In 398 le fatture emesse ma non ancora incassate sono ricavi?
di Guido MartinelliMarta SaccaroPer chi gestisce un’associazione in 398 un tema annoso e che, fino ad oggi, non ha trovato una soluzione pacifica, è sicuramente quello legato alla computazione, nel limite dei ricavi annuali consentito, delle fatture che sono state emesse ma che non risultano ancora incassate. Spesso, infatti, è il cliente che richiede l’emissione della fattura con un considerevole anticipo rispetto a quando viene effettuato il relativo pagamento. O, ancora, l’associazione, per “comodità” contabile, preferisce comunque emettere il documento per ricordare al cliente l’importo dovuto.
Quando si tratta, però, di determinare le imposte da versare in sede di dichiarazione dei redditi molti dubbi nascono in relazione alle fatture che non risultano incassate nel periodo d’imposta (ma, magari, nel successivo): vanno inserite o meno nel computo complessivo dei ricavi cui si applica la percentuale del 3%? La questione assume poi rilevanza estrema quando la somma delle fatture incassate nel corso del periodo d’imposta si avvicina al limite massimo di ricavi consentito per rimanere nel regime forfettario (250.000,00 euro) ma c’è ancora qualche fattura emessa e non saldata. Conteggiare anche le fatture emesse ma non incassate comporta, in queste ipotesi, l’uscita dal regime della L. n. 398/1991 dal mese successivo a quello di superamento dei 250.000,00 euro.
Sulla questione, fermo il silenzio ormai venticinquennale dell’Agenzia delle Entrate, è intervenuta, da ultimo la Commissione Tributaria Regionale di Milano, sezione staccata di Brescia, che, con la sentenza n. 1401/67/16 del 7 marzo 2016, ha ritenuto computabili nel plafond dei ricavi necessario per rimanere nel regime forfettario anche le fatture emesse ma non ancora incassate.
La pronuncia, anche se appare superficiale nelle motivazioni e basata su un’argomentazione non convincente dal punto di vista giuridico, ha in realtà qualche “sponda” normativa. Si tratta, nello specifico, del D.M. 18 maggio 1995, dove è stato previsto che “stante la particolarità della disciplina introdotta dalla legge n. 398, occorre precisare che per l’individuazione dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali deve aversi riguardo al criterio di cassa, nel cui ambito, peraltro, resta fermo il principio voluto dalla normativa IVA secondo cui vanno computati gli introiti fatturati ancorché non riscossi”.
Questa presa di posizione sembra quindi poter superare il chiarimento fornito dal Ministero delle finanze nella circolare n. 1 dell’11 febbraio 1992, emanata ad illustrazione della disciplina introdotta dalla L. n. 398/1991. In tale sede è stato specificato che, “stante la particolarità della disciplina introdotta dalla legge n. 398 per i soggetti ivi indicati, ai fini della individuazione dei proventi in argomento, deve aversi riguardo al criterio di cassa”.
La soluzione di considerare, nel computo dei ricavi previsto per il mantenimento del regime forfettario, anche le somme fatturate ma non ancora incassate, trova però qualche resistenza nelle considerazioni che seguono:
- il D.M. 18 maggio 1995 si riferisce ai modelli di distinta d’incasso che risultano superati dall’introduzione dell’obbligo, per i soggetti in 398, di effettuare le annotazioni sul prospetto di cui al M. 11 febbraio 1997 (registro “Iva minori”) opportunamente integrato. Di conseguenza anche le indicazioni riportate si dovrebbero ritenere superate;
- i soggetti in 398 non sono tenuti all’emissione delle fatture, se non in determinati casi. Sembra quindi che in 398 la fattura non sia un documento rilevante. Questi soggetti potrebbero, ad esempio, prescindere dalle fatture emesse ed effettuare l’annotazione sul registro “Iva minori” solo degli importi incassati;
- l’articolo 9 del D.P.R. 544/1999, illustrativo delle novità che hanno interessato, a partire dal 2000, il regime forfettario, all’articolo 9, comma 1, fa nuovamente riferimento ai proventi “conseguiti”, senza ulteriore specificazione;
- il regime della L. n. 398/1991 è speciale, sostitutivo e soggetto a regole particolari ed esclusive.
Questi aspetti vanno poi collegati al fatto che anche la giurisprudenza, in passato, si è espressa in senso opposto a quello manifestato dalla pronuncia della Commissione Tributaria Regionale di Milano. Ad esempio, la Commissione Tributaria Regionale dell’Aquila, sezione di Pescara, nella sentenza n. 256/6/15 del 10 marzo 2015, ha ritenuto inapplicabile il D.M. 18 maggio 1995 proprio nella parte in cui assimila al criterio di cassa il principio della normativa Iva in relazione a fatturazioni i cui introiti vanno computati anche se non riscossi. Secondo la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, sentenza n. 274/2/14, del 17 giugno 2014, poi, “la sola fatturazione anticipata … determina solo l’imponibilità Iva della fattura emessa”.
In conclusione, si può evincere che, come al solito quando si parla di 398, i dubbi superano le certezze e sarebbe ancora una volta, più che mai opportuno, che, anche in relazione agli aspetti sopra trattati, venisse delineato un comportamento preciso ed univoco che gli enti associativi possano seguire, senza dover assistere al proliferare di contenziosi con esiti incerti e tra loro divergenti.