Le spese di ospitalità del fornitore
di Roberto CurcuSpesso, quando si commissionano certe prestazioni di servizi, vengono sostenute delle spese per l’ospitalità (vitto, viaggio ed alloggio) dei propri fornitori. Si pensi al caso in cui si organizzino dei meeting con la forza vendite (agenti), ai pranzi offerti durante degli audit/revisioni, all’albergo pagato ai dipendenti di aziende fornitrici per interventi di manutenzione, alle spese che si riconoscono ai professionisti, ulteriori rispetto a quelle di onorario professionale. Le casistiche pratiche sono molteplici, ed altrettante possono essere le soluzioni fiscali.
La prima grande distinzione da effettuare riguarda il soggetto che ha sostenuto la spesa. Se le spese per viaggio, vitto e alloggio sono sostenute direttamente da un fornitore che è soggetto passivo Iva, queste concorreranno a formare la base imponibile della sua fattura, in cumulo con il proprio compenso. Ad esempio, l’avvocato che chiede un onorario di euro 1.000 per una pubblica udienza, alla quale vanno aggiunte le spese vive, e che sostiene direttamente euro 100 + Iva per un albergo, dovrà emettere fattura di euro 1.100 + Iva al proprio committente. Se l’avvocato si è comportato in modo scrupoloso, avrà in mano la fattura dell’albergo, intestata a suo nome, e della stessa potrà portare in detrazione l’Iva.
Diverso è il caso in cui le spese di ospitalità sono sostenute direttamente dal cliente: su tali fattispecie, esistono molte variabili da analizzare, la prima delle quali è chiedersi se le stesse non costituiscano delle spese di rappresentanza. Le spese di rappresentanza, lo ricordiamo, sono delle erogazioni gratuite che hanno fini promozionali o di pubbliche relazioni, e che sono rese a favore di clienti o potenziali clienti, o comunque di soggetti coi quali l’azienda ha interesse ad intrattenere pubbliche relazioni, ovverosia creare quelle azioni che hanno lo scopo di diffondere o consolidare l’immagine verso il pubblico, in modo da farne crescere l’apprezzamento, ancorché senza una diretta correlazione con i ricavi.
Nella circolare n. 34/E/2009, l’Agenzia delle entrate ha individuato delle categorie di soggetti destinatari delle spese di pubbliche relazioni, citando – oltre ai clienti coi quali si fanno anche attività promozionali – i rappresentanti delle amministrazioni, delle associazioni di categoria e di quelle sindacali. Riguardo ai fornitori, la richiamata circolare si è soffermata solamente per precisare che è esclusa la piena deducibilità del costo se si dovessero sostenere delle spese per ospitalità di fornitori nel corso di una fiera, precisando, tuttavia, che con riguardo agli agenti (che sono fornitori anche essi…) il decreto riguardante le spese di rappresentanza non posiziona tali spese né come quelle “di rappresentanza”, né tra quelle “non di rappresentanza”, con la conseguenza che “l’inerenza deve essere valutata alla stregua dei principi generali dell’articolo 109 del Tuir, prescindendo dall’applicazione della disposizione in esame”. In sostanza, vi sono casi in cui al fornitore viene offerto viaggio, vitto e alloggio per motivi di pubbliche relazioni, ed altri casi in cui le motivazioni sono altre. Tra queste motivazioni, un esempio è riportato dalla circolare n. 31/E/2014, nella quale l’Agenzia delle entrate, con riferimento alle spese di vitto e alloggio che un soggetto offre ad un professionista, precisa che la funzione di tali spese si considera assorbita dalla prestazione di servizi resa dal professionista stesso. Per fare un esempio, se una impresa, per avere la prestazione di un professionista (ipotesi un formatore), gli paga vitto e alloggio, quando registrerà le fatture di albergo e ristorante potrà imputare tali costi alla voce utilizzata per registrare la fattura del compenso del professionista, con le relative regole di deducibilità; questo perché l’Agenzia delle entrate ritiene che per l’azienda il regime fiscale deve essere analogo a quello che avrebbe se il professionista avesse sostenuto le spese e le avesse riaddebitate: se, quindi, la voce di costo dovesse essere “formazione dipendenti”, in tale voce ci andrebbe la fattura del professionista, e quella di albergo e ristorante, non subendo – in tale caso – nessun limite alla deducibilità. L’Agenzia delle entrate, nella circolare n. 31/E/2014, non entra nel merito dell’Iva, ma è evidente che il ragionamento che ha elaborato ai fini delle imposte dirette esclude che le stesse spese possano qualificarsi di rappresentanza, in quanto non sono state sostenute per pubbliche relazioni.
Sull’Iva, la Corte di Giustizia UE nel caso C-371/07 è intervenuta sulla fattispecie di due imprese farmaceutiche che sostenevano delle spese per dei buffet organizzati in occasione di riunioni di lavoro, statuendo che, in tale caso, la disciplina Iva applicabile deve tenere in conto che esiste un interesse aziendale al sostenimento della spesa (diminuire i tempi delle pause) che è prevalente ed assorbente rispetto al vantaggio “privato” che potrebbe derivare agli ospiti, i quali si limitano a consumare un pasto scelto (nei modi e nei tempi) da altri soggetti; in sostanza, spese di questo tipo non possono certamente qualificarsi come “di rappresentanza”.
Sulla stessa lunghezza d’onda, l’Associazione Italiana Dottori Commercialisti che, con la Norma di Comportamento 177, ha escluso la natura di spesa di rappresentanza alle spese che sostiene la casa mandante per i meeting con la forza vendite (agenti), in quanto la natura della spesa non è né promozionale, né di pubbliche relazioni.
Una domanda che spessa capita nella pratica, è come gestire le spese sostenute per ospitare i dipendenti di società proprie fornitrici. In sostanza, ci si chiede perché nella circolare n. 31/E/2014, l’Agenzia delle entrate ha precisato che le spese di vitto e alloggio sostenute per mettere un professionista nelle condizioni di svolgere la propria prestazione non si qualificano come spesa di rappresentanza, e non ha fornito analoga precisazione con riguardo a fornitori “imprenditori” ed ai loro dipendenti. Sul punto, in mancanza di chiarimenti, mi sento di esporre il mio punto di vista. In primo luogo, l’Agenzia delle entrate si è soffermata sulle spese offerte al fornitore professionista, in quanto stava commentando una modifica normativa che interessava esclusivamente i professionisti i quali – prima di tale modifica normativa – non potevano di fatto farsi pagare vitto e alloggio dai loro fornitori; non c’è, quindi, una volontà di differenziare le spese di vitto e alloggio offerte ad un percettore di reddito di lavoro autonomo rispetto ad un percettore di reddito di impresa, anche perché – dal punto di vista Iva – ciò non sarebbe proprio possibile. Chi scrive ritiene, quindi, che, se la spesa di ospitalità del fornitore è funzionale a metterlo nella condizione di rendere il proprio servizio, e non ha uno scopo di pubbliche relazioni, la spesa non può essere qualificata di rappresentanza, né se il fornitore è un professionista, né che lo stesso sia una piccola impresa o una grande società. In secondo luogo, mi sento di far notare che caratteristica essenziale della spesa di rappresentanza è la gratuità, che viene meno ogni volta una cosa sia fatta per obbligo. Qualora dalle pattuizioni contrattuali risulti che il cliente ha l’obbligo di fornire vitto e alloggio ai dipendenti del fornitore, la mancanza della gratuità esclude che si possa parlare di spesa di rappresentanza.