Concorso tra la sottrazione fraudolenta e la bancarotta
di Luigi FerrajoliCon la sentenza n. 3539 del 27 gennaio 2016 la Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, si è occupata della questione afferente una vicenda in cui il GIP aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente su beni di proprietà di un soggetto accusato di averli sottratti alla società poi fallita.
In particolare, il Tribunale, nel rigettare l’istanza di riesame, aveva rilevato la configurabilità nel caso di specie del concorso formale tra i contestati reati di bancarotta fraudolenta per distrazione ex art.216, co. 1, L.F. e quello di fraudolenta sottrazione al pagamento delle imposte ex art.11 D.Lgs. n.74/00.
Avverso il provvedimento di rigetto l’indagato ha proposto ricorso per cassazione eccependo la violazione di legge nella configurazione giuridica del concorso formale tra i delitti summenzionati, fattispecie oggetto di contrasto giurisprudenziale.
Nello specifico infatti la Cassazione aveva da una parte affermato che “è configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione (fattispecie relativa al delitto previsto dall’art. 11 D.Lgs. n.74 del 2000 nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla legge n. 122 del 2010)”; dall’altra la medesima Corte aveva precisato al contrario che “la fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte – che sanziona chiunque alieni simulatamente o compia atti fraudolenti su beni al fine di sottrarsi al versamento delle imposte (art. 11 D.Lgs. n. 274 del 2000) – integra una condotta che può ben inserirsi in una complessiva strategia distruttiva, intesa consapevolmente a danneggiare colui che sui beni sottratti ha titolo per soddisfarsi; ne deriva che ove tale condotta sia finalizzata al fallimento, ovvero posta in essere in vista di esso, o da questo seguita, la distrazione operata in danno del fisco non assume connotazione autonoma ma è riconducibile al paradigma punitivo dell’art. 216 l. fall., le cui condotte di distrazione, occultamento, distruzione, dissipazione, sono comprensive delle condotte di simulazione o integranti atti fraudolenti di ci all’art. 11 D.Lgs. n.74 del 2000, di guisa che, il tal caso, si applica il principio di specialità di cui all’art. 15 cod. pen., in virtù del quale resta integrato il solo reato di bancarotta fraudolenta – trattandosi di più grave reato – e si esclude la configurabilità del concorso tra i due delitti in relazione allo stesso fatto“ (rispettivamente, Cass. Pen. n. 1843/11, Cass. Pen. n. 42156/11).
La Suprema Corte, nel decidere, prendendo atto del contrasto giurisprudenziale summenzionato e non ritenendo necessario l’intervento delle Sezioni Unite, ha affermato la configurabilità nel caso di specie di un concorso formale tra i due delitti.
Con la sentenza in esame la Suprema Corte ha infatti statuito preliminarmente che entrambe le norme suddette sono speciali, ma regolano materie ed interessi diversi: quella tributaria punisce le condotte che pregiudicano l’interesse pubblico alla riscossione coattiva dei crediti fiscali, mentre quella fallimentare punisce le condotte che ledono l’interesse privatistico dei creditori.
Secondo la Cassazione è configurabile il concorso tra la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e la bancarotta fraudolenta patrimoniale, essendo le norme incriminatrici speciali tali da configurare un’ipotesi di specialità bilaterale. Inoltre esse non regolano la stessa materia, dato che “quella fiscale è preposta a sanzionare condotte che pregiudichino l’interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, quella fallimentare l’interesse del ceto creditorio di massa al soddisfacimento dei propri singoli diritti […] va poi notata la evidente e profonda diversità strutturale delle due fattispecie astratte, particolarmente quanto alla natura giuridica, di pericolo quella fiscale, di danno quella fallimentare ed all’elemento soggettivo, dolo specifico la prima, dolo generico la seconda”.
Non solo. La Suprema Corte nel caso de quo, considerando la norma penale tributaria “specialissima”, non ha ritenuto che la medesima possa essere assorbita in quella fallimentare, essendo considerata la “meno speciale” sia per quanto concerne il piano oggettivo che quello soggettivo.
Tale considerazione, secondo la Cassazione, impone di uniformarsi ad un principio giurisprudenziale consolidato secondo il quale “in presenza della clausola di riserva salvo che il fatto costituisca più grave reato, la maggiore o minore gravità dei reati concorrenti presuppone che entrambi siano posti a tutela dello stesso bene giuridico” (Cass. Pen. n. 25363/15).
Nella fattispecie in esame la Corte di Cassazione non ha ritenuto che ricorresse un’ipotesi di concorso apparente di norme, bensì la diversa ipotesi del concorso formale di reati ovvero la continuazione tra distinti illeciti penali, ex art.81, co.1 e 2, c.p..