendersi comprensiva anche del caso in cui il disavanzo trovi la sua origine non nell’annullamento di partecipazioni precedentemente acquisite, ma in un aumento di capitale al servizio del rapporto di cambio”. Così anche la massima n. 72 della Commissione società del Consiglio notarile di Milano del 15 novembre 2005.

[14] L’unica pronuncia della giurisprudenza di legittimità sul tema risulta quella assunta da Cassazione n. 26403/2013, secondo cui “La scissione c.d. negativa, che si realizza ove il valore reale del patrimonio assegnato alla beneficiaria sia negativo, non è consentita poiché non lascia sussistere alcun rapporto di cambio, con conseguente impossibilità di distribuzione di azioni”.

[15] In alternativa a questa opzione, la massima fa salva la possibilità che la società beneficiaria soddisfi il rapporto di cambio a favore degli azionisti della trasferente mediante altre modalità (quali l’assegnazione di azioni proprie; la redistribuzione di azioni del capitale della società incorporante, con conseguente riduzione della partecipazione dei soci originari; l’assegnazione di azioni senza valore nominale; etc.), che rispettino comunque l’esigenza di assicurare ai soci dell’incorporata una partecipazione congrua rispetto ai rapporti economici delle società partecipanti alla fusione, ma che non implichino un aumento del capitale sociale dell’incorporante superiore alla somma del capitale sociale dell’incorporata, delle riserve dell’incorporata e delle riserve dell’incorporante imputabili a capitale.

[16] La massima rilevava ulteriormente al riguardo che “una scissione o una fusione “realmente negativa”, anche laddove non sia necessario determinare un rapporto di cambio, risulterebbe priva di utilità per la società beneficiaria/incorporante e produrrebbe comunque un’alterazione del valore economico delle partecipazioni preesistenti, in ciò contrastando con la causa stessa di tali operazioni”.

[17] Il testo della massima afferma: “La previsione contenuta nell’art. 2504 bis, comma 4, c.c., (richiamata per la scissione dall’art. 2506 quater, comma 1, ultimo periodo, c.c.), nella parte in cui disciplina l’appostamento di eventuali disavanzi o avanzi di fusione o scissione, è volta esclusivamente a dettare un principio contabile e non anche a consentire che una di tali operazioni possa essere posta in essere con modalità che contemplino una rivalutazione o svalutazione di poste di bilancio, ovvero la creazione di nuove poste (avviamento), in deroga alle regole sostanziali del diritto societario. Si ritiene pertanto che gli annullamenti di partecipazioni e le variazioni del capitale (a servizio o meno del concambio) non possano essere realizzati nell’ambito di una fusione o scissione se non nei limiti imposti dallo specifico procedimento nei quali sono inclusi e nell’integrale rispetto di tutte le norme positive che ordinariamente li disciplinano”.

[18] Purché, specifica la massima, “non si dia luogo nella beneficiaria stessa alla fattispecie di cui all’art. 2447 cod. civ. o dell’articolo 2482-ter cod. civ.”.

[19] Per completezza si segnala che la massima contempla anche, come terza ipotesi di fattibilità dell’operazione, il caso in cui “si tratti di scissione a scopo meramente liquidativo, siccome effettuata in favore di società preesistente in stato di liquidazione e prevedendosi che la società beneficiaria continui ad essere una società in stato di liquidazione”.

[20] Secondo un meccanismo inverso rispetto a quello tipico che prevede l’attribuzione ai soci della scissa di partecipazioni della beneficiaria.

[21] Ossia effettuata in favore di società preesistente in stato di liquidazione che debba continuare a trovarsi in questo stato.

[22] Le quali, si rammenta, hanno abrogato la precedente massima L.E.1.

[23] Le altre modalità individuate per soddisfare il rapporto di cambio sono: 1. la ridistribuzione delle sue partecipazioni senza aumento di capitale; 2. l’emissione di nuove partecipazioni prive di valore nominale) e 3. l’emissione di nuove partecipazioni derivanti da un aumento di capitale gratuito con utilizzo di riserve disponibili, ove quelle post-scissione siano capienti una volta contabilizzate le passività assegnate. Fermo restando che in caso di beneficiaria di nuova costituzione l’unica opzione percorribile è quella riportata nel testo.

[24] La massima precisa, infatti, che “Non si ritiene invece ammissibile una scissione negativa a valori correnti a favore di una beneficiaria di nuova costituzione non essendo possibile in tale ipotesi coprire in alcun modo il capitale sociale nominale”.

[25] Basti pensare all’interesse dei soci della beneficiaria alla determinazione di un rapporto di cambio congruo o all’interesse dei soci delle società etero-dirette o dei terzi creditori di questa a che non venga posta in essere una operazione straordinaria che determini, rispettivamente, un pregiudizio alla redditività e al valore della partecipazione sociale o all’integrità del patrimonio della società etero-diretta.

[26] Come noto, la fattispecie disciplinata dall’articolo 2497, cod. civ. rappresenta una specifica ipotesi di responsabilità, oggi ritenuta dalla giurisprudenza prevalente di natura extracontrattuale, della società esercente attività di etero-direzione nei confronti dei soci e dei creditori della società etero-diretta. A norma dell’articolo 2497, cod. civ., infatti, “Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette”. Inoltre, la responsabilità viene estesa, in via solidale, a carico di “chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio”.

[27] Non può sfuggire, infatti, che la verifica circa il rispetto delle regole di corretta gestione societaria e imprenditoriale è giudizio particolarmente delicato che generalmente assume rilievo in sede contenziosa, ove viene valutato nell’ambito dell’esercizio di azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, e che, peraltro, trova il suo limite nel noto principio della c.d. business judgement rule.

[28] Una specifica motivazione che l’organo amministrativo potrebbe rendere nell’ambito della propria relazione redatta ai sensi dell’articolo 2501-quinquies, cod. civ. (norma applicabile anche alla scissione in virtù del rinvio diretto contenuto nell’articolo 2506-ter, cod. civ.). A mente di tale disposizione sussiste un espresso obbligo per gli amministratori delle varie società partecipanti all’operazione di giustificare la stessa tanto sotto il profilo giuridico, quanto sotto quello economico, nell’ambito della propria relazione. Nel caso di specie si dovrebbe trattare, quindi, di una integrazione della stessa sotto il profilo della sussistenza dell’interesse sociale di tutte le società partecipanti all’operazione.

[29] Il riferimento è al disposto di cui all’articolo 2497-ter, cod. civ. che si reputa riferito tanto alle decisioni assunte in sede consiliare quanto a quelle assunte in sede di assemblea dei soci.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La rivista delle operazioni straordinarie.