Rimborso Iva oltre il termine biennale
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariIl contribuente ha diritto ad ottenere il rimborso dell’Iva restituita al proprio cliente anche oltre il termine biennale previsto dall’articolo 21 del D.Lgs. 546/1992.
Così la Corte di Cassazione, con l’ordinanza 1426 depositata il 26 gennaio scorso, ha rigettato il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, contro una società di capitali, per tardiva presentazione di domanda di rimborso Iva.
In fatto la società, dopo aver emesso alcune fatture con Iva, per prestazioni di servizio effettuate nei confronti di un’impresa con sede all’estero, aveva ricevuto la richiesta alla restituzione dell’Iva da parte della società committente. Tale richiesta era avvenuta a seguito di provvedimento dell’Agenzia delle entrate contenente la richiesta dell’imposta detratta in quanto l’operazione era ritenuta fuori dal campo di applicazione dell’Iva.
Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso, con sentenza confermata anche in secondo grado, in quanto il termine biennale per richiedere il rimborso dell’Iva indebitamente versata decorre dalla data di ricevimento della richiesta di restituzione dell’imposta portata in detrazione.
L’Agenzia delle entrate, dal canto suo, riteneva invece tardiva la domanda di rimborso, poiché era stata presentata oltre il termine biennale previsto dall’articolo 21, a nulla rilevando la data di ricevimento della richiesta di restituzione dell’Iva detratta.
La Corte di Cassazione, respingendo il ricorso dell’ufficio, ha evidenziato che il secondo comma dell’articolo 21 afferma che il termine per la presentazione della domanda di restituzione dell’imposta versata in eccedenza decorre “dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”.
Inoltre, la Cassazione ha ricordato che con precedenti decisioni era già stato affermato che il contribuente può richiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso dell’Iva anche dopo il decorso del biennio, nel solo caso in cui abbia a sua volta rimborsato l’imposta al committente in esecuzione di un provvedimento coattivo di rimborso a suo danno.
In particolare, “il più breve termine di decadenza previsto dalla norma nazionale nel regolare i rapporti dello stesso con l’amministrazione finanziaria può dunque essere disapplicato solo per garantire il principio di effettività, ovvero, per dirla con la Corte di giustizia, per evitare che “le conseguenze dei pagamenti indebiti dell’IVA imputabili allo Stato” siano sopportate “esclusivamente dal soggetto passivo di tale imposta”. Nel caso in esame la Amministrazione aveva già accolto l’istanza e, verificata la ricorrenza dei presupposti, aveva eseguito il rimborso”.
In definitiva, alla società spetta il rimborso dell’Iva in quanto:
- l’operazione risulta esente dal campo di applicazione dell’Iva;
- il rimborso stesso è stato reclamato sulla base di un provvedimento coattivo;
- non è considerata ostativa la decorrenza del termine di due anni dal pagamento dell’imposta;
- non è considerata ostativa nemmeno la mancata redazione della nota di variazione di cui all’articolo 26 del D.P.R. 633/1972.
In merito all’ultimo punto, la Corte di Cassazione, con la sentenza 10939/2015, ha ritenuto che l’inottemperanza agli adempimenti di cui all’articolo 26 non può ritenersi ostativa al riconoscimento del rimborso dell’Iva indebita versata in eccedenza, se, con accertamento riservato al giudice di merito, risulti che “sia stato in tempo utile definitivamente eliminato qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale, perdita che si verifica allorché il destinatario della fattura – erroneamente omessa o nella quale è stata indebitamente liquidata l’imposta – abbia esercitato in base a tale documento il diritto alla detrazione (o al rimborso), o comunque possa attualmente esercitare tale diritto, dovendosi riconoscere la definitiva eliminazione del rischio in questione, “emessa” ai sensi dell’art. 21, comma 1, D.P.R. n. 633/72, ovvero quando la fattura erroneamente “emessa” sia stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale (annotandola nel registro acquisti od in altre scritture contabili destinate ad evidenziare il diritto alla detrazione), o ancora quando l’Amministrazione finanziaria (anche a seguito di segnalazione dello stesso emittente, ovvero nell’esercizio dei poteri di verifica di ufficio) abbia contestato o definitivamente riconosciuto con provvedimento divenuto definitivo – o riconosciuto illegittimo con accertamento passato in giudicato – il diritto alla detrazione vantato dal destinatario della predetta fattura”.
Tale conclusione risulta in linea con la giurisprudenza comunitaria che riconosce il diritto al contribuente ad ottenere il rimborso dell’Iva, quale conseguenza di un accertamento esercitato dall’ufficio, nei confronti del committente dei servizi, temporalmente successivo alla possibilità riconosciuta dall’ordinamento nazionale per variare il contenuto della fattura.