Il costo fiscalmente riconoscibile all’area acquisita per donazione nel reddito di lavoro autonomo e d’impresa
di Luciano SorgatoL’articolo 8, DLgs. di riforma dell’Irpef e dell’Ires attuativo della L. 111/2023 (Legge delega di riforma fiscale), apporta delle modifiche all’articolo 68, Tuir, ed in particolare sostituisce il comma 2, quarto periodo, disponendo che: “Per i terreni acquistati per effetto di successione si assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nella relativa dichiarazione ……Per i terreni acquistati per effetto di donazione si assume come prezzo di acquisto quello sostenuto dal donante aumentato dell’imposta sulle donazioni nonché di ogni altro costo successivo inerente”.
Trattasi di una modifica che, in virtù della sua inclusione nell’articolo 68, Tuir, raccorda il suo valore disciplinare ad un parametro determinativo che parrebbe potersi impiegare solo nell’ambito dei redditi diversi, allo scopo di evitare le precedenti triangolazioni sospette nell’imminenza della vendita del terreno preclusive dell’emersione delle plusvalenze. In tale sede, si vuole verificare la portata della modifica con riferimento ai redditi di lavoro autonomo e d’impresa. In altri termini, le fattispecie che si vogliono considerare riguardano la costruzione di un immobile su un’area acquisita gratuitamente da un lavoratore autonomo, successivamente impiegato esclusivamente nell’esercizio della professione e conclusivamente venduto, in unione con l’altro caso di costruzione di un immobile da parte di un imprenditore su un’area sempre acquisita gratuitamente ed iscritta nelle scritture contabili d’impresa (articolo 65, Tuir).
In ordine al professionista, l’immobile, anche se non ammortizzabile, assume la connotazione di bene strumentale, nel caso venga destinato esclusivamente all’esercizio della professione, secondo le precise prescrizioni dell’articolo 43, comma 2, Tuir, per cui, in caso di successiva vendita, esso è nella potenziale condizione di generare la fattispecie di plusvalenza realizzata, di cui al comma 1bis, dell’articolo 54, Tuir. In tale caso, si tratta di accertare il quantum della plusvalenza fiscalmente rilevante, facendo dipartire l’esame dal comma 1 ter, dell’articolo 54, Tuir, il quale correla, in senso generale, la determinazione delle plusvalenze alla differenza positiva tra il corrispettivo percepito ed il relativo costo non ammortizzato. Vanno, quindi, individuate le componenti costitutive del sottraendo (il costo non ammortizzato), ossia se esso possa essere inteso inclusivo, oltre che dei costi di costruzione, anche dell’area acquisita gratuitamente in raccordo con il costo sostenuto dal donante. In ordine alla questione posta, non si dispone nell’ambito del reddito di lavoro autonomo di alcun supporto normativo utile ad individuare la soluzione, in ossequio ad un tracciato legislativo anche solo indiziario, per cui la soluzione non può che venire raccordata ad una coerenza di sistema, coordinata con il parametro costituzionale della capacità contributiva, in congiunzione con quello della razionalità/uguaglianza di indeclinabile governo dell’obbligo impositivo.
Tali parametri costituzionali non possono che rimanere insensibili ad una mera tipicizzazione nominalistica delle categorie reddituali, salvo chiare ostruzioni legislative che, in ogni caso, devono fondarsi su solidi fondamenti giustificativi. Nel caso in esame, qualora l’ipotizzata costruzione fosse avvenuta in un ambito fiscale estraneo a quello professionale, con la costruzione dell’immobile si sarebbe avuto la volturazione dell’area in fabbricato e nel solo caso del disinvestimento infraquinquennale si sarebbe generata la plusvalenza come reddito diverso, raccordata alla differenza tra il corrispettivo percepito ed il costo costituito dalla somma dei costi di costruzione e del costo dell’area sostenuto dal donante della medesima.
Nell’ambito del reddito di lavoro autonomo, la rilevanza della plusvalenza rimane connessa alla perduranza della qualifica di bene strumentale dell’immobile, non correlandosi alla durata dei 5 anni successivi all’ultimazione della costruzione e tale diversificazione del fattore tempo trova giustificazione nel fatto che, nei redditi diversi, esso funge da elemento sintomatico, legislativamente scelto, dell’intento speculativo e della sua consequenziale sussunzione nel paradigma del cd “reddito prodotto”.
In ordine, però, al quantum della plusvalenza (come indice di ricchezza conseguita) non appare rendersi rinvenibile alcun motivo causale che consenta di diversificare il quantum dell’obbligo impositivo, se non la (ininfluente) categoria nominalistica del reddito. Appare, quindi, rispondere ad un criterio di equità fiscale legittimare il trasbordo di tale nozione convenzionale di costo, anche nelle altre categorie di reddito, indipendentemente dalla circostanza dell’approdo legislativo nell’ambito dei redditi diversi. Anzi, tenendo conto che la modifica si è resa necessaria da un lato per razionalizzare la fattispecie imponibile (raccordandola a quella dei disinvestimenti in genere degli immobili) e dall’altra per ostruire possibili piani simulatori in pregiudizio dei diritti erariali, nel caso in questione la plusvalenza, al riparo da agevoli condotte fraudolente, potrebbe apparire ancora più ragionevole ricongiungerla temporalmente al solo periodo di inclusione nel regime fiscale del reddito di lavoro autonomo dell’immobile (il che implicherebbe la determinazione del valore normale dell’area al momento dell’inizio della costruzione finalizzata alla professione).
Tuttavia, poiché nell’ambito dei redditi diversi la rilevanza fiscale della plusvalenza (che matura in capo all’area) perdura sine die, appare più consono, con i citati principi costituzionali di presidio dell’obbligazione tributaria, considerare retroattivamente la plusvalenza a far tempo dall’acquisto del donante, al fine di perequare le conseguenze impositive, rendendo ininfluente la volturazione della categoria nominalistica del reddito.
Identica soluzione appare lecita anche nel caso di area acquisita gratuitamente e attratta al regime d’impresa, ai sensi dell’articolo 65, Tuir. A tal proposito, tale norma, al comma 3bis, rinvia al costo determinato in base alle disposizioni, di cui al D.P.R. 689/1974, nel quale è dato testualmente rinvenire: “I beni immobili e i beni iscritti in pubblici registri sono valutati singolarmente in base al costo, assumendo come tale il valore definitivamente accertato ai fini delle imposte di registro o di successione o, in mancanza, il prezzo indicato nell’atto di acquisto, maggiorati degli oneri accessori di diretta imputazione”.
Anche in tal caso, il mancato richiamo al valore dichiarato (o definito), ai fini dell’imposta sulle donazioni, rende plausibile, per i complessivi motivi già sopra argomentati, raccordare il valore d’iscrizione dell’area nelle scritture d’impresa al costo sostenuto dal donante, allo scopo di perseguire in modo identico una soluzione impositiva fondata sul medesimo indice di ricchezza, solo diversificato sul piano della categoria reddituale di riferimento. L’alternativa di considerare pari a zero il valore fiscalmente riconosciuto dell’area per mancanza di una vicenda successoria o acquisitiva a titolo oneroso da parte dell’imprenditore in questione, come indicato nella riportata norma del D.P.R. 689/1974, non corrisponderebbe, infatti, ad alcuna logica impositiva, ma anzi genererebbe una discriminazione di alcuna conciliazione costituzionale, per cui il rinvio letterale della citata norma al prezzo indicato nell’atto di acquisto in modo impersonale, senza un preciso raccordo soggettivo, è da ritenere possa consentire di correlarlo a quello di acquisto del donante, anche in virtù, si ripete, di una necessaria interpretazione costituzionalmente orientata.