4 Novembre 2024

Revocatoria per il trasferimento di immobili nell’accordo di separazione

di Angelo Ginex
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La scheda di FISCOPRATICO

Quando è ormai troppo tardi e non si è previsto nulla in ottica di protezione del patrimonio, sovente accade che qualcuno consigli comunque ai coniugi in regime di comunione legale dei beni di procedere ad un accordo di separazione con atto di trasferimento di beni immobili in favore dell’ex coniuge o del proprio figlio, al fine di provare a salvare il salvabile quando i creditori dell’altro o di uno dei due bussano alla porta.

Sul punto, è bene sottolineare prima di tutto un aspetto molto interessante. Gli atti di trasferimento di beni immobili, che vengano inseriti all’interno di un accordo di separazione e divorzio, non scontano alcuna tassazione. Ai sensi dell’articolo 19, L. 74/1987, infatti, sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa, tutti gli atti che comportano il trasferimento di beni immobili in caso di separazione e divorzio. La descritta agevolazione fiscale risponde alla finalità di non gravare di ulteriori oneri le famiglie già indebolite dalla crisi coniugale.

Ciò detto, occorre evidenziare che la soluzione da taluni prospettata, al netto del beneficio fiscale di cui si è appena detto, si rivela un rimedio peggio del male per la mera considerazione che, ove danneggi eventuali creditori, l’atto di trasferimento può essere revocato nel termine di cinque anni da quando è stato concluso. In particolare, i creditori possono esercitare l’azione revocatoria di cui all’articolo 2901 cod. civ. (c.d. actio pauliana), al fine di ottenere una pronuncia giudiziale di inefficacia degli atti di disposizione del patrimonio che arrechino un pregiudizio o mettano in pericolo le loro ragioni.

Appare evidente come la funzione di tale azione, dunque, sia analoga a quella di altri mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (ovvero, l’azione surrogatoria e il sequestro conservativo), e cioè quella conservativo-cautelare della garanzia patrimoniale a favore dei creditori.

I presupposti dell’azione revocatoria sono:

  • l’esistenza di un valido rapporto di credito tra chi agisce in revocatoria e il debitore disponente;
  • la conoscenza del pregiudizio in capo al debitore che l’atto arrecava alle ragioni del creditore (c.d. scientia damni) o comunque, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, che fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;
  • l’effettività del danno (c.d. eventus damni) consistente in un atto dispositivo del debitore in grado di alterare l’entità del suo patrimonio.

Inoltre, nel caso di atto a titolo oneroso, è richiesto che il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, in ipotesi di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione (c.d. partecipatio fraudis).

Per quanto concerne l’esistenza di un valido rapporto di credito, è stato precisato che l’articolo 2901, cod. civ., presuppone una nozione “lata” di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali criteri di certezza, liquidità ed esigibilità. Pertanto, anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare, sia che si tratti di credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito, l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore, precisando anche che non deve trattarsi di pretese che si rivelino prima facie pretestuose (Cassazione n. 23208/2016; Cassazione n. 5619/2016; Cassazione n. 1893/2012; Cassazione n. 20002/2008).

Al fine di esperire l’azione revocatoria, poi, non è necessario che la consistenza patrimoniale del debitore sia stata “totalmente compromessa, essendo sufficiente il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito (Cassazione n. 2971/1999). Ciò significa che può trattarsi sia di una modificazione quantitativa del patrimonio, sia di una variazione qualitativa dello stesso.

Infine, con riferimento al requisito della partecipatio fraudis, è stato precisato come non sia necessario che il terzo sia a conoscenza dello specifico credito vantato nei confronti del disponente, essendo sufficiente che egli sia in condizione di conoscere l’esistenza, anche supposta, di una ragione creditoria che possa essere oggetto di rivendicazione (Corte d’Appello di L’Aquila, sentenza del 21.3.2024).

Inoltre, occorre evidenziare che nella fattispecie prospettata sussiste altresì il rischio che l’Agenzia delle entrate possa contestare la simulazione e procedere al recupero delle imposte non versate, fermo restando che su di essa grava il difficile onere della prova circa l’uso strumentale della separazione.

Concludendo, nell’ottica di porre in essere validi strumenti di protezione patrimoniale, prima di “sposare” soluzioni dell’ultimo minuto (ad esempio, un eventuale accordo di separazione con atto di trasferimento di beni immobili in favore del proprio figlio) dirette a porre un argine all’aggressione da parte dei creditori, è necessario agire per tempo in modo da implementare strumenti che non possono essere in alcun modo oggetto di revocatoria.