Questionario: se non puntuale nessuno stop alla documentazione
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365Nel corso di controlli e ispezioni, gli organi verificatori chiedono al contribuente di produrre la documentazione fiscale utile per i riscontri del caso, spesso avvalendosi dell’invio di uno specifico questionario. Questa richiesta è solitamente circostanziata e confida nella completa reciprocità e buona fede da parte del contribuente in sede di risposta, prevedendo al contempo una conseguenza molto severa nell’ipotesi di mancato assolvimento non giustificato: la preclusione amministrativa e processuale di produrre i dati e i documenti non forniti nella sede precontenziosa. Solo nell’ipotesi in cui il contribuente sia in grado di dimostrare che la detta non produzione documentale è dipesa da causa a lui non imputabile la norma non trova applicazione.
Sul tema è intervenuta la sentenza n. 6654 della Corte di Cassazione, depositata in cancelleria in data 6 aprile 2016, che analizza con dovizia di particolari la previsione normativa e la relativa operatività della descritta preclusione.
La norma di riferimento è rappresentata dall’articolo 32, quarto comma del DPR 29 settembre 1973, n. 600, ai sensi del quale è prevista la possibilità da parte dell’Amministrazione finanziaria di richiedere, tramite l’invio di un questionario, i dati, le notizie e i chiarimenti necessari alla verifica della correttezza degli adempimenti contabili posti in essere. La funzione del questionario è senza dubbio meritevole di “protezione” normativa, dato che è posto a fondamento dell’avvio del dialogo tra fisco e contribuente che dovrebbe condurre alla migliore determinazione della potenziale lite tributaria, evitando per quanto possibile il sorgere di un eventuale contenzioso giudiziario.
Il problema concreto che si pone in presenza di questionari di vario genere è comprendere se e fino a che punto possono espletare la loro funzione “preclusiva”. In caso positivo, infatti, non solo il contribuente non può difendersi in sede di ricorso introduttivo mediante i documenti non prodotti nella fase precontenziosa, ma nemmeno trova applicazione l’articolo 58, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non potendo procedersi alla produzione di nuovi documenti nel giudizio tributario di appello (in tal modo si è espressa la medesima Corte di Cassazione nel 2014 con la sentenza n. 10489).
Al riguardo, la posizione della sentenza in commento, sulla base di altri precedenti di prassi, è severa: “(…) in tema di accertamento fiscale, la mancata esibizione, in sede amministrativa, dei libri, della documentazione e delle scritture all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate giustifica l’esercizio dei poteri di indagine ed accertamento bancario propri dell’Amministrazione finanziaria, mentre la sanzione dell’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dall’articolo 32 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, opera solo in presenza di un invito specifico e puntuale all’esibizione da parte dell’amministrazione purchè accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza, che si giustifica, in deroga ai principi di cui agli articoli 24 e 53 della Costituzione, per la violazione dell’obbligo di leale collaborazione con il fisco”.
Il questionario dunque deve assolvere a precise indicazioni:
- evidenziare, in maniera puntuale e specifica, la documentazione richiesta;
- illustrare le conseguenze della mancata produzione documentale.
L’assunto fondamentale è comunque rappresentato dalla richiesta puntuale dei documenti e atti che gli organi verificatori intendono vagliare. Questionari generici o che limitano la richiesta a dati “parcellari”, come nell’ipotesi analizzata dalla suprema Corte laddove si evince che la richiesta era limitata alla dichiarazione dei redditi e alla relativa ricevuta di presentazione, senza specificazione delle conseguenze dell’inottemperanza, non assolvono a pieno alle prescrizioni normative, non potendo dunque esplicare la funzione di “ostacolo” alla successiva difesa documentale da parte del contribuente.
Una delle casistiche più diffuse di simili circostanze si è verificata, ripetutamente, nei questionari afferenti il redditometro, laddove l’Amministrazione finanziaria, dopo aver effettuato le richieste puntuali in relazione a precise disponibilità di beni e servizi, ovvero in ordine ad eventi finanziari, era solita terminare il questionario invitando il contribuente a produrre ogni ulteriore documento che potesse essere di aiuto all’indagine in atto, avvertendo della preclusione alla produzione successiva in fase contenziosa. La problematica evidente, in maniera opportuna colta dalla giurisprudenza, era che si trattava di una richiesta assolutamente generica e non puntuale, peraltro lesiva del diritto difensivo del contribuente, che non avendo cognizione non solo delle richieste del questionario, ma anche delle eventuali conclusioni dell’accertamento, si sarebbe altrimenti trovato impedito a difendersi.
Fortunatamente tali “maldestri” tentativi di limitare la portata difensiva del contribuente sono stati smentiti dalla Corte di Cassazione: al contribuente, dunque, il compito di analizzare le richieste formulate, nella consapevolezza di poter produrre ogni ulteriore documento difensivo in precedenza non preteso dal fisco.