Tassata la cessione di opera d’arte se c’è stata valorizzazione
di Ennio VialLa Cassazione, con la recente sentenza n. 19363/2024, è tornata ad affrontare il delicato tema della tassazione del reddito, conseguente dalla cessione di opere d’arte da parte di un privato, ossia da parte di un soggetto che non ha la partita iva, in quanto non opera professionalmente come mercante d’arte.
A differenza, infatti, dell’ultima casistica citata, che non presenta particolari dubbi in merito alla necessaria tassazione del reddito, se la cessione è operata da un privato si entra nel mondo della esplorazione tributaria.
Si potrebbe affermare che manca la norma che ne impone la tassazione, per cui la soluzione potrebbe essere quella della non tassabilità del provento tout court. Invero, questa posizione non è così certa. Infatti, l’articolo 67, comma 1, lett. i), Tuir, contempla come casistica reddituale, rientrante tra i redditi diversi, “i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente”.
La Cassazione richiama l’ordinanza n. 1603/2024 e l’ordinanza n. 1610/2024 dove è stata fatta una importante distinzione tra le seguenti tre casistiche:
- il mercante d’arte;
- lo speculatore occasionale;
- il collezionista.
La prima casistica comprende “colui che professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio, anche in maniera non organizzata imprenditorialmente, col fine ultimo di trarre un profitto dall’incremento del valore delle medesime opere”.
In questo caso le questioni problematiche intervengono in tema di iva, ad esempio per l’applicazione del regime del margine, ma la fiscalità diretta diventa abbastanza banale: il soggetto iva, infatti, necessariamente terrà una contabilità e redigerà un bilancio.
Lo “speculatore occasionale”, invece, è chi acquista occasionalmente opere d’arte per rivenderle allo scopo di conseguire un utile. In questo caso non c’è partita Iva, ma c’è comunque il compimento di un singolo affare di commercio che rientra nel citato articolo 67, Tuir.
La valutazione non è molto agevole, in quanto potrebbe sconfinare in un processo alle intenzioni. Per poter ritenere configurata la casistica, non si può far altro che basarsi su elementi indiziari.
Infine, il “collezionista” è “chi acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una plusvalenza, in quanto il suo interesse e rivolto, non tanto al valore economico della res [in latino: la cosa materiale], quanto a quello estetico-culturale, per il piacere che il possedere le opere genera, per l’interesse all’arte, per conoscere gli artisti, per vedere le mostre”.
I giudici hanno sostanzialmente ripreso la categorizzazione operata dalla miglior dottrina. Il confine tra le ultime due casistiche non è scevro di profili di incertezza.
Gli elementi indiziari che hanno portato i giudici a qualificare come imponibile la cessione sono stati i seguenti:
- il periodo di detenzione. Un breve periodo fa presumere ad un intento speculativo. Tuttavia, nel caso di specie il periodo era di sette anni, quindi non brevissimo;
- l’impiego di una famosa casa d’aste per la vendita (Christies). A ciò si potrebbe, tuttavia, obiettare che l’operazione non può essere affidata a mani inesperte;
- le concessioni espositive delle opere effettuate nel tempo dal contribuente (Museo Kimbell di S. Francisco). Questo è un aspetto di non poco momento, in quanto configura la valorizzazione dell’opera. La valorizzazione interviene anche se si tratta, come nel caso di specie, di un Monet;
- il notevole ammontare della plusvalenza. Nel nostro caso il quadro era stato venduto per 6.500.000 ed era stato acquistato per meno di un milione e mezzo;
- la ripetitività delle operazioni. Nel caso di specie si trattava dell’unica cessione dell’anno; tuttavia, nello stesso anno della vendita, il contribuente aveva anche acquistato tre opere d’arte, ancora in suo possesso, da Sotheby’s e aveva permutato quattro opere dell’artista Segantini con una di Gauguin. Inoltre, negli anni antecedenti e in quelli successivi il contribuente aveva compravenduto numerose altre opere, sempre per il tramite di case d’aste di prestigio mondiale, svolgenti naturalmente attività commerciale.
- molte opere di sua proprietà erano state esposte al Mart di Rovereto e in Musei americani (valorizzazione).
Gli elementi indiziari sono sufficienti per giustificare la tassazione? Il tema è oltremodo delicato e qualche dubbio rimane.
Un aspetto che non emerge dalla Sentenza, ma che in dottrina viene valorizzato, attiene al caso in cui la vendita sia effettuata dagli eredi. Se questi non sono coinvolti nella passione dei genitori, è molto più plausibile che la vendita sia inquadrabile nell’alveo delle dismissioni patrimoniali fiscalmente non rilevanti.
La questione sarà risolta in modo pragmatico dal legislatore. L’articolo 5, comma 1, lett. i), n. 3), L. 111/2023 (Legge delega fiscale) ha, infatti, delegato “l’introduzione di una disciplina sulle plusvalenze conseguite, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, dai collezionisti di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione nonché, in generale, di opere dell’ingegno di carattere creativo appartenenti alle arti figurative, escludendo i casi in cui è assente l’intento speculativo, compresi quelli di plusvalenza relativa a beni acquisiti per successione o donazione, nonché esonerando i medesimi da ogni forma dichiarativa di carattere patrimoniale”.