Criticità nella assegnazione che comporta erosione del capitale
di Luca CaramaschiA seguito dell’operazione di assegnazione di beni ai soci, che come è noto di norma si sostanzia in una distribuzione di riserve di utili o di capitale, potrebbe verificarsi, in ragione dello stralcio dalla contabilità del residuo valore contabile del bene assegnato, una ulteriore riduzione/erosione del capitale sociale della società assegnataria. In tale eventualità l’operazione si traduce di fatto in una riduzione volontaria del capitale sociale, deliberata dai soci, ed attuabile solo dopo che siano trascorsi 90 giorni dal deposito della delibera (in tal senso si richiama il contenuto del secondo comma dell’art.2482 del codice civile).
Si discute, pertanto, in dottrina se la riduzione del capitale sociale mediante attribuzione di beni in natura e non di denaro, possa essere operazione deliberata in forza del principio maggioritario ovvero se necessiti una adesione unanime da parte dei soci. Sul punto si riscontrano orientamenti dottrinali e giurisprudenziali (per lo più assunti ante riforma societaria del 2004) secondo i quali rappresenta una legittima ed inderogabile aspettativa del socio vedersi attribuito il patrimonio netto solo tramite denaro, e ciò per evitare che una attribuzione in natura possa violare il principio della par condicio tra i soci, atteso il fatto che i beni in natura non hanno una univoca valutazione.
In questo senso si è pronunciato il Tribunale di Rovereto con la sentenza 5 giugno 1970 nella quale si afferma che “La clausola statutaria che, in caso di riduzione del capitale per esuberanza, ne prevede il rimborso anche mediante assegnazione di beni sociali, in quanto viola il principio della parità di trattamento dei soci, è illegittima”.
Al contrario, spunti dottrinari e giurisprudenziali più recenti adottano una tesi favorevole alla legittimità della attribuzione di beni in natura a titolo di ripartizione del patrimonio netto. Tale operazione, per non ledere il principio di pari trattamento di tutti i soci, dovrebbe avvenire assegnando il bene in natura in comproprietà tra i tutti i soci destinatari, oppure anche eseguendo assegnazioni non proporzionali, purché accettate da tutti i soci. Resta fermo il fatto che in ognuna delle tesi che sostiene questo esito si conclude affermando che la ripartizione non proporzionale comporta una sostanziale modifica delle percentuali di partecipazione al capitale sociale, e questo fatto, dal punto di vista fiscale, è certamente molto complesso da gestire, attese le conseguenze di una cessione occulta di quote ai fini della mancata tassazione del capital gain.
La conclusione più convincente risulta quindi essere quella secondo cui rientra tra le scelte legittime dei soci l’inserimento, deliberato anche a mera maggioranza, di una clausola nello statuto che affermi in modo esplicito la possibilità di assegnare ai soci parti del patrimonio netto tramite attribuzioni in natura. Una volta inserita questa clausola, la effettiva delibera di riduzione con assegnazione di beni potrà essere assunta a maggioranza così come affermato nella massima 9/2009 del Notariato di Firenze, secondo cui tale clausola potrebbe essere inserita anche successivamente alla costituzione della società: “…si ritiene possa sostenersi che manente societate la clausola di riduzione del capitale mediante assegnazione di beni in natura possa essere inserita nello statuto a maggioranza.”
Ciò, ovviamente, non vale a concludere che in tal modo la maggioranza possa agire come crede deliberando assegnazioni di beni ai soci lesive del diritto di pari trattamento dei medesimi, come ancora viene affermato nella citata massima: “La clausola gioca la funzione di non dover più deliberare in ordine all’ammissibilità della tecnica di liquidazione, costringe i soci ad accettare l’assegnazione di beni anziché di denaro (o con la liberazione dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti) ma non esclude nelle singole situazioni la lesione della parità di trattamento. Sicché la riduzione, deliberata a maggioranza, dovrà essere attuata, nel rispetto dei principi fondamentali di correttezza e buona fede, garantendo la sostanziale parità di trattamento dei soci. Ciò potrà realizzarsi attraverso la creazione di panieri omogenei da assegnare ai soci: ad es. merci omogenee presenti in magazzino, identiche villette a schiera di un complesso immobiliare; azioni della società; assegnazione in comproprietà dell’unico bene – o di tutti i beni in natura – in proporzione alle quote di capitale detenute, ecc.. Qualora la parità non sia attuabile, l’operazione potrà ugualmente realizzarsi, ma in tal caso esclusivamente attraverso una delibera assunta con il consenso di tutti i soci”.
Pertanto, in assenza di esplicita previsione nello statuto che autorizzi la riduzione del capitale tramite assegnazione di beni in natura (in presenza della quale la delibera viene assunta con voto maggioritario dei soci), si sostiene che la delibera di riduzione debba essere assunta con decisione che registri l’unanimità dei consensi (si veda in tal senso la massima 9/2009 del Consiglio Notarile di Firenze in precedenza richiamata).