10 Gennaio 2025

Reddito di lavoro autonomo: la deduzione del costo non ammortizzato in caso di eliminazione di cespiti

di Luciano SorgatoPaolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365
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L’articolo 5 (rubricato revisione della disciplina del reddito di lavoro autonomo) del D.Lgs. 192/2024 (Decreto Ires/Irpef) – entrato in vigore lo scorso 31.12.2024 – ha aggiunto, all’articolo 54 quinquies, Tuir (Spese relative a beni mobili ed immobili) l’inciso: “In caso di eliminazione dall’attività di beni non ancora completamente ammortizzati, esclusi i beni immobili e gli oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione…il costo residuo è ammesso in deduzione”.

La norma, nella sostanza, ripete la prescrizione già presente nell’articolo 102, comma 4, Tuir, in regime d’impresa, ma, mentre nel reddito d’impresa il perimetro dei beni  dispone di precisi parametri legislativi (articolo 65 Tuir) con la coadiuvazione di condotte contabili, nel reddito di lavoro autonomo la mancanza di un qualsiasi coordinamento normativo in tal senso, richiede, proprio per sopperire alla mancata ricongiunzione con regole strutturate con precisione disciplinare, di raccordare il regime fiscale dei beni ad una visione meno analitica e più di sistema.

Ora, e al di là della superfluità dell’indicata esclusione dei beni immobili, per i quali già a regime è escluso ogni diritto di deduzione fiscale degli ammortamenti (e per i quali appare decisamente poco appropriato il raccordo letterale ad eliminazione), va accertato il significato da attribuire alla locuzione “In caso di eliminazione dall’attività (professionale od artistica) di beni non ancora completamente ammortizzati…”.

Nel reddito d’impresa, il citato articolo 102, comma 4, Tuir, ricongiunge la deduzione del costo non ammortizzato all’eliminazione dei beni dal complesso produttivo (e non dall’attività d’impresa). Di certo non devesi trattare di mera quiescenza operativa. Semmai va verificato se l’eliminazione dal complesso produttivo includa anche il distacco definitivo da ogni sinergia di ruolo nel processo produttivo, oltre a quello (certo) di eliminazione fisica dal compendio patrimoniale ausiliario del ciclo imprenditoriale. Eliminare, infatti, riassume il significato semantico di rimuovere, escludere, ricongiungibile non solo ad una cessazione di scopo fisica, ma anche funzionale del bene dall’aggregazione patrimoniale di appartenenza. Ordinariamente, la pubblicistica (si cfr tra gli altri G. Andreani e G, Ferranti, “Testo Unico imposte sui redditi” Ipsoa Ed.) raccorda la disposizione alla plenarietà delle ipotesi di dismissione dal processo produttivo, di distruzione o demolizione in ricongiunzione con il principio contabile OIC 16. La dismissione correla il proprio significato ad una generica cessazione definitiva, causalmente molto varia, del ruolo e delle funzioni tipiche del cespite, senza che si debba necessariamente verificare la sua rimozione fisica. Una sfumatura letterale relativa all’inciso “eliminazione dal complesso produttivo” (presente nel testo di legge) in luogo di “eliminazione dal processo produttivo”, cui viene fatto ricorso nella citata pubblicistica, potrebbe forse far propendere a circoscrivere la portata della norma alla sola eliminazione fisica del bene, dal momento che il complesso produttivo riassume un’accezione statica rispetto a quella dinamica di processo produttivo. Il complesso produttivo è un aggregato di beni, mentre il processo produttivo è l’esercizio dinamico dell’impresa che per la dottrina commercialistica si rappresenta come una coesione di atti rivolti al mercato. In ogni caso, in regime d’impresa, il bene solo dismesso da ogni connessione con il processo produttivo, che continua a sostare fisicamente nel compendio aziendale, rimane connotabile come un “bene d’impresa”, in virtù del rilievo attribuito alla condotta contabile dall’articolo 65 Tuir (il quale assume a beni d’impresa i beni appartenenti all’imprenditore che risultano indicati tra le attività relative all’impresa nell’inventario tenuto a norma dell’articolo 2217 cod. civ.).

Nel reddito di lavoro autonomo, come già sopra rappresentato, manca, invece, una norma che agevoli l’individuazione del perimetro dei beni costituenti il compendio patrimoniale del professionista e soprattutto manca una norma che consenta di assumere con connotazione stabile il bene come bene da includere nel regime fiscale del reddito di lavoro autonomo. In altri termini, se un bene strumentale impiegato nell’attività professionale/artistica è un bene attratto al regime del reddito di lavoro autonomo, fiscalmente ammortizzabile, quando viene a cessare la sua peculiare sinergia di contributo all’attività, qual è la condizione fiscale in cui il bene viene a vertere? Come noto, la “strumentalità di un bene” deriva da una condotta attiva di impiego del bene a supporto dello scopo imprenditoriale, professionale, artistico. Nel momento in cui s’interrompe tale coadiuvazione d’uso viene meno la sua prerogativa di bene strumentale, per cui o rimane attratto all’originaria categoria di reddito in virtù di un alternativo criterio di appartenenza, che non può che essere definito legislativamente (come per i beni d’impresa), oppure cessa la sua inclusione nel relativo reddito. Un manifesto esempio di repentina volturazione reddituale si ha proprio con i beni immobili i quali, ai sensi dell’articolo 43, comma 1, Tuir, non si considerano produttivi di autonomo reddito fondiario, solo se costituiscono beni strumentali per l’esercizio di arti e professioni e tale natura la riassumono solo se esclusivamente utilizzati nell’attività artistica/professionale. Se, quindi, viene meno tale condizione d’uso, l’immobile torna a essere produttivo di un autonomo reddito fondiario e tale avvicendamento di effetti fiscali appare anche sintomatico di una destinazione ad usi diversi da quello di lavoro autonomo, con prospettive di realizzo della relativa plusvalenza raccordata al valore normale dell’immobile non più strumentale

Ora, tornando alla novella legislativa in commento che testualmente prevede il diritto a dedurre fiscalmente l’intero costo non ammortizzato nel caso di “eliminazione del bene dall’attività”, tale locuzione potrebbe essere intesa alla base della questione se, anche nel reddito di lavoro autonomo, l’innesco del diritto fiscale possa essere raccordato alla sola definitiva quiescenza operativa del bene, oppure occorre la più tranciante rottamazione fisica del medesimo. Eliminare un’attività, sul piano del versante letterale, si rende correlabile sia ad una cessazione di funzione del bene (di sinergia d’uso con l’attività) e sia del più lato fenomeno di rimozione fisica del bene. Tuttavia, nel caso di bene solo disattivato dall’attività e, quindi, non più strumentale, come già sopra rappresentato, si pone la questione dell’individuazione della condizione fiscale del medesimo, dal momento che, in mancanza di una condotta attiva d’impiego, che crea i presupposti per la correlazione di fatto con il regime fiscale del reddito di lavoro autonomo, in unione con la mancanza di un criterio alternativamente indicativo  della permanenza del bene nel regime fiscale d’origine, similmente agli immobili, si pone la prospettiva di una fuoriuscita del bene dal regime del reddito di lavoro autonomo, con l’insorgenza della relativa plusvalenza per una destinazione non più affine con l’attività professionale/artistica. Solo l’eliminazione fisica del bene interdice la segnalata prospettiva di una sua fuoriuscita dal compendio patrimoniale professionale ed il travaso in una diversa sfera personale del professionista, dal momento che la rottamazione esclude ogni prospettiva di perduranza d’uso del bene e, quindi, ogni sua ulteriore forma di esistenza fisico-giuridica, con la conseguente impossibilità di potervi intravedere un qualche ulteriore residuo effetto fiscale.

In conclusione, si ritiene di dover segnalare che in un diritto tributario che aspira ad essere concepito come un sistema coeso di regole volto a disciplinare con razionale linearità i fenomeni impositivi, non dovrebbero rendersi necessarie simili articolazioni concettuali. In ordine alla questione trattata, sarebbe sufficiente venisse legiferato un criterio d’individuazione dell’appartenenza dei beni al regime del reddito di lavoro autonomo, fondandolo su condotte contabili di tipo concludente, similmente al criterio adottato per i beni d’impresa e raccordare il diritto di deduzione fiscale del costo non ammortizzato ad una precisa scelta legislativa correlata o ad una condizione di definitiva quiescenza operativa dei cespiti o alla loro più tranciante  eliminazione fisica dal compendio patrimoniale.