12 Settembre 2024

Nuove regole per la cessione di partecipazioni in società professionali

di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365
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La fuoriuscita di un professionista da una associazione professionale, con corresponsione di una somma in denaro, è oggetto di un significativo intervento di modifica nel Correttivo Ires, nell’ambito della riforma del reddito da lavoro autonomo, cioè l’articolo 5 di detto Correttivo, in corso di approvazione definitiva.

Ricordiamo che nella attuale costruzione normativa si genera una singolare, e forse non del tutto razionale, differenza tra cedere le quote di uno studio professionale, o meglio, di una associazione professionale, rispetto a recedere dalla stessa.

Verifichiamo l’ipotesi di recesso del professionista dalla associazione professionale (o società semplice). Al verificarsi di tale evento, è necessario osservare le prescrizioni stabilite dall’articolo 20-bis, Tuir, secondo cui il provento da partecipazione compreso nelle somme attribuite o nei beni assegnati al socio recedente è soggetto alle disposizioni di cui all’articolo 47, comma 7, Tuir, ove compatibili, “indipendentemente dall’applicabilità della tassazione separata”. In altri termini, il reddito in parola – avente natura professionale, come peraltro chiarito dall’Agenzia delle entrate (circolare n.6/E/2006, e risoluzione n. 127/E/1995) – deve essere individuato come differenza tra le somme o il valore normale dei beni ricevuti e il costo fiscale della partecipazione, ovvero l’avviamento  e l’utile in corso di formazione, riconosciuto all’associato recedente: non rileva, pertanto, l’importo riferibile esclusivamente alla restituzione dell’apporto iniziale, né l’ammontare degli utili già imputati per trasparenza (norma di comportamento ADC n. 111/1991).

La cifra così determinata costituisce, inoltre, la misura massima di deducibilità, in capo all’associazione professionale, del costo sostenuto a titolo di indennità di recesso (circolare n. 98/E/2000), la cui effettiva erogazione pone un significativo dubbio in merito all’eventuale obbligo di applicazione della ritenuta d’acconto, a norma dell’articolo 25, comma 1, D.P.R. 600/1973; dubbio che, tuttavia, dovrebbe risolversi nel senso di non doverla operare, così come ha segnalato autorevole dottrina (norma di comportamento ADC n. 111/1991).

Discorso a parte va fatto, invece, per la cessione di quote di associazione professionale o società semplice professionale. La tassazione della plusvalenza da capital gain, disposta dall’articolo 67, comma 1, lettera c) e c bis, Tuir, prevede un’esimente relativa alla cessione di quote in associazioni professionali, di cui al comma 3, lettera c) dell’articolo 5, Tuir. Data l’assimilazione di associazione professionale con società semplice professionale, si può ritenere che l’esimente da tassazione sia estesa anche alla cessione di quote di queste ultime società.

Collegata all’irrilevanza reddituale della plusvalenza da cessione, vi è l’impossibilità di riconoscere un costo fiscale all’acquisto della quota in capo all’acquirente. Questo elemento diviene un ostacolo non trascurabile in caso di successiva trasformazione della associazione in Stp commerciale perché, in tal caso, se venisse ceduta la quota, non si potrebbe invocare l’esimente da tassazione della plusvalenza ed il costo di acquisto verrebbe parificato a zero.

Ebbene, questo scenario normativo così frammentario è oggetto di un intervento di modifica da parte del cosiddetto Correttivo Ires, che riguarda l’articolo 17, lett. g ter), Tuir. La norma citata, nella attuale versione, prevede la possibilità di optare per la tassazione separata delle somme incassate a seguito di cessione della clientela (o elementi immateriali da parte del professionista), laddove l’incasso di dette somme avvenga in unica soluzione. A fianco di tale opzione, viene introdotta ex novo una seconda ipotesi di scelta e cioè la possibilità di optare per la tassazione separata, laddove venga ceduta la partecipazione in associazione professionale o società semplice, ma nel solo caso in cui il corrispettivo della cessione venga percepito, anche in più rate, nel medesimo periodo d’imposta. La norma cita, peraltro, in modo ampio, società o enti riferibili alla attività artistica o professionale e, quindi, comprende anche partecipazioni in società commerciali costituite nella forma di STP (o altre società similari per l’esercizio dell’attività professionale come, ad esempio, le Sta per esercizio di attività forense). Tale scelta di tassazione separata comporta, in quest’ultimo caso, una implicita e necessaria non applicabilità del capital gain, dovendosi, però, approfondire l’argomento con le considerazioni che si faranno oltre.

Tornando all’ambito delle società semplici professionali o associazioni professionali, la modifica citata doveva necessariamente essere correlata con una parallela modifica della norma di cui all’articolo 67, lett. c), Tuir, tenendo conto che, oggi, essa esclude la tassazione da capital gain per la cessione, appunto, di quote di società semplici o associazioni professionali. Con la modifica del Correttivo Ires (articolo 5, comma 1, lett.c) viene abrogata l’esclusione, quindi, la cessione di dette partecipazioni genererà la tassazione a titolo di capital gain a decorrere dal periodo d’imposta in cui lo stesso Correttivo sarà approvato a titolo definitivo.

Ora, però, va approfondito il rapporto tra le due forme di tassazione (separata o capital gain) nel caso in cui la cessione della partecipazione comporti l’incasso di una somma in un unico periodo d’imposta (se il pagamento è rateizzato in più periodi d’imposta sarà applicabile solo il capital gain).

Se si è ben compreso, laddove venga scelta la tassazione separata, automaticamente si dovrebbe escludere l’applicabilità del nuovo articolo 67, lett. c), Tuir, dovendosi osservare che sia con l’articolo 17, sia con il capital gain, viene tassata la plusvalenza incassata, ma con una diversa modalità di tassazione.  L’analisi di convenienza per l’una o l’altra scelta deve, quindi, tenere conto della diversa modalità di tassazione (imposta sostitutiva contro imposta calcolata sulla media dei redditi del biennio precedente a quello di cessione). Naturalmente l’ingresso del capital gain nel mondo delle società semplici professionali e delle associazioni professionali porrà un tema non banale di calcolo del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione. Infatti, nel caso di società che imputano redditi per trasparenza (come le due fattispecie sopra citate), il calcolo è reso complesso dalla circostanza che senza una contabilità “patrimoniale” non è affatto agevole individuare quali siano i redditi già imputati per trasparenza che dovrebbero accrescere il costo della partecipazione e quali siano le riserve di utili attribuite al socio che, al contrario, decrementano tale costo.

Discorso a parte si farà per la cessione di quote di STP costituite in forma di società di capitali per le quali è semplice determinare il costo della partecipazione. In tali casi, laddove il corrispettivo della cessione sia incassato in un solo periodo d’imposta, la convenienza passerà, da una parte, dalla analisi del reddito medio del socio cedente nel biennio precedente la cessione, dall’altra nel valutare se si è in presenza di costo elevato della partecipazione che potrebbe rendere minimo il prelievo da capital gain. Infine, in questo contesto vi sarà un terzo elemento da valutare e cioè l’opportunità di rivalutare il costo della partecipazione, fruendo della norma che “puntualmente” viene inserita in ogni legge di bilancio.

Come si può notare, la cessione di partecipazione professionale comporterà analisi complesse, forse più complesse rispetto alle “normali “cessioni di partecipazioni.