6 Settembre 2024

La sentenza penale di assoluzione ha efficacia nel giudizio tributario pendente

di Debora Mirarchi
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La scheda di FISCOPRATICO

Il giudicato penale di piena assoluzione ha (finalmente) efficacia nel processo tributario.

È questo il principio introdotto dal nuovo articolo 21 bis, D.Lgs. 74/2000 e confermato in tempi record dalla Corte di cassazione che, con la sentenza 3.9.2024, n. 23570, ha applicato la norma inaspettatamente anche ai procedimenti instaurati prima della entrata in vigore della riforma, a condizione che siano ancora pendenti.

I rapporti fra giudizio penale e processo tributario sono sempre stati caratterizzati da notevoli difficoltà di “raccordo”, anche in caso di univocità dei fatti posti a fondamento sia dell’imputazione formulata dal pubblico ministero sia della contestazione erariale.

La diversa impostazione dell’istruzione probatoria in sede penale, la natura documentale del rito tributario e i limitati mezzi di prova ammessi, sono state le ragioni della generale ritrosia della giurisprudenza nazionale ad ammettere una valenza anche “solo” presuntiva del decisum penale.

La giurisprudenza tributaria ha sempre osteggiato la trasposizione automatica delle risultanze penali, considerandola una “minaccia” alla propria autonomia decisionale, omettendo spesso completamente qualsivoglia valutazione di quanto acclarato in altre sedi.

Ad onor del vero, una parte più coraggiosa, ma minoritaria della giurisprudenza, ha affermato, negli anni, che la sentenza penale assurge quantomeno a elemento di prova o indizio in ordine ai fatti accertati penalmente e ciò, in particolare, nelle ipotesi in cui eventuali profili di responsabilità fiscale siano inscindibilmente connessi ai fatti acclarati in sede penale (Cassazione n. 4924/2013; Cassazione n. 8129/2012; Cassazione n. 19786/2011; Cassazione n. 8129/2012; Cassazione n. 19786/2011; Cassazione n. 3724/2010; Cassazione n. 3724/2010).

Il risultato di tale impostazione si è sovente posto in netta violazione del generale e ineludibile principio di non contraddizione degli atti dell’Amministrazione finanziaria, rispetto agli accertamenti emessi in sede giudiziale.

Con la recente riforma tributaria, che ha riguardato anche il sistema sanzionatorio, è stato posto un argine alla deriva dei giudicati contrastanti, mediante l’inserimento di un tanto atteso correttivo normativo.

Il nuovo articolo 21 bis, D.Lgs. 74/2000, stabilisce che la sentenza irrevocabile di assoluzione, perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, ha efficacia di giudicato nel giudizio tributario.

La valenza della pronuncia penale in sede tributaria è subordinata naturalmente alla identicità dei fatti oggetto di entrambi di giudizi.

In altri più specifici termini, le circostanze di fatto poste a fondamento del capo di imputazione devono essere le medesime rispetto alla contestazione emessa dall’Amministrazione finanziaria.

Diversamente, in caso di divergenza delle risultanze fattuali (questione questa che in futuro potrebbe rivelarsi controversa), nessuna efficacia di giudicato può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione nel rito tributario.

Sull’interpretazione del nuovo dettato normativo, si è espressa la recente sentenza della Corte di cassazione n. 23570/2024, la quale si è soffermata sull’applicabilità temporale della nuova norma, affermando un principio che, visto i precedenti, in pochi si aspettavano.

La Suprema Corte, dopo aver accertato l’univocità dei fatti acclarati in sede penale, rispetto alle circostanze poste al proprio vaglio, ha stabilito – ed è questa la portata innovativa della sentenza – che la nuova norma trova applicazione anche nel caso in cui la sentenza penale di assoluzione sia stata emessa prima della entrata in vigore del nuovo dettato normativo (29.6.2024), purché il giudizio tributario sia ancora pendente.

Sulla base di tale assunto, la Corte di cassazione ha annullato gli avvisi di accertamento, emessi nei confronti di un contribuente, titolare di una ditta individuale, indagato e poi assolto in sede penale, con i quali era stata recuperata l’Iva.

Nel caso sottoposto all’attenzione dei Giudici di legittimità, il giudicato penale di piena assoluzione, anche se emesso prima della vigenza del nuovo articolo 21 bis, D.Lgs. 74/2000, assume valenza di cosa giudicata nel processo tributario, essendo questo ancora pendente.

Ne deriva che, la conclusione del giudizio tributario, ancorché relativo ai medesimi fatti penali, si pone quale preclusione insuperabile, non potendosi in tali casi “tornare indietro” e avvalersi di un giudicato favorevole.

Se la portata innovativa della novella è indubbia, l’effettiva applicazione pratica dell’articolo 21 bis, D.Lgs. 74/2000, dipenderà molto dalla fedeltà, che la giurisprudenza garantirà in fase interpretativa, rispetto agli originari intenti ispiratori della riforma.