Il nuovo redditometro tra riforma dell’istituto e onere della prova
di Francesco Verderosa - Commissione Processo Tributario, accertamento e Riscossione UNGDCECGennaro Altieri - - Commissione Processo Tributario, accertamento e Riscossione UNGDCECLe numerose polemiche emerse in seguito alla pubblicazione del Decreto del 7.5.2024 hanno, da un lato, spinto il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con specifico atto di indirizzo, a sospendere l’efficacia del nuovo redditometro e, dall’altro, incentivato il legislatore a pubblicare in G.U. il D.Lgs. 108/2024, che prevede anche un intervento in materia di accertamento sintetico, riformulando la norma dell’articolo 38, D.P.R. 600/1973, ed inserendovi tutte le ipotesi di prova contraria alle quali può ricorrere il contribuente accertato.
In primis, è sempre utile ricordare in cosa consiste questa particolare tipologia di accertamento del reddito delle persone fisiche, così come integrata dalla novella legislativa. Infatti, il “nuovo redditometro” potrà trovare genesi:
- sulle spese effettive di qualsiasi genere sostenute, nell’assunto che quanto è speso nel periodo d’imposta è finanziato con redditi del medesimo periodo, ferma restando la possibilità per il contribuente di provare che le spese sono state finanziate con altri mezzi, ivi compresi redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile;
- sulle spese figurative, e cioè sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva, individuato, con D.M. 7.5.2024.
La sostanziale differenza rispetto al “redditometro” pre riforma riguarda il presupposto per la sua attivazione: mentre prima lo scostamento, tra reddito dichiarato e reddito accertabile sinteticamente, doveva essere di almeno un quinto, oggi è testualmente previsto che, per poter l’Ufficio impositore fare accesso a questa particolare metodologia, fermo restando il summenzionato scostamento di un quinto, il reddito complessivo accertabile deve eccedere “almeno dieci volte l’importo corrispondente all’assegno sociale annuo, il cui valore è aggiornato per legge, con periodicità biennale, anche sulla base degli indici di adeguamento ISTAT” (le cui spese rilevanti riguarderanno quelle sostenute per alimenti e bevande, abbigliamento e calzature, trasporti, istruzione e cura della persona). Per far sì che possa scattare l’accertamento sintetico è necessario che siano superate entrambe le soglie, la prima da individuarsi in forma proporzionale rispetto al reddito del contribuente accertato e la seconda valida in termini di valori generali, con un reddito presunto superiore a euro 69.473,30 (importo pari a 10 volte l’assegno sociale annuo che, per il 2024, risulta essere di euro 534,41 per 13 mensilità).
Non minore rilevanza ha, invece, la modifica in tema di onere della prova riconosciuto al contribuente. Infatti, secondo il nuovo comma 6, dell’articolo 38 (che ha modificato il precedente comma quarto), alla persona fisica è riconosciuta la possibilità di dimostrare che “il finanziamento delle spese è avvenuto da parte di soggetti diversi dal contribuente medesimo” (oltre sempre alla possibilità di poter confutare l’accertamento fiscale, provando che: il finanziamento delle spese è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo di imposta, con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte, o comunque legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile), oppure che “le spese attribuite hanno un diverso ammontare” o, infine, che “la quota di risparmio utilizzata per consumi e investimenti si è formata nel corso degli anni precedenti”.
Ovviamente, nonostante la norma de qua abbia (finalmente) tipizzato le possibilità di prova contraria a vantaggio del contribuente (dove prima venivano viste solo come presunzioni), è pur sempre necessario dotarsi di adeguata documentazione giustificativa a sostegno della propria tesi (a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, il contribuente dovrà conservare eventuali documenti dimostrativi del prestito o di una donazione effettuata da terzo, oppure fornire traccia dei risparmi accumulati nelle annualità precedenti, come avviene in caso di somme depositate presso un istituto bancario). Infatti, nonostante l’articolo 7, comma 5 bis, D.Lgs. 546/1992, abbia posto l’onere della prova in carico all’Amministrazione finanziaria; tuttavia, fa salva “la normativa tributaria sostanziale” che, in tema di accertamento sintetico da redditometro, prevede l’onus probandi in capo al contribuente.
Il richiamato comma 6 sembra razionalizzare le tipiche prove contrarie già indicate dalla giurisprudenza, nonostante un andamento interpretativo incerto e spesso oscillante nelle applicazioni, sebbene negli ultimi mesi i giudici convengono a definire che: “per la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto passivo d’imposta costituisce principio a tutela della parità delle parti e del regolare contraddittorio processuale quello secondo cui all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione dell’inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere abbia adempiuto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo relativa agli indici di spesa”. (Cassazione n. 238/2024).
Dunque, il “nuovo redditometro” ha tutta l’aria di essere uno strumento innovativo che, basato sulle spese previste dalla norma, consentirà all’Agenzia delle Entrate di scoprire i “grandi evasori”, magari usufruendo della tanto decantata Intelligenza Artificiale, mettendo in soffitta il vecchio ed obsoleto redditometro che risultava meno garantista per i contribuenti.