Derivazione semplice e base imponibile Irap
di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365Il principio di derivazione, così come codificato dall’articolo 109, comma 4, Tuir, secondo cui “ Le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza.” è certamente uno dei punti cardine per la determinazione del reddito di impresa, ma in realtà la sua, per così dire, “ perfetta” applicazione, la possiamo rinvenire non tanto nel comparto Ires, quanto nella base imponibile Irap, di cui all’articolo 5, D.Lgs. 446/1997. In tale norma, si applica la quasi integrale coincidenza tra risultato del conto economico civilistico e base imponibile fiscale, laddove si afferma che “la base imponibile è determinata dalla differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell’articolo 2425 del codice civile, con esclusione delle voci di cui ai numeri 9), 10), lettere c) e d), 12) e 13) , nonché’ dei componenti positivi e negativi di natura straordinaria derivanti da trasferimenti di azienda o di rami di azienda, così come risultanti dal conto economico dell’esercizio.” .
A giudizio di chi scrive, nessuna altra norma, nella imposizione diretta, attua con più efficacia il principio di derivazione, tant’è che, a stretto ridosso della pubblicazione della L. 244/2007, l’Agenzia delle entrate è corsa ai ripari, pubblicando documenti interpretativi che tendevano a relativizzare la diretta correlazione tra conto economico e base imponibile della imposta regionale. Sul punto, si ricorderà la circolare n. 36/E/2009 che tentava di convincere il contribuente sulla convenienza ad applicare, anche nella base Irap, i vincoli ed i limiti previsti nel Tuir per la deduzione, ad esempio, dei costi auto ex articolo 164, Tuir. La citata circolare n. 36/E/2009, afferma: I componenti negativi correttamente imputati a conto economico in applicazione dei principi civilistici, in altri termini, sono normalmente connotati dal generale requisito di inerenza al valore della produzione Irap. Tale inerenza, che è declinata dal contribuente nella compilazione del conto economico, è tuttavia sindacabile dall’Amministrazione finanziaria in sede di controllo.”. Tentativo, un po’ maldestro, di depotenziare il significato della “ presa diretta dal conto economico “ presente nel citato articolo 5, D.Lgs 446/1997, tanto è che, a distanza di qualche mese (sempre nel 2009), l’Agenzia è stata costretta ad intervenire di nuovo con la successiva circolare n. 39/E/2009 per una sorta di rettifica, affermando che: “A chiarimento delle precisazioni fornite nel paragrafo 1.2 della circolare n. 36/E del 16 luglio 2009 l’Agenzia delle entrate ritiene opportuno puntualizzare che con tale intervento non si è inteso, né sarebbe stato possibile, reintrodurre il legame tra IRES e IRAP che è venuto meno a seguito dell’abrogazione dell’articolo 11-bis del decreto IRAP”.
Certamente il delicato tema della inerenza civilistica di un componente, quale presupposto indispensabile per la sua collocazione nel conto economico, non poteva essere risolto invocando la applicazione di una “inerenza forfettizzata”, così come fanno alcune norme del Tuir, ma ciò non toglie che esista un tema di fondo che possiamo declinare nel seguente modo:
L’inserimento di un componente negativo nel conto economico civilistico assegna a quel componente la patente di inerenza o serve un quid pluris, e se serve a chi compete dimostrarne la sussistenza?
Questa è una tematica centrale nella prassi operativa quotidiana, in cui si possono rinvenire molteplici esempi di piccole società di capitali a ristretta base societaria, in cui il socio dominus inserisce nel bilancio componenti negativi di dubbia inerenza (es. articoli di abbigliamento personale) che non trovano contestazioni da parte dei soci in sede di approvazione del bilancio, proprio a causa della assenza di contrasto di interessi tra i soci stessi (magari marito e moglie o situazioni similari ).
Ebbene, va rilevato che secondo la giurisprudenza della Cassazione (sentenza n. 781/2024) pur di fronte al principio di presa diretta della base imponibile Irap dal conto economico, non si può non riconoscere all’Agenzia delle entrate, il diritto di contestare l’inerenza dei costi: “sul punto occorre, tuttavia, richiamare il condivisibile principio espresso da questa Corte, secondo il quale, “In tema di determinazione della base imponibile dell’IRAP, ai sensi dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 446 del 1997, come modificato dall’ articolo 1, comma 50, lett. a), della L. n. 244 del 2007 (applicabile “ratione temporis”), la regola della derivazione dei costi sostenuti dal conto economico non esclude il controllo sull’inerenza dei medesimi, ossia la verifica della corretta appostazione degli stessi in detto conto rispetto ai principi civilistici e contabili nazionali“ (grassetto nostro). Ed ancora, sempre la cassazione, con la sentenza n. 7231/2016, afferma che non è sufficiente la contabilizzazione del costo nel conto economico per farlo diventare ipso facto un costo inerente.
Ma quando la Suprema corte e l’Agenzia delle entrate invocano la sussistenza dell’inerenza di un costo sulla base di ciò che emerge nei Principi Contabili, a cosa fanno riferimento con precisione?
In materia di postulati del bilancio, il principio contabile OIC 11 ne cita alcuni (prudenza, continuità aziendale, rappresentazione sostanziale, competenza, costanza nei criteri valutativi, rilevanza e comparabilità), ma non espressamente il concetto di inerenza che, evidentemente, è considerato un elemento immanente. L’unica definizione di inerenza la possiamo rinvenire tornando all’articolo 109, comma 5, Tuir, quando si mette a fuoco la correlazione tra il costo e l’attività dalla quale promanano i ricavi. Ecco, l’unico riferimento guida sul concetto di inerenza, che esprime un criterio condivisibile, a condizione che non si pretenda di applicarne il concetto, utilizzando i modelli forfettari che sono presenti nel Tuir.
Ma tornando al tema della efficacia dell’articolo 5, D.Lgs. 446/1997, in tema di rapporto performante tra conto economico e base imponibile Irap vanno segnalati 2 esempi, in relazione ai quali la Cassazione ha recentemente bocciato i tentativi della Agenzia delle entrate di limitarne la portata.
In primo luogo, il tema della deducibilità della componente terreno presente nella quota capitale dei canoni leasing immobiliari. Ancora oggi, le Istruzioni al modello Irap prescrivono di operare la variazione in aumento nel rigo IC 51, cod 99, invocando la analoga indeducibilità della quota terreno nel processo di ammortamento. Tentativo bocciato dalla sentenza n. 6492/2023 che non rinvenendo una esplicita norma di indeducibilità nell’articolo 5, D.Lgs. 446/1997, ritiene coretto applicare il principio di derivazione in ordine ad un componente che trova collocazione nella voce B8 della area dei costi della produzione del conto economico.
In secondo luogo, il tema dei costi auto dedotti integralmente ai fini Irap da una Srl, senza applicare i limiti del 20% previsti dall’articolo 164 del Tuir. Ebbene, sul punto è chiara nella sua sinteticità la Sentenza 11791/2024 quando afferma che: “Ai fini Irap, la determinazione della base imponibile trova la sua disciplina nell’ articolo 5 del DLgs. n. 446 del 1997, con la conseguenza che non si applica l’articolo 164 TUIR ed il conseguente limite di deducibilità dei costi del 20%”.