9 Marzo 2016

Patrimoni esteri alla prova di Unico e delle integrative

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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La detenzione dei capitali all’estero negli ultimi anni ha sempre destato “allarme” nell’ottica della dichiarazione dei redditi con specifico riguardo alla compilazione del quadro RW e al pagamento delle relative patrimoniali. Minore attenzione è invece stata posta alle problematiche reddituali, spesso ignorando il principio di attrazione di tutti i redditi ovunque realizzati da contribuenti residenti in Italia, che obbliga di fatto a dichiarare gli stessi nel bel paese; in tale ultima circostanza è inoltre prioritariamente indispensabile verificare quanto precisato dalla convenzione contro le doppie imposizioni eventualmente stipulata con il Paese estero in cui sono detenuti gli investimenti.  Dal ché discende che ogni contribuente residente in Italia che possiede capitali all’estero deve verificare la correttezza di tre adempimenti:

  • quanto al monitoraggio fiscale, analizzando il ricorrere delle circostanze che obbligano o, di converso, esonerano dallo stesso. In merito si ritengono indispensabili soprattutto le circolari dell’Agenzia delle Entrate n. 45 del 13 settembre 2010 e n. 38 del 23 dicembre 2013;
  • in ordine alle nuove patrimoniali, verificando la presenza dell’obbligo di pagamento delle stesse, potendosi avvalere in tale senso oltre che della richiamata circolare n. 38 del 2013, soprattutto della circolare n. 28 del 2 luglio 2012;
  • circa i redditi eventualmente percepiti all’estero, procedendo alla relativa dichiarazione, dapprima raffrontando le previsioni della convenzione contro le doppie imposizioni (se esistente), per appurare il ricorrere di eventuali deroghe al principio di tassazione in Italia dei redditi ovunque percepiti.

Ad ogni buon conto è bene evidenziare che non vi sono stati stravolgimenti di sorta nella compilazione del quadro RW, rimasto di fatto identico nelle relative regole rispetto allo scorso anno, sia per quanto concerne il monitoraggio fiscale che in relazione alle patrimoniali estere.

La “complicazione” eventuale potrà essere rappresentata dall’impatto della “voluntary disclosure” che ha fatto emergere diverse posizioni fino allo scorso anno sconosciute, con dunque l’obbligo di dover monitorare la relativa documentazione non soltanto per l’anno 2015, ma anche eventualmente per l’anno 2014, se ancora non oggetto di dichiarazione integrativa. In sede di collaborazione volontaria, ad esempio, è emersa la necessità di valutare nel dettaglio i rapporti di conto corrente e le gestioni valutarie estere, analizzando l’eventuale realizzo di plusvalenze nonché la percezione di interessi e cedole. Il primo corollario che ne deriva è che anche nei confronti dei contribuenti che da sempre hanno compilato il quadro RW e non si sono avvalsi della voluntary, nel caso in cui nel passato siano stati trascurati questi dettagli, è necessario anzitutto integrare le precedenti dichiarazioni sul piano reddituale.

Per coloro che sono reduci dalla voluntary, invece, il primo problema si pone per il 2014. È bene rammentare che la scadenza del 29 dicembre era fondamentale per le sanzioni fisse riferite al monitoraggio fiscale, ma non per i redditi: pertanto potrebbero registrarsi casi di contribuenti che hanno integrato solo il quadro RW e devono ancora dichiarare i redditi del 2014, adempimento che diviene indispensabile non essendo ottimale avviare il quadro RW di Unico 2016 senza analizzare l’ideale raccordo con Unico 2015.

Proprio sul piano reddituale emerge poi la grande differenza rispetto alla voluntary disclosure: infatti nelle dichiarazioni ordinarie non esiste la possibilità di procedere con determinazioni forfettarie dei redditi percepiti all’estero, con l’evidente conseguenza che il 2014 e il 2015, nonché gli anni futuri, richiedono sempre una determinazione analitica dei redditi. Al riguardo è bene sottolineare che anche chi ha effettuato il c.d. rimpatrio giuridico mediante una fiduciaria è “coperto” circa gli adempimenti fiscali solo dal momento dell’incarico dato alla fiduciaria, non essendolo per gli anni 2014 e 2015. Pertanto bisogna obbligatoriamente verificare, per tutti i clienti, se e quali redditi sono stati conseguiti, ricordando almeno velocemente i passi da seguire:

  • verificare la tipologia di reddito percepita all’estero;
  • comprendere se si tassa soltanto all’estero o anche in Italia (lettura delle convenzioni contro le doppie imposizioni);
  • analizzare la determinazione del reddito in Italia e la compilazione di Unico;
  • verificare l’eventuale recupero del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero.

Se alcuni redditi sono di facile trattazione (come ad esempio le locazioni), circa i redditi finanziari le particolarità non sono affatto di semplice comprensione. Le banche estere solitamente certificano, quali redditi, solo quelli afferenti gli interessi percepiti e le cedole. Già per gli interessi, però, vi è il problema di capire l’aliquota di tassazione, poiché potrebbe trattarsi di interessi collegati a titoli di stato esteri che subiscono la tassazione del 12,5%.

L’altro problema notevole è rappresentato dalla circostanza che nel corso dell’anno, nella gestione titoli, potrebbero essere avvenute compravendite continue. Bisogna determinare le eventuali plusvalenze o minusvalenze, informazione che la banca estera non rende. Il solo dato è di solito rappresentato dalla certificazione della vendita (distinta movimenti), ma inevitabilmente, mediante il ricorso al metodo Lifo, tocca al professionista determinare le plus/minus dell’anno. Ciò dovendo ricordare che, se il contribuente ha un conto in valuta estera, è necessario calcolare le plus/minus sulle differenze di cambio se la giacenza media supera in almeno 7 giorni lavorativi l’ammontare di 50 mila euro. Un conto in franchi svizzeri ad esempio potrebbe rientrare in detta casistica abbastanza facilmente. In una simile circostanza sempre con il metodo Lifo e a cambi giornalieri bisogna osservare cosa è successo in ogni cessione di valuta (intesa non solo come prelievo ma anche ad esempio come acquisto di titoli: in pratica ogni uscita di valuta è rilevante).

Certamente il quadro delineato non è affatto di semplice gestione. Il solo escamotage di bassa leva per ovviare ad un simile ginepraio è applicare l’articolo 6 del D.L. 167 del 1990, ossia far dichiarare il saggio legale in relazione al capitale detenuto all’estero. Della serie, posto che questa è la norma residuale di accertamento per il fisco, si dichiara proprio il reddito forfettario; in questo modo sarà onere dell’ufficio fare un accertamento analitico (posto che di fatto l’accertamento forfettario è impedito essendo il relativo ammontare già dichiarato). Una simile scelta, però, deve essere rappresentata con cura al cliente, perché se da un lato agevola la compilazione, dall’altro diviene elevatissimo il rischio di un futuro contenzioso. La morale è una soltanto: i capitali esteri in Unico sono un vero ginepraio e la relativa gestione richiede tempo e pazienza, circostanza che deve essere adeguatamente compresa dal cliente. Altrimenti meglio rinunciare.