Dubbi sugli effetti dell’assegnazione sui soci di società personali
di Comitato di redazione
La circolare n. 26/E/2016 con cui l’Agenzia delle entrate ha affrontato la disciplina che regola le operazioni di assegnazione agevolata non ha, invero, chiarito alcuni temi spinosi di rilevanza sostanziale sotto il profilo operativo.
Uno di questi riguarda senz’altro gli effetti dell’operazione nei confronti dei soci assegnatari nel caso in cui il soggetto assegnante sia una società di persone.
In particolare, non è chiaro se il pagamento dell’imposta sostitutiva liberi i soci da qualsiasi imposizione ai fini dell’Irpef anche nell’ipotesi in cui dovesse emergere il cosiddetto sottozero, ossia quando il costo della partecipazione del socio risulti inferiore rispetto al valore di assegnazione del bene.
Ciò potrebbe accadere, ad esempio, per effetto delle continue perdite prodotte nel tempo dalla società di persone che attribuisce il bene. È noto, infatti, che, in relazione alle partecipazioni nelle società indicate nell’articolo 5 del Tuir, il comma 6 del successivo articolo 68 stabilisce che il relativo costo fiscale è aumentato o diminuito dei redditi e delle perdite imputate al socio e dal costo si scomputano, inoltre, fino a concorrenza dei redditi già imputati, gli utili distribuiti al socio stesso.
Sul tema, la circolare si esprime in questi termini: “Per i soci delle società di persone l’applicazione delle ordinarie regole di tassazione per trasparenza in capo soci determina che il pagamento dell’imposta sostitutiva rende – per l’importo già assoggettato a tassazione – definitiva e liberatoria la tassazione in capo ai soci assegnatari”.
In effetti, l’inciso “per l’importo già assoggettato a tassazione” pone dei dubbi sul da farsi. Dubbi, peraltro, non smorzati dall’esempio proposto nel quale il costo fiscale della partecipazione, aumentato della differenza assoggettata all’imposta sostitutiva, è fatto coincidere con il valore di assegnazione (valore catastale) del bene (immobile).
Inizialmente, la circolare precisa che risulta indipendente il fatto che per realizzare l’operazione si riducano riserve di capitali o riserve di utili; tale affermazione dovrebbe bastare per indirizzarci sulla corretta via. Poiché la assegnazione a fronte di riduzione di riserve di capitale non può generare reddito in quanto non si traduce in maggiore ricchezza, l’irrilevanza della genesi delle poste ridotte avrebbe portato a concludere sulla assenza di tassazione del sottozero.
Tuttavia, la circolare, poi, cela tra le righe una ulteriore indicazione. Essa, infatti, precisa che “Poiché il valore catastale del bene assegnato (95) è pari al nuovo costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione (95), non emerge una differenza da assoggettare a tassazione in capo al socio”, lasciando intendere che se, invece, il valore di assegnazione fosse stato superiore al costo fiscale rideterminato della quota, creando così il sottozero, si sarebbe prodotta materia imponibile in capo al ricevente.
Se tale è la lettura che deve essere data al documento di prassi in commento, potrebbero allora sorgere delle incompatibilità con il dato letterale della norma e, in particolare:
- rispetto al comma 116 della L. 208/2015, secondo cui l’imposta “speciale” da versare per perfezionare l’assegnazione è sostitutiva delle imposte sui redditi, con ciò dovendo quindi intendersi che essa “esaurisce” l’Irpef dovuta – per l’appunto – dai soli soci. Al riguardo, merita rammentare che, ove il bene assegnato fosse stato ceduto con plusvalenza, la società avrebbe imputato il maggior reddito ai soci per trasparenza, i quali avrebbero corrisposto la propria Irpef, vedendosi però incrementato il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione; eventuali prelevamenti della liquidità ritratta potrebbero solo diminuire il costo della partecipazione. Qui, la tassazione c’è stata, sia pure in forma sostitutiva in capo alla società (per previsione normativa), e si registra l’incremento del costo della partecipazione; al pari, l’attribuzione del bene in natura dovrà (per similitudine) generare unicamente una riduzione del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione;
- rispetto al comma 118 della L. 208/2015, secondo cui “Nei confronti dei soci assegnatari non si applicano le disposizioni di cui ai commi 1, secondo periodo, e da 5 a 8 dell’articolo 47” del Tuir, dovendosi quindi ritenere esclusa l’applicazione del comma 7 della norma che regola, per effetto del rimando previsto dall’articolo 20-bis, la determinazione del reddito emergente in capo ai soci di società di persone in caso – tra le altre cose – di riduzione del capitale.
Senza contare che ad evitare un possibile salto d’imposta dovrebbe bastare il fatto che il valore di assegnazione dei beni, al netto dei debiti accollati, riduce il costo fiscalmente riconosciuto delle quote possedute, con la conseguenza che il “minor valore” potrà produrre effetti in momenti successivi, quali il recesso o la liquidazione della società, ovvero ancora la cessione a terzi della partecipazione.
In tal senso, aiuta anche il contenuto della risoluzione 64/E/2008, nella quale (sia pure nella differente ipotesi del recesso del socio) la stessa Agenzia precisa che lo “storno” della parte di competenza del patrimonio netto di spettanza del socio (capitale + riserve di capitale + riserve di utili) rappresenta unicamente una dimensione patrimoniale (restituzione) e non reddituale.
Una cosa è certa: si è persa una ghiotta occasione per precisare una questione già dibattuta in dottrina (quindi nota all’Agenzia) così facilitando il compito degli operatori del settore ed evitando futuri contenziosi.