La diversa configurazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva in sede di conferimento
di Domenico SantoroGianluca CristoforiCon il presente breve contributo si intende portare all’attenzione del lettore quanto chiarito dall’Agenzia delle entrate, con la risposta a interpello n. 171/E/2024, in merito alla diversa configurazione della base imponibile ai fini dell’Ires, dell’Irap e dell’Iva, in ipotesi di conferimento di beni che non configurino un complesso aziendale. Per ciascuno di tali tributi è stato, infatti, chiarito quale debba essere il parametro di riferimento per la quantificazione dell’imposta eventualmente dovuta, tenuto anche conto delle specificità che contraddistinguono ciascun settore impositivo, fornendo altresì un chiarimento sugli effetti prodotti dall’esistenza di clausole di conguaglio, tra conferente e conferitario, volte a regolare le differenze di valore eventualmente registrate nelle more del perfezionamento dell’operazione.
Breve premessa sul caso oggetto dell’istanza di interpello
Com’è noto, sia in sede di costituzione di una società di capitali, sia in sede di successivo aumento del relativo capitale sociale, è consentito ai soci conferire beni in natura, il cui valore deve risultare da una relazione giurata da un esperto che attesti che il valore di tali beni è almeno pari a quello a essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sovrapprezzo.
In tal senso:
- per il conferimento in Spa di nuova costituzione, l’articolo 2343, comma 1, cod. civ. prevede che “Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal Tribunale nel cui circondario ha sede la società, contenente la descrizione dei beni o dei crediti conferiti, l’attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale soprapprezzo e i criteri di valutazione seguiti. La relazione deve essere allegata all’atto costitutivo”[1];
- per il conferimento in Spa preesistente, l’articolo 2440, comma 1, cod. civ. dispone che “Se l’aumento di capitale avviene mediante conferimento di beni in natura o di crediti si applicano le disposizioni degli articoli 2342, terzo e quinto comma, e 2343”[2];
- per il conferimento in Srl di nuova costituzione, l’articolo 2464, commi 2 e 5, prevedono che “Possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica. … Per i conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255. Le quote corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione”. Il successivo articolo 2465, primo comma, del Codice civile dispone, inoltre, che “Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un revisore legale o di una società di revisione legali iscritti nell’apposito registro. La relazione, che deve contenere la descrizione dei beni o crediti conferiti, l’indicazione dei criteri di valutazione adottati e l’attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale soprapprezzo, deve essere allegata all’atto costitutivo”;
- da ultimo, per il conferimento in Srl preesistente, l’articolo 2481-bis, comma 4, ultimo periodo, cod. civ. prevede che “Per i conferimenti di beni in natura o di crediti si applica quanto disposto dal quinto comma dell’articolo 2464”.
Nel caso oggetto della risposta a interpello n. 171/E/2024, una Spa (Alfa) ha costituto una Srl, a beneficio della quale ha eseguito un conferimento di beni necessari per consentirle di svolgere la propria attività. Da quanto si apprende dalla lettura del documento di prassi, la relazione di stima, redatta ai sensi di quanto previsto dall’articolo 2465, cod. civ., ha attestato che il valore dei beni conferiti era almeno pari a quello a essi attribuito ai fini della determinazione dell’aumento di capitale sociale e del sovrapprezzo.
Come inevitabilmente accade, tale relazione di stima è stata redatta con riferimento a una data antecedente rispetto a quella di efficacia del conferimento, prevedendo così una specifica pattuizione di conguaglio tra le parti, in ragione e a rimedio delle eventuali differenze di valore riscontrabili tra la data di riferimento della perizia e quella di efficacia dell’operazione.
I dubbi interpretativi sottoposti dal contribuente all’Agenzia delle entrate riguardano, anche alla luce dell’applicazione della predetta clausola di conguaglio:
- la determinazione della base imponibile ai fini dell’Iva in relazione ai beni conferiti, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 13, comma 1, D.P.R. 633/1972;
- la determinazione del “corrispettivo” da confrontare con il residuo costo non ammortizzato, al fine di determinare la plus/minusvalenza rilevante ai fini dell’Ires e dell’Irap, ai sensi di quanto previsto dagli articoli 9, 86 e 101, Tuir, nonché dall’articolo 5, D.Lgs. 446/1997.
La soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
A parere del contribuente, ai fini dell’Iva, assunto che il conferimento di beni effettuato nell’esercizio dell’attività d’impresa rappresenta un’operazione assimilata a una cessione a titolo oneroso, in ragione di quanto previsto dall’articolo 2, D.P.R. 633/1972, il “corrispettivo” sul quale calcolare l’Iva, nel caso di specie, dovrebbe essere individuato in quello liberamente stabilito tra le parti ed effettivamente “realizzato”, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 13, comma 1, D.P.R. 633/1972, tenuto conto che il conferimento non rappresenta un’operazione conclusa “a titolo gratuito” o per finalità estranee all’esercizio dell’attività d’impresa, né un’operazione di carattere strettamente permutativo. Detto in altri termini, il corrispettivo da assoggettare all’Iva dovrebbe essere costituito dal valore attribuito ai beni ai fini della determinazione dell’aumento di capitale sociale e del sovrapprezzo, considerato che il conferimento dei beni è direttamente collegato all’aumento di capitale sociale ricevuto dalla società conferitaria, a nulla rilevando – secondo il contribuente – l’entità dell’eventuale conguaglio di valore.
Sempre a parere del contribuente, inoltre, ai fini dell’Ires e dell’Irap, il valore normale da considerare ai fini della determinazione della plus/minusvalenza da realizzo dei beni, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 9, comma 2, Tuir, sarebbe sempre da individuare nell’aumento di capitale sociale e nel sovrapprezzo, considerato che l’ammontare ricevuto dal conferente a titolo di capitale sociale e di sovrapprezzo costituisce un “corrispettivo” valutato, in sede di perizia di stima, come congruo rispetto al valore massimo dei beni conferiti, a nulla rilevando l’entità del relativo valore “normale” e dell’eventuale succitato conguaglio di valore da regolarsi in denaro.
I chiarimenti dell’Agenzia delle entrate
Da quanto si evince dal testo della risposta all’istanza di interpello in commento, l’Agenzia delle entrate ha confermato che il conferimento di beni effettuato nell’esercizio dell’attività d’impresa rappresenta, ai fini dell’Iva, un’operazione assimilabile a una cessione a titolo oneroso, in ragione di quanto previsto dall’articolo 2, D.P.R. 633/1972. Più in dettaglio, i conferimenti in società effettuati da soggetti passivi dell’Iva rientrano nel normale ambito di applicazione del tributo, a seguito dell’abrogazione dell’articolo 2, comma 3, lettera b), D.P.R. 633/1972, il quale escludeva, in precedenza, tali conferimenti dal novero delle operazioni rilevanti ai fini dell’Iva[3]. L’attuale formulazione dell’articolo 2, comma 3, lettera b), D.P.R. 633/1972 prevede, infatti, che non sono considerate cessioni di beni ai fini dell’Iva, “b) le cessioni e i conferimenti in società o altri enti, compresi i consorzi e le associazioni o altre organizzazioni, che hanno per oggetto aziende o rami di azienda;” (sottolineatura aggiunta).
Con la circolare n. 328/1997, il Mef aveva peraltro già chiarito che “L’articolo 1, comma 1 del decreto legislativo n. 313del 1997 in esame ha apportato alcune modifiche all’articolo 2, terzo comma del D.P.R. 633 del 1972, riformulando la lettera b) e sopprimendo le lettere e) ed h). La nuova formulazione della citata lettera b) è intesa ad attrarre nel campo di applicazione del tributo, come previsto dalla VI Direttiva C.E.E. n.77/388 del 17 maggio 1977, i conferimenti di singoli beni, non costituenti azienda o rami di azienda”.
In ragione di quanto fin qui rappresentato, ne consegue una sostanziale equiparazione di trattamento ai fini dell’Iva tra la compravendita e il conferimento di beni.
Per quanto concerne, invece, la determinazione della base imponibile da assoggettare all’Iva nel caso di specie, occorre innanzitutto ricordare che l’articolo 73, Direttiva 2006/112/CE stabilisce che, “Per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi diverse da quelle di cui agli articoli da 74 a 77, la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni”[4].
Come precisato a più riprese dalla Corte di Giustizia UE[5], “… la base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio effettuate a titolo oneroso è costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto a tal fine dal soggetto passivo. Tale corrispettivo rappresenta il valore soggettivo, ossia il valore realmente percepito e non un valore stimato secondo criteri oggettivi”.
Tale regola generale trova un’eccezione nelle tassative fattispecie rappresentante dall’articolo 80, Direttiva 2006/112/CE, rubricato “Legami familiari o vincoli personali”, alle quali l’Iva si applica prendendo a riferimento, quale base imponibile, il valore normale dell’operazione.
Come precisato a più riprese dalla Corte di Giustizia UE[6], “… le condizioni di applicazione stabilite dall’articolo 80, paragrafo 1, della direttiva Iva sono tassative e, pertanto, una normativa nazionale non può prevedere, sul fondamento di tale disposizione, che la base impositiva sia pari al valore normale dell’operazione in casi diversi da quelli elencati nella citata disposizione, in particolare qualora il prestatore, il cedente o l’acquirente abbia diritto a detrarre interamente l’Iva”[7].
La descritta normativa comunitaria ha trovato attuazione nell’ordinamento domestico nell’articolo 13, D.P.R. 633/1972, che:
- al comma 1, reca la regola generale per la determinazione della base imponibile per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, prevedendo che “… è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti”[8];
- al comma 3, reca invece le eccezioni alla regola generale, per i casi tassativamente previsti – che riguardano, principalmente, le operazioni (imponibili, assimilate ed esenti) tra soggetti correlati in cui una delle parti possa esercitare il diritto alla detrazione Iva in misura limitata[9] – per i quali la base imponibile è rappresentata dal valore normale dell’operazione.
In ragione del descritto quadro normativo, l’Agenzia delle entrate ha quindi precisato che il “corrispettivo” della società conferente – ovverosia la base imponibile su cui applicare l’Iva – deve essere individuato nell’aumento di capitale, comprensivo del sovrapprezzo, registrato presso la società conferitaria, maggiorato in ragione delle somme erogate da quest’ultima alla conferente, a titolo di conguaglio per le eventuali differenze positive di valore rilevate nella consistenza dei beni tra la data di efficacia del conferimento e quella di riferimento della perizia di stima. Tale conguaglio di valore risulta, infatti, strettamente connesso all’operazione di conferimento, in quanto eseguito in ragione del maggior valore dei beni conferiti emerso nelle more dell’esecuzione dell’operazione.
Con riguardo alla determinazione della plus/minusvalenza, rilevante ai fini dell’Ires e dell’Irap, che scaturisce dalla descritta operazione di conferimento, l’Agenzia delle entrate non ha poi ritenuto di condividere la tesi interpretativa prospettata dal contribuente, a parere del quale – si rammenta – il valore normale da considerare ai fini della determinazione della plus/minusvalenza da realizzo dei beni sarebbe da individuare puntualmente nell’aumento di capitale sociale e nell’eventuale sovrapprezzo.
L’Agenzia delle entrate, infatti, ha innanzitutto osservato che il reddito imponibile derivante dal conferimento di beni è costituito dalla differenza tra il “corrispettivo” conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il residuo costo non ammortizzato del bene conferito, così come previsto dagli articoli 9, comma 5, 86 e 101, Tuir.
In merito alla nozione di “corrispettivo conseguito”, l’articolo 9, comma 2, Tuir, per quanto di interesse in questa sede, stabilisce che “In caso di conferimenti o apporti in società o in altri enti si considera corrispettivo conseguito il valore normale dei beni e dei crediti conferiti”, ove, per valore normale, deve intendersi “… il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore”[10].
Nonostante il sindacato sul valore “normale” dei beni conferiti esuli evidentemente dai poteri dell’Agenzia delle entrate esercitabili in sede di interpello, in quanto relativo alla successiva fase di accertamento (c.d. accertamento di fatto)[11], l’Agenzia delle entrate ha comunque precisato di non poter ritenere concettualmente condivisibile la tesi interpretativa prospettata dal contribuente, in quanto l’importo corrispondente all’aumento del capitale sociale e del sovrapprezzo, in un’operazione di conferimento, non necessariamente coincide con il “valore normale” del bene conferito. Nel caso di specie, tale conclusione è, peraltro, avvalorata anche dalla perizia prodotta dal contribuente, nella quale pare fosse indicato un “valore normale di mercato” dei beni conferiti superiore al valore dell’aumento di capitale sociale e relativo sovrapprezzo.
Con riferimento, infine, alla modalità di determinazione della base imponibile rilevante ai fini dell’Irap, l’Agenzia delle entrate ha semplicemente ricordato che il principio generale che sorregge il relativo sistema impositivo è quello della c.d. “presa diretta dal bilancio”, con riguardo alle voci espressamente individuate e considerate rilevanti ai fini impositivi. Più in dettaglio, a seguito dell’abrogazione dell’articolo 11-bis, D.Lgs. 446/1997 – che riconosceva la rilevanza ai fini dell’Irap delle variazioni fiscali effettuate ai fini delle imposte sul reddito – si è registrato uno “sganciamento” del tributo regionale dalla base imponibile ai fini dell’Ires, rendendo, in tal modo, le modalità di calcolo della base imponibile ai fini dell’Irap più aderenti ai criteri adottati in sede di redazione del bilancio di esercizio.
Brevi considerazioni in merito all’oggetto del conferimento
Da ultimo, merita segnalare che, dalla lettura della risposta a interpello n. 171/E/2024, emerge che “Il presente parere … non riguarda l’eventuale qualifica di “ramo d’azienda” dei beni conferiti dall’Istante”. Detto in altri termini, l’Agenzia delle entrate ha reso la propria risposta assumendo legittimamente come presupposto – ovverosia come dato dichiarato dal contribuente, sul quale nessuna richiesta di parere era stata avanzata – che oggetto del conferimento fosse effettivamente un coacervo di beni diverso da un’azienda o da ramo d’azienda.
Sovente, tuttavia, la distinzione tra un coacervo di beni e un “… complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”[12] non rappresenta un esercizio agevole, come testimoniato dalla copiosa giurisprudenza formatasi sul tema[13] e dai numerosi documenti di prassi, anche molto recenti[14].
Si tenga conto che l’eventuale contestazione, eseguita a posteriori, circa l’oggetto del conferimento, ovverosia in ordine alla sussistenza o no di un’azienda o di un ramo d’azienda, determina conseguenze di non poco conto, in quanto, a differenza del conferimento di beni:
- ai fini dell’Iva, il conferimento d’azienda o di un ramo d’azienda è un’operazione estranea al campo di applicazione del tributo, non essendo equiparata a una cessione a titolo oneroso, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 2, comma 3, lettera b), D.P.R. 633/1972;
- ai fini dell’Ires, il conferimento d’azienda o di un ramo d’azienda è un’operazione neutrale (quantomeno ove eseguita in regime d’impresa commerciale) e, come tale, non determina l’insorgere di plus/minusvalenze fiscalmente rilevanti, in ragione di quanto previsto dall’articolo 176, Tuir.
Nei casi dubbi, invero non infrequenti, è quindi buona norma quella di chiedere preventivamente all’Agenzia delle entrate il proprio parere, mediante la presentazione di un’istanza di interpello di tipo “qualificatorio”, così come previsto dall’articolo 11, comma 1, lettera b), L. 212/2000. In questo modo il contribuente, dimostrando la proprio buona fede, sottopone preventivamente il dubbio di carattere “qualificatorio” all’Amministrazione finanziaria, potendosi così poi conformare alla risposta ottenuta, evitando altrimenti possibili contestazioni “a posteriori”, con effetti potenzialmente molto rilevanti sul piano sanzionatorio.
In ragione di quanto fin qui rappresentato, destano, quindi, non poche perplessità le conclusioni cui è pervenuta, per esempio, in data 15 luglio 2024, la DRE del Friuli Venezia Giulia, a parere della quale sarebbe inammissibile il quesito con il quale il contribuente intenderebbe conoscere se, a parere dell’Amministrazione finanziaria, un’operazione di conferimento sia da qualificare come avente per oggetto un’azienda oppure un diverso coacervo di beni.
Nella risposta è stato infatti inspiegabilmente affermato che, “… il … quesito sollevato dall’istante risulta inammissibile, ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (recante lo Statuto dei diritti del contribuente), come novellato dall’articolo 1 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156. Per quanto qui di interesse, tale decreto ha riformulato, con decorrenza 1° gennaio 2016, l’articolo 5, comma 1, lettera c) della citata legge, disponendo che sono da considerare inammissibili le istanze per le quali non ricorrono le obiettive condizioni d’incertezza sull’interpretazione di norme fiscali, ai sensi dell’articolo 11, comma 4, dello Statuto dei diritti del contribuente. Sul punto, la circolare 4/E del 7 maggio 2021 ha ulteriormente chiarito che “sono escluse dall’area dell’interpello, le istanze con le quali il contribuente si limita a richiedere esclusivamente un accertamento di tipo tecnico, nel senso precisato dalla circolare 9/E del 1° aprile 2016…)”. Nel caso in esame, l’interpellante non chiede chiarimenti sulla corretta interpretazione di norme tributarie di obiettiva e incerta applicazione rispetto ad un caso concreto e personale e nemmeno su quale sia la corretta qualificazione di situazioni che implichino l’applicazione di norme tributarie, ma si limita a chiedere una conferma – su un caso peraltro futuro e solo eventuale, espresso dall’istante in termini di mera “intenzione” – in merito a valutazioni che l’Agenzia delle entrate potrà esprimere solamente in sede di eventuali controlli. Si osserva quindi che esula dalle prerogative esercitabili dalla scrivente in sede di interpello attestare se un’operazione, come quella descritta, possa o meno rappresentare un conferimento d’azienda, poiché tale valutazione presuppone accertamenti di fatto che non rientrano nelle competenze esercitabili in questa sede. … Seppure, in linea teorica, tale operazione potrebbe essere definita come un conferimento d’azienda, si ribadisce che, in sede di interpello, non è possibile attestare che i beni conferiti configurino in concreto un’azienda. Una simile conclusione presupporrebbe infatti, una valutazione concreta sull’attività svolta, valutazione che risulta di esclusiva competenza degli organi di questa Amministrazione preposti all’attività di controllo”.
Diversamente da quanto asserito nella risposta, con la circolare n. 9/E/2016 la stessa Agenzia delle entrate aveva infatti precisato che: “Con la previsione di un interpello ordinario di tipo “qualificatorio” il legislatore, in altre parole, ha riconosciuto la vocazione espansiva dell’interpello ordinario, esplicitando l’applicabilità dell’istituto anche ai casi in cui oggetto di obiettiva incertezza non è la norma tributaria in quanto tale, ma la qualificazione giuridico-tributaria della fattispecie prospettata dal contribuente, quando cioè quest’ultimo ha dubbi sulla qualificazione del fatto e, dunque, sull’applicazione della norma, più che sull’interpretazione della medesima. La relazione illustrativa al decreto menziona, a titolo esemplificativo, le seguenti ipotesi: la valutazione della sussistenza di un’azienda …” (sottolineatura aggiunta).
Nel caso di specie, quindi, l’Amministrazione finanziaria si è purtroppo inspiegabilmente sottratta ai propri doveri, lasciando il contribuente privo di una tutela invece prevista per legge e confermata dalla prassi della medesima Agenzia delle entrate.
[1] Com’è noto, tale relazione di stima non è invece richiesta nei casi previsti dall’articolo 2343-ter, cod. civ., essendo previste tutele e prescrizioni di altra natura.
[2] L’articolo 2440, commi 3 e 4, cod. civ., richiama esplicitamente l’articolo 2343-ter, cod. civ. e ne coordina le modalità applicative in caso di aumento del capitale sociale.
[3] Tale abrogazione è avvenuta, con effetti dal 1° gennaio 1998, per effetto dell’articolo 1, comma 1, D.Lgs. 313/1997, emanato ai fini dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle previsioni contenute nella Direttiva Iva.
[4] Gli articoli da 74 a 77, Direttiva 2006/112/CE disciplinano, rispettivamente, le “Operazioni di prelievo o di destinazione di un bene”, le “Prestazioni di servizi”, il “Trasferimento a destinazione di un altro Stato membro” e le “Prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo per le esigenze della sua impresa”.
[5] Ex multis, sentenze cause riunite C-249/12 e C-250/12 del 7 novembre 2013, causa C-549/11 del 19 dicembre 2012 e cause riunite C-621/10 e C-129/11 del 26 aprile 2012.
[6] Ex multis, sentenze causa C-453/05 del 21 giugno 2007, Ludwig e C-41/09 del 3 marzo 2011, Commissione/Paesi Bassi.
[7] Cfr. sentenza causa C-621/10 del 26 aprile 2012.
[8] Cfr. articolo 13, comma 1, D.P.R. 633/1972.
[9] “In deroga al comma 1:
a) per le operazioni imponibili effettuate nei confronti di un soggetto per il quale l’esercizio del diritto alla detrazione è limitato a norma del comma 5 dell’articolo 19, anche per effetto dell’opzione di cui all’articolo 36-bis, la base imponibile è costituita dal valore normale dei beni e dei servizi se è dovuto un corrispettivo inferiore a tale valore e se le operazioni sono effettuate da società che direttamente o indirettamente controllano tale soggetto, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla il predetto soggetto;
b) per le operazioni esenti effettuate da un soggetto per il quale l’esercizio del diritto alla detrazione è limitato a norma del comma 5 dell’articolo 19, la base imponibile è costituita dal valore normale dei beni e dei servizi se è dovuto un corrispettivo inferiore a tale valore e se le operazioni sono effettuate nei confronti di società che direttamente o indirettamente controllano tale soggetto, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla il predetto soggetto;
c) per le operazioni imponibili, nonché per quelle assimilate agli effetti del diritto alla detrazione, effettuate da un soggetto per il quale l’esercizio del diritto alla detrazione è limitato a norma del comma 5 dell’articolo 19, la base imponibile è costituita dal valore normale dei beni e dei servizi se è dovuto un corrispettivo superiore a tale valore e se le operazioni sono effettuate nei confronti di società che direttamente o indirettamente controllano tale soggetto, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla il predetto soggetto;
d) per la messa a disposizione di veicoli stradali a motore nonché delle apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di telecomunicazioni e delle relative prestazioni di gestione effettuata dal datore di lavoro nei confronti del proprio personale dipendente la base imponibile è costituita dal valore normale dei servizi se è dovuto un corrispettivo inferiore a tale valore”.
[10] Cfr. articolo 9, comma 3, Tuir.
[11] Cfr. circolare n. 9/E/2016.
[12] Cfr. articolo 2555, cod. civ..
[13] Ex multis, Cassazione n. 8678/1991, n. 8362/1992, n. 4319/1998, n. 897/2002, n. 19544/2009, n. 4774/2012, n. 19544/2012, n. 28400/2013, n. 10215/2016, n. 15175/2016, n. 8769/2017, n. 23143/2017 e, più di recente, n. 8805/2024 e n. 14535/2024. Tra le altre, sia consentito un rinvio, a titolo esemplificato, a talune delle pronunce della Corte di Giustizia UE sulla tematica: sentenze causa C-497/01 del 27 novembre 2003 e causa C-444/10 del 10 novembre 2011.
[14] Ex multis, risposte a interpello n. 46/E/2022, n. 151/E/2022, n. 549/E/2022, n.404/E/2023, n. 455/E/2023, n. 473/E/2023 e n. 149/E/2024.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La rivista delle operazioni straordinarie”.