La vendita di alimenti ai soci dell’asd non è attività commerciale?
di Carmen MusuracaGuido MartinelliParrebbe sovvertire ogni ordine a fatica stabilito la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 4284 del 1° ottobre 2015 attraverso cui i Giudici lombardi, nel confermare la qualificazione già accordata dalla Commissione Provinciale, valutano come non commerciale dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande svolta da una associazione sportiva dilettantistica nei confronti dei propri associati.
Da quanto si ricava dalla lettura della pronuncia, l’Agenzia delle entrate aveva svolto un accertamento nei confronti di una associazione sportiva affiliata ad una Federazione Sportiva Nazionale e riconosciuta dal Coni che svolgeva, unitamente all’attività sportiva di gioco del biliardo, anche somministrazione di alimenti e bevande a prezzi di mercato in favore dei soli propri associati a cui era riservato l’ingresso al circolo.
L’Ufficio, in ragione dell’esercizio di questa ultima attività, ha presunto che l’attività svolta dall’ente presentasse il requisito della commercialità e, anche in ragione dell’assenza di alcun genere di contabilità, aveva proceduto alla rettifica del reddito e al calcolo delle maggiori imposte conseguenti.
L’associazione proponeva ricorso di fronte alla Commissione Provinciale competente che accoglieva le doglianze della sportiva in quanto l’atto di accertamento era fondato solo su mere presunzioni in evidente ma giustificata assenza delle scritture contabili, giudizio che viene condiviso dalla Commissione Regionale adita a seguito di appello proposto dall’Agenzia.
Secondo i giudici di secondo grado è fondamentale la circostanza che il circolo, “può essere frequentato dai soli iscritti per le attività sportive e le somministrazioni di alimenti e bevande non hanno fini di lucro perché riservate ai soli soci e non già al pubblico. La contestazione di inesistenza della contabilità è inconferente e priva di pregio perché l’associazione sportiva non aveva alcun obbligo di tenuta delle scritture contabili perché destinataria dei benefici fiscali della legge 398/91. In sostanza gli accertatori nulla hanno dimostrato in ordine al presunto esercizio di attività commerciale da parte circolo che risulta essere in possesso di tutti i requisiti di legge che disciplinano le società sportive dilettantistiche”.
Nel massimo rispetto della sentenza qui riportata che rappresenta sicuramente un pronunciamento di cui è importante avere notizia, si ritiene però opportuno fare delle precisazioni irrinunciabili al fine di evitare fuorvianti interpretazioni delle norme vigenti che rimangono comunque l’unico riferimento certo sul quale concentrarsi e il richiamo delle quali non si ravvede in alcun passaggio della sentenza in commento.
L’unica disposizione in ragione della quale può discendere la decommercializzazione delle attività di somministrazione di alimenti e bevande è il comma 5 dell’articolo 148 Tuir che contiene una eccezione rispetto alla regola di generale commercialità di simili attività per presunzione normativa da chiunque svolta e nei confronti di chiunque.
Il comma citato recita espressamente che “Per le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all’articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’interno, non si considerano commerciali, anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari, […] sempreché le predette attività siano strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate nei confronti degli stessi soggetti indicati nel comma 3” (cioè: iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali).
La circostanza che il legislatore abbia avuto il bisogno di formulare una simile norma agevolativa che considera non commerciali le prestazioni di somministrazione solo se svolte da determinati soggetti e a specifiche condizioni, è sintomatica del fatto che, per tutti gli altri enti non direttamente rientranti tra quelli espressamente agevolati, vige una presunzione di commercialità di simili attività a prescindere dalla circostanza che i destinatari siano o meno solo gli associati dell’ente.
E ciò vale indipendentemente dall’avvenuto riconoscimento o meno ottenuto da parte del Coni in quanto questo riconoscimento non è fra i presupposti previsti dalla specifica norma agevolativa testualmente riportata.
Si aggiunga, inoltre, che ormai pacificamente la Cassazione ha chiarito che le attività di somministrazione, fuori dalla diretta operatività dell’agevolazione specifica, rappresentano sempre esercizio di attività commerciale senza alcun margine di valutazione ulteriore: “Costituisce ormai, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale, sia in tema di imposte sui redditi che in materia di imposta sul valore aggiunto[…], l’attività di bar con somministrazione di alimenti e bevande verso pagamento di corrispettivi specifici svolta da un circolo sportivo, culturale o ricreativo, anche se effettuata ai propri associati, non rientra in alcun modo tra le finalità istituzionali del circolo stesso, e deve quindi ritenersi, ai fini del trattamento tributario, attività di natura commerciale (Cassazione Civile, Sezione tributaria, Sentenza 12 maggio 2010, n. 11456; .cfr., quanto alle imposte sui redditi, Cass. n. 15191 del 2006, e, quanto all’IVA, Cass. nn. 20073 del 2005, 26469 e 28781 del 2008)”.
In ragione di ciò, non avendo avuto la possibilità di prendere visione di tutti i documenti relativi al procedimento giudicato dalla CTR Lombardia in commento per valutare effettivamente tutti gli elementi in rilievo in sede di giudizio, è opportuno considerare con prudenza le conclusioni alle quali la Commissione è giunta e altrettanto prudenzialmente queste devono essere estese a presunte fattispecie analoghe.