Cessioni di immobili commerciali: quando emerge la plusvalenza?
di Cristoforo FlorioIn base a quanto previsto dall’art. 67, c.1, lett. b), del d.P.R. n.917/86, la cessione di un immobile commerciale (ad es., un negozio o un capannone industriale) effettuata a titolo oneroso da parte di una persona fisica al di fuori dell’esercizio di un’impresa commerciale o libero professionale è suscettibile di generare un reddito diverso tassabile in capo al venditore.
Nel prosieguo analizzeremo i presupposti in presenza dei quali tale tassazione risulta applicabile e, conseguentemente, verranno delineate le ipotesi in cui il venditore non sarà tenuto a versare alcuna imposta all’erario.
La presente analisi si concentrerà esclusivamente sulla regole tributarie relative alle cessioni di immobili “commerciali” poste in essere da privati; il focus, pertanto, sarà riferito a tutti quegli immobili non suscettibili di utilizzo a fini abitativi, tra cui – ad esempio – gli immobili adibiti a negozi (categoria catastale C/1), ad alberghi (categoria catastale D/2), a studi professionali (categoria catastale A/10), a box auto non pertinenziali ad alcuna unità abitativa (categoria catastale C/6), ecc., escludendo l’esame del regime di tassazione applicabile in caso di cessioni di immobili effettuate da imprese o liberi professionisti nell’esercizio delle rispettive attività.
Ai fini che qui interessano va innanzitutto precisato che la tassazione IRPEF (o, come si vedrà dopo, l’applicazione dell’imposta sostitutiva) è applicabile solo laddove il venditore persona fisica abbia conseguito una “plusvalenza”; il presupposto si verifica, cioè, solo nel caso in cui quest’ultimo abbia realizzato un “guadagno”, avendo acquistato un immobile ad un determinato prezzo (ad es., 100) e avendolo rivenduto, successivamente, ad un corrispettivo maggiore (ad es., 130), lucrando quindi una differenza positiva denominata, per l’appunto, plusvalenza (nell’esempio proposto, 130 – 100 = 30). Pertanto, laddove tale differenza fosse negativa, nessuna tassazione sarà applicabile in capo al venditore, ferma restando la possibilità di accertamento tributario da parte dell’Amministrazione finanziaria relativamente alla transazione immobiliare.
Sotto il profilo della tipologia di atti suscettibili di generare una plusvalenza tassabile va rilevato che sono interessati da tale normativa gli atti a titolo oneroso, per i quali cioè è previsto la cessione dell’immobile in cambio di un corrispettivo; potrà, pertanto, trattasi di compravendita, di permuta (ad esempio, scambio dell’immobile in cambio di un altro immobile), di conferimento del bene immobile in società e qualsiasi altro atto in cui sia presente un corrispettivo dell’alienazione, anche di natura non pecuniaria.
In questo senso, anche la costituzione di un usufrutto o la cessione di una volumetria edificabile sono atti suscettibili di generare una plusvalenza immobiliare tassabile.
Sul punto l’Agenzia delle Entrate è intervenuta più volte, confermando che sono suscettibili di generare plusvalenze imponibili la costituzione volontaria di una servitù prediale di passaggio operata dal proprietario del fondo servente entro cinque anni dall’acquisto di quest’ultimo (risoluzione n. 379/E/2008) e la rinuncia ad una servitù di non edificazione operata dal proprietario del fondo dominante entro cinque anni dall’acquisto di quest’ultimo (risoluzione n. 210/E/2008).
A corollario di quanto precede, non comportano invece realizzo di plusvalenza, in quanto non costituiscono cessioni a titolo oneroso, le donazioni di immobili commerciali o il loro trasferimento tra coniugi nei procedimenti di separazione e divorzio.
Ai fini della tassabilità o meno della plusvalenza risulta, inoltre, di fondamentale importanza il rispetto del requisito temporale; infatti, l’imponibilità ai fini delle imposte dirette della plusvalenza conseguita a seguito della cessione di un immobile commerciale scatta solo nel caso in cui non siano trascorsi cinque anni dalla data di acquisto del bene. L’Agenzia delle Entrate, con risoluzione n. 231/E/2008 ha, infatti, precisato che “(…) la finalità speculativa delle cessioni in discussione si presume dalla circostanza che l’arco temporale che intercorre tra la data di acquisto o di costruzione dell’immobile e la data di vendita dello stesso sia inferiore a cinque anni (…)“. Superato l’orizzonte temporale del quinquennio dalla data di acquisto o costruzione, cade la presunzione della finalità speculativa e la plusvalenza realizzata tramite la cessione di immobili non configura più reddito tassabile in capo al cedente.
Come regola generale, ai fini del calcolo del quinquennio, il termine iniziale decorre dalla data di acquisto del bene (atto di trasferimento definitivo della proprietà) e non dalla data dell’eventuale stipula del contratto preliminare di compravendita. Lo stesso dicasi con riguardo al termine finale, per il quale occorrerà avere riguardo esclusivamente al momento del definitivo trasferimento del diritto.
Con la risoluzione n. 28/E/2009 sono stati forniti chiarimenti in merito al computo del quinquennio nel caso di immobile acquistato con il “patto di riservato dominio”; trattasi, cioè, del patto in base al quale il prezzo di vendita dell’immobile viene pagato dall’acquirente a rate e la proprietà viene trasferita a quest’ultimo al momento del pagamento dell’ultima rata del prezzo di compravendita (e non, quindi, alla data dell’atto notarile). In tale ipotesi, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il computo dei cinque anni non decorre dalla data del rogito ma dalla successiva data in cui si determina il trasferimento della proprietà che, ai sensi dell’art. 1523 cod. civ., coincide con il pagamento dell’ultima tranche di prezzo.
Restano invece in ogni caso escluse da tassazione le eventuali plusvalenze conseguite dal venditore a seguito della cessione di immobili commerciali precedentemente acquisiti per successione; in tale ipotesi, infatti, l’art. 67, c.1, lett. b), del d.P.R. n.917/86 esclude in radice la tassabilità del “guadagno” conseguito dal cedente, indipendentemente dal fatto che la vendita avvengo entro od oltre il quinquennio dalla data della successione.
Relativamente, invece, agli immobili commerciali pervenuti per donazione, non vi è una esclusione a priori dal novero delle plusvalenze tassabili. La normativa vigente dispone, infatti, che l’eventuale maggior valore conseguito a seguito della vendita dell’immobile precedentemente ricevuto in donazione sarà tassabile solo qualora il trasferimento di proprietà sia effettuato dal donatario (beneficiario della donazione) prima del decorso dei cinque anni, calcolati dalla data di acquisto del medesimo immobile da parte del donante (e non, quindi, dalla data in cui l’immobile è pervenuto per donazione al donatario). Si pensi al seguente esempio: A (donante) acquista l’immobile nel 2013, poi lo dona a B (donatario) nel 2015 e, infine, B lo vende nel 2016 conseguendo una plusvalenza; poiché tra la data di acquisto da parte del donante e la data di vendita da parte del donatario sono trascorsi solo 3 anni, la plusvalenza conseguita sarà tassabile, non essendo decorso il quinquennio previsto dalla normativa vigente.
Alla luce di quanto precede, laddove il venditore abbia conseguito una plusvalenza a seguito della vendita di un immobile commerciale e non possa beneficiare delle ipotesi di esclusione da tassazione (vendita ultra-quinquennale oppure vendita di immobile pervenuto da successione), questi conseguirà un reddito tassabile appartenente alla categoria dei “redditi diversi”.
Come regola generale, tale reddito andrà indicato nella dichiarazione dei redditi (730 o modello Unico) del venditore, concorrendo a formare il suo reddito complessivo, e sarà soggetto a tassazione ordinaria, secondo le aliquote progressive IRPEF, nell’anno in cui viene perfezionato il trasferimento del bene immobile e riscosso il corrispettivo. In alternativa, l’art. 1, c.496, della L. n.266/2005, concede al venditore la facoltà di optare per l’applicazione dell’imposta sostitutiva nella misura del 20% (da applicarsi sulla plusvalenza conseguita) in sede di atto notarile; a tal fine, sarà necessario che il venditore, all’atto della cessione, presenti tale richiesta al notaio rogante. In questo caso la plusvalenza non dovrà essere indicata nella dichiarazione dei redditi.