Concordato preventivo biennale: potenzialità dello strumento tra criticità e incertezza normativa
di RedazioneA pochi giorni dalla scadenza del concordato preventivo biennale (CPB), il presidente dell’UNGDCEC Francesco Cataldi riflette sulle difficoltà e sulle criticità che hanno caratterizzato l’adesione a questo strumento fiscale. Un recente sondaggio condotto tra gli iscritti evidenzia un tasso di partecipazione inferiore alle aspettative, con meno del 10% dei clienti disposti ad aderire. Mentre il risparmio fiscale rappresenta il principale incentivo, permangono dubbi sulla chiarezza normativa e sulla capacità del CPB di instaurare un nuovo rapporto di fiducia tra fisco e contribuente. Cataldi auspica una maggiore stabilità normativa per favorire l’efficacia di strumenti come il CPB.
Presidente Cataldi, in tema concordato preventivo biennale, a pochissimi giorni dalla scadenza, quale è il vostro sentiment su quello che potrà essere il tasso di adesione allo strumento da parte dei vostri clienti?
A ridosso della scadenza, abbiamo voluto chiedere ai nostri iscritti di compilare un breve sondaggio per avere una previsione di quale potrà essere il tasso di adesione, nonché per comprendere meglio il pensiero di chi concretamente si sta confrontando nelle ultime settimane con questa normativa. In breve, su un campione di circa 1.500 risposte, l’80% dei colleghi stima un tasso di adesione inferiore al 10% della platea dei propri clienti. Il dato della bassa adesione non ci sorprende, rispecchiando l’esperienza di un po’ tutti i nostri studi.
Tra quanti hanno deciso di aderire alla proposta concordataria, quali sono, secondo i risultati del vostro sondaggio, i principali fattori che motivano l’adesione?
La principale motivazione di adesione, per quasi il 90% dei casi, è la prospettiva di un risparmio rispetto alla normale imposizione fiscale, mentre solo poco più del 10% sceglie di aderire per avere accesso alla sanatoria. È interessante notare, sebbene non del tutto sorprendente data la chiusura del Governo alla proroga e l’incertezza normativa, che quasi nessuno abbia espresso interesse ad aderire al CPB per instaurare un nuovo rapporto di fiducia tra fisco e contribuente, obiettivo principale dell’istituto e che, probabilmente, non è stato raggiunto.
Quali sono, invece, le criticità emerse che a suo avviso hanno determinato un tasso di adesione così basso?
Abbiamo rilevato più volte negli scorsi mesi le criticità relative al concordato preventivo biennale: la norma probabilmente non ha convinto neanche i tecnici ed è stata ripetutamente modificata e integrata; la maxi circolare che doveva chiarire i dubbi agli addetti ai lavori è stata intempestiva e poco esaustiva, tant’è che si sono susseguite, anche fino a pochi giorni fa, numerose faq di “chiarimenti” pubblicate dall’Agenzia; questo ha messo noi professionisti nella condizione di dover fare per ciascun cliente, ad ogni passaggio, valutazioni e riflessioni diverse.
Queste modifiche, assolutamente sostanziali, hanno quindi più volte cambiato le “carte in tavola”, tanto da provocare la protesta delle stesse software house, che hanno più volte dovuto adottare i loro programmi alle modifiche che via via intervenivano e tanto da mettere in crisi gli stessi sistemi informatici dell’Agenzia delle entrate, con vari disservizi originati dall’adempimento quali difficoltà di accesso al cassetto fiscale, dati mancanti o errati.
Nonostante questo coro unanime, la decisione è stata quella di non rinviare la scadenza, con i risultati che abbiamo visto sopra.
Quale messaggio si sente di lanciare al Governo?
Il CPB rappresentava un istituto con il potenziale per funzionare e segnare davvero un cambiamento nel rapporto tra Fisco e contribuente. Tuttavia, i mesi trascorsi dalla sua introduzione non sono stati sufficienti per offrire ai contribuenti, e a noi tecnici, un quadro normativo chiaro e definitivo, necessario per valutare e ponderare adeguatamente l’adesione a questo nuovo strumento. Abbiamo assistito all’ennesima violazione dello Statuto del contribuente, in particolare dell’articolo 3, che prevede un termine di almeno 60 giorni per l’entrata in vigore delle norme, garantendo così i tempi tecnici necessari per una corretta applicazione. È una norma di civiltà giuridica che il Governo, in primis, dovrebbe rispettare, senza legiferare in deroga.
Se davvero vogliamo migliorare il rapporto tra Stato e contribuente, dobbiamo partire da qui.
La proroga avrebbe potuto alleviare, anche se non eliminare, il disagio dei contribuenti e dei commercialisti, ma è stata negata per motivi oggettivi legati alla Legge di Bilancio.
Tuttavia, queste ragioni erano note fin dall’inizio, quindi era possibile – e doveroso – predisporre un quadro normativo definitivo entro il 1° settembre, per lasciare almeno 60 giorni per l’applicazione del nuovo istituto.
Non è accettabile che le “ragioni di Stato“, pur comprensibili, si ripercuotano sempre e solo su contribuenti e commercialisti.