L’irretroattività del favor rei e le pseudo giustificazioni del legislatore delegato
di Luciano SorgatoCon il D.Lgs. 87/2024, di riforma del sistema sanzionatorio tributario, in attuazione dell’articolo 20, L. 111/2023 (legge delega per la riforma tributaria), il Legislatore è intervenuto sulle disposizioni comuni alle sanzioni amministrative e penali disponendo, all’articolo 5, l’irretroattività di tutte le disposizioni più favorevoli per il contribuente. La comminazione delle sanzioni nella misura mitigata viene, quindi, temporalmente raccordata alle violazioni commesse a partire dall’1.9.2024, in totale antitesi ad un principio cardine del sistema sanzionatorio, il favor rei previsto dall’articolo 3, comma 3, D.Lgs. 472/1997. Come evidenziato in dottrina (L. Del Federico, “Le sanzioni amministrative nel diritto tributario” Milano 1993), il principio del favor rei s’innerva costituzionalmente nell’articolo 25, Cost. il quale, in una concezione unitaria del fenomeno punitivo, traspone i principi di riserva di legge e di irretroattività, di fondamento penalistico, anche nella materia sanzionatoria tributaria la quale, nell’ambito della riforma del 1997, ha trovato ispirazione ed una visione d’insieme proprio nelle dinamiche valoriali di matrice penalistica.
Sempre come sottolineato in dottrina (A. Contrino), il principio del favor rei è stato introdotto all’articolo 3, comma 3, D.Lgs. 472/1997, in attuazione della L. 662/1996, pur in mancanza di un espresso input direttivo in tal senso. Nonostante la mancanza di una precisa coordinata, venne ritenuto naturale l’estensione dei principi penalistici alle violazioni tributarie e con la tripartizione dei principi recepiti nei tre commi del citato articolo 3 (principio della legalità, divieto dell’ultrattività della sanzione nel caso di abolitio criminis ed il principio della retroattività del favor rei) si creò una sovrapposizione di paradigmi costitutivi delle sanzioni penali e tributarie. La circolare n. 180/E/1998 chiarì come l’introduzione del principio del favor rei doveva essere intesa come corollario naturale del soppiantato principio dell’ultrattività della sanzione, prima sancito dall’articolo 20, L. 4/1929, e ritenuto non idoneo a recepire le dinamiche valoriali come esse si evolvono nel tempo. Tali fondamenti giustificativi alla base del principio del favor rei sono stati del tutto pretermessi con lo spartiacque temporale individuato dal citato articolo 5, D.Lgs. 87/2024 che, negli effetti, ha comportato il ripristino dell’ultrattività della misura della sanzione in vigore al tempo della violazione.
Nella relazione illustrativa, in ordine a tale cambio di rotta, il legislatore delegato cerca di prospettare un triplice ordine di argomentazioni a supporto della sua coniugabilità costituzionale (evidentemente ben conscio degli strali di diritto che la repentina inversione di tendenza avrebbe attirato):
- il primo argomento è la mancanza di copertura penale del principio del favor rei fuori dal comparto delle sanzioni penali o sostanzialmente penali. Secondo il legislatore delegato, la materia delle sanzioni amministrative non è in generale sorretta dal principio della retroattività della lex mitior;
- il secondo argomento adotto nella relazione illustrativa viene raccordato al contesto in cui viene introdotta la revisione del sistema sanzionatorio amministrativo tributario, per cui per il delegato applicare il principio del favor rei, nel caso in questione, equivarrebbe ad un’indiscriminata mitigazione sanzionatoria non compensata dal potenziamento degli strumenti di compliance;
- il terzo argomento del Legislatore delegato viene correlato ad un’ottica di bilanciamento tra interesse pubblico alla percezione dell’entrata e l’interesse del singolo consociato alla comminazione retroattiva di una sanzione inferiore. È chiaro il raccordo con l’interesse all’equilibrio del bilancio pubblico di cui all’articolo 81, Cost.
Trattasi di argomenti manifestatamente intrisi di criticità logico-giuridiche.
In ordine alla copertura costituzionale del principio del favor rei, circoscritta alle sole sanzioni penali (o sostanzialmente penali), l’angolo visuale va allargato anche alle fonti sovranazionali, le quali prevedono l’operatività del principio della retroattività della lex mitior all’articolo 7, CEDU, e all’articolo 49, CDFUE. A tale specifico proposito, si deve considerare, come sottolineato anche dalla Dottrina citata (A. Contrino), che la connotazione di una sanzione come non penale non dipende da categorie dogmatiche coniate secondo parametri individuati dai singoli Stati membri, dovendosi tale natura coordinarsi con i noti criteri Engel. I due criteri sostanziali, alla base della natura delle sanzioni, sono la gravità e lo scopo. Trattandosi di criteri alternativi e non cumulativi la sanzione va considerata come penale, indipendentemente dalla sua catalogazione formale, anche nel caso l’accertamento dell’illecito renda perseguibile il soggetto che l’ha commesso, con una sanzione di particolare livello di gravità e di misura. Sotto tale prisma, è noto come la sanzione tributaria nazionale proprio per i suoi gravosi livelli di commisurazione è considerata dagli Organi dell’UE di natura penale (proprio da tale natura è derivata la questione relativa alla liceità della congiunta comminazione della sanzione penale per il medesimo illecito storico e dell’istituto del ne bis in idem, nonché la necessità di adeguare il regime delle sanzioni al fondamentale principio della proporzionalità). L’individuazione della natura penale di una sanzione formalmente amministrativa, attraverso l’impiego dei criteri Engel, è di estrema importanza, perché rende applicabili all’illecito le disposizioni CEDU e, in particolare, gli articoli 6 e 7, che prevedono l’operatività del principio del favor rei.
In ordine al secondo argomento, il fondamento causale dell’irretroattività viene fatto derivare dalla necessità di favorire la compliance preventiva tra Fisco e contribuenti. Ora, tale passo non può apparire condivisibile, dal momento che il fine dichiarato nella delega è quello di una riforma che deve tendere a realizzare un sistema sanzionatorio più giusto, coerente e ragionevole. Ora, se tale è lo scopo della revisione delle sanzioni, la prospettiva di strumenti di più efficiente cooperazione e di confronto tra l’Istituzione fiscale ed il contribuente, non incide sull’irretroattività delle nuove sanzioni introdotte per favorire il conseguimento di un rapporto più equo tra il disvalore giuridico dell’illecito e la reazione dell’ordinamento. Se tale rapporto viene ritenuto sproporzionato, la sua correzione preclusa per il passato si rivela irragionevole e costituzionalmente censurabile, alla luce dell’articolo 3, Cost. In modo condivisibile, un Autore (A. Giovanardi) ha sottolineato che: “Se un ordinamento ha bisogno di riforme che lo rendano più giusto, ragionevole e coerente non vi è alcun motivo per continuare a sottoporre a sanzioni più pesanti quei contribuenti che, anche in un contesto diverso da quello che emergerà dalla riforma, abbiano commesso i medesimi illeciti che il legislatore persegue ora in modo più tenue”.
Infine, per il Legislatore delegato l’interdizione del Favor rei troverebbe supporto costituzionale nell’articolo 81, Cost., nella necessità di non generare un disequilibrio di bilancio pubblico.
A tal proposito, si ritiene di dover sottolineare come la Finanza sociale possa raccordarsi con il solo principio della capacità contributiva (articolo 53 della Costituzione) e non con strumenti pensati (e legislativamente plasmati) per altri fini, come le sanzioni. In tal caso, si avrebbe solo un abuso dello strumento giuridico piegato per scopi che non sono quelli per cui esso è stato legislativamente disciplinato, secondo le medesime deplorevoli dinamiche dell’abuso del diritto. Il fondamento costitutivo dell’essenza della sanzione risiede nella giusta risposta dell’ordinamento a chi viola le sue regole e non per procurare gettito erariale, allo scopo di evitare squilibri di bilancio. Un Insigne costituzionalista (F. Moschetti) nel tempo ha insegnato come l’obbligazione tributaria non possa mai semplicisticamente derivare dalla soggezione all’autorità dello Stato, ma, proprio in quanto procede dalla collaborazione solidale delle persone, ogni persona deve essere in primis rispettata nella sua realtà specifica e quindi coinvolta nel dovere solo se e nei limiti in cui ciò corrisponda alla sua specifica capacità contributiva, intesa come perentorio limite alla discrezionalità del legislatore. E allora se tra Finanza pubblica e entrate erariali sussiste un esclusivo cordone ombelicale con il principio della capacità contributiva, che legittima copertura costituzionale, si può mai prospettare un diritto erariale commisurato a sanzioni riviste, perché constate essere inique?