Confermata dal 2012 l’esclusione delle società agricole dal regime delle società di comodo
di Luciano SorgatoLa Corte di Cassazione (Ordinanza del 4.12.2024, n. 31113) è tornata a pronunciarsi sulla decorrenza dell’esclusione dalla disciplina della società di comodo in ordine alle società agricole. Il Giudice di legittimità ricongiunge la sentenza alla pregressa uniforme giurisprudenza di legittimità (Cassazione n. 20027/2021, Cassazione n. 7756/2023 e Cassazione n. 12457/2023), al principio di diritto per cui, in tema di accertamento del reddito di impresa, l’esclusione automatica delle società agricole dalla disciplina delle società di comodo, di cui all’articolo 30, L. 724/1994, deve ritenersi operativa solo a decorrere dall’anno 2012, periodo di imposta in corso alla data di adozione del provvedimento direttoriale n. 87956/2012, emesso ai sensi dell’articolo 1, comma 128, L. 244/2007, che, per la prima volta, ha inserito le società agricole tra quelle esentate dalla richiesta di disapplicazione della disciplina antielusiva.
Ne deriva, sempre per il giudice di Cassazione che, con riguardo ai periodi di imposta precedenti, grava sulla società contribuente, ai sensi del comma 4-bis, del citato articolo 30, L. 724/1994 – introdotto dall’articolo 35, comma 15, D.L. 223/2006, convertito con modifiche dalla L. 248/2006, l’onere di dimostrare, ai fini della disapplicazione della predetta disciplina, l’esistenza di situazioni oggettive di carattere straordinario che non hanno consentito, in tali annualità, il superamento del test di operatività.
A tal proposito, si ritiene di dover preliminarmente sottolineare come, dal tenore del provvedimento direttoriale n. 87975/2012, risulta chiaramente che, per loro stessa natura, le società esclusivamente agricole sono comunque ritenute operative e non possono mai essere considerate di comodo ai fini fiscali. Tale riconoscimento esplicito, che attiene all’essenza stessa di un’impresa agricola, non può essere circoscritto ad un arco temporale delimitato valido solo per i periodi successivi. L’irretroattività del provvedimento direttoriale lo renderebbe in modo inopinato presidiato dalle prerogative tipiche della legge, da cui deriverebbe un aggravio di oneri di prova causalmente imputabile al solo ritardo di sensibilità verso le società agricole da parte del Direttore ADE.
L’articolo 30, comma 4 ter, L. 724/1994, raccorda l’estraneità dallo specifico regime fiscale di tutte le situazioni oggettive che giustificano il mancato raggiungimento della soglia di operatività, per cui, in ordine alle società agricole, verrebbe a configurarsi una manifesta discriminazione temporale rispetto ad altre fattispecie (quelle individuate con il decreto direttoriale n. 23681/2008) e verrebbero a configurarsi differenziazioni, non previste dalla legge, tra fattispecie che hanno, invece, la stessa rilevanza, ai fini della disapplicazione della disciplina sulle società di comodo.
In altri e conclusivi termini, se il provvedimento di cui trattasi è legislativamente investito della sola potestà di individuare fattispecie che, in esclusivo raccordo alle loro intrinseche ed oggettive peculiarità di mercato, non sono conciliabili con le congetture reddituali delle società di comodo, allora prevedere per esse uno spartiacque di esclusione temporale non può non apparire un manifesto dissidio logico. Il parametro di giudizio fondato sulla caratteristica oggettiva è, per sua natura, slegato dal tempo, dal momento che, se quella caratteristica è connaturata alla fattispecie, essa preesiste ad un qualsiasi atto di sua specifica individuazione e non ritenerla retroattiva non consente di ritenere tale caratteristica inesistente per il passato. Il sillogismo che ne deriva è inconfutabile; se una fattispecie è oggettivamente incompatibile con una prescrizione di legge, perché non ne incapsula la ratio, la sua sottomissione è, ab origine, contra legem, e la sua salvaguardia per il passato è solo utile a tutelare una ragione erariale sempre più distante dagli autentici vincoli costituzionali che uno Stato di diritto dovrebbe con assoluto rigore presidiare.
Ancora una volta, si ritiene di dover sottolineare (ed in primi questa volta si ritiene di doverlo ricordare proprio alla Cassazione) che l’obbligazione tributaria può raccordarsi con il solo paradigma costituzionale della capacità contributiva che, a sua volta, dipende unicamente dall’effettività del fatto economico incapsulato dalla legge (articolo 23 Cost.) in un predefinito presupposto d’imposta. Con l’obbligo impositivo non può essere disincentivato l’uso di alcun strumento giuridico, neppure continuando a trincerarsi dietro la giustificazione di ormai del tutto inesistenti regimi fiscali favorevoli. L’articolo 53 Cost. prevede l’esclusivo raccordo dell’obbligazione tributaria, con l’effettiva forza economica del contribuente e non per indirizzare l’uso dei modelli giuridici previsti dall’Ordinamento. Dall’articolo 53, Cost., emerge con immediatezza come la sua base ideale sia comune a quella degli articolo 2, 3, comma 1 e 2 e degli articoli 4, 41 e 42, Cost.: le attitudini, le capacità, le iniziative e i beni della persona (più ampiamente di ogni entità che esprima soggettività di diritto) sono anche al servizio della collettività, ma nel contempo nessun interesse collettivo può sopraffare i diritti della persona; la cultura della solidarietà non deve trascurare il primato che la Costituzione raccorda alla persona.
Non è la filosofia dell’individualismo, perché la persona è altresì portatrice di doveri di solidarietà, ma non è nemmeno la filosofia che, in nome di un asserito preminente interesse della comunità, alla trasformazione sociale (oggi riproposto come interesse fiscale), si debba ritenere consentito attenuare la considerazione e la tutela del singolo contribuente. Da una parte lo Stato richiede “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (articolo 2, Cost.), dall’altro “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (sempre articolo 2 Cost.) e considera “ compito primario” promuovere “il pieno sviluppo della persona umana” (articolo 3, comma 2, Cost.). Questa felice sintesi di solidarietà e garanzia della persona si ritrova pienamente configurata nell’articolo 53, Cost., che impone a “tutti” il dovere di concorrere alle spese pubbliche, ma solo in ragione della loro effettiva capacità contributiva, assunta a presupposto, parametro e limite massimo del dovere.
L’obbligazione tributaria non potrà mai semplicisticamente derivare dalla soggezione all’autorità dello Stato, ma, proprio in quanto procede dalla collaborazione solidale delle persone, ogni persona deve essere in primis rispettata nella sua realtà specifica e, quindi, coinvolta nel dovere solo se e nei limiti in cui ciò corrisponda alla sua specifica capacità contributiva, intesa come perentorio limite alla discrezionalità del legislatore.
La Cassazione, nel raccordare l’automatica esclusione delle società agricole ad un mero spartiacque temporale, nonostante i fondamenti causali dell’esclusione di tale tipo di società dall’atpico regime fiscale in questione, derivino e con nesso diretto dalla sua connaturata essenza imprenditoriale e dal raccordato particolare regime fiscale legislativamente scelto per il regime agricolo, del tutto inidoneo a conciliarsi con le astratte congetture della società di comodo, non ha fatto, volendo usare la medesima frase che il Giudice di Cassazione usa per sottolineare l’erroneità delle impugnate sentenze del giudice di appello, corretta applicazione dei rappresentati indeclinabili principi costituzionali, posti ad inderogabile presidio della giusta obbligazione tributaria.