La Cassazione fa il punto sull’omessa dichiarazione
di Luigi FerrajoliIl reato di omessa dichiarazione, previsto e punito dall’articolo 5 del D.Lgs. n.74/2000, che punisce “chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila”, è tornato ad essere oggetto di valutazione da parte della Suprema Corte.
Nel caso di specie, la sentenza n. 46500 del 24.11.2015 risulta particolarmente interessante, in quanto prende in esame non solo il reato in se e per sé considerato, ma anche i mezzi di (acquisizione della) prova che possono essere ritenuti rilevanti nel corso del giudizio.
Nella fattispecie, la Corte di Cassazione, a seguito di ricorso presentato dal legale rappresentante di una società, imputato del reato in parola, ha analizzato i motivi di impugnazione e con ciò ha preso nuovamente posizione su questioni che, nel tempo, hanno impegnato gli operatori del diritto.
Innanzitutto, con riferimento alla valenza probatoria del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza (atto “amministrativo extraprocessuale”), il Giudice di legittimità ha ribadito che il medesimo deve essere considerato atto irripetibile e, come tale, può ben essere acquisito al fascicolo del dibattimento, ai fini probatori dell’accertare o riferire violazioni inerenti norme finanziarie o tributarie. Ciò in quanto riproduce “situazioni di fatto esistenti in un determinato momento e suscettibili di subire modifiche”.
Più dettagliatamente, la Suprema Corte ha evidenziato che, nel caso in cui l’accertamento si basi su elementi ricognitivi, come ad esempio, nel caso concreto, la ricostruzione del volume di affari della società operata sulla base di dati oggettivi ricavati dalla banca dati in cui confluiscono gli elenchi dei fornitori presentati dagli operatori economici e dall’acquisizione presso terzi delle fatture emesse dalla società nei confronti dei clienti individuati attraverso la richiamata banca dati, non è ravvisabile alcuna violazione delle garanzie difensive previste dall’articolo 220 disp. att. c.p.p. (che così stabilisce: “Quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergano indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice”).
Oltretutto, la Cassazione ha rilevato che l’attività di ricerca della documentazione era avvenuta in un momento in cui ancora non poteva essere ipotizzato il superamento della soglia di punibilità.
Ciò stabilito, è stato altresì ribadito che il divieto di testimonianza indiretta avente come destinatari gli ufficiali degli agenti di polizia giudiziaria, formulato nell’articolo 195, comma 4, c.p.p., non si applica “nelle ipotesi in cui il verbalizzante riferisca sulle attività di indagine svolte da altri ufficiali o agenti di p.g. nello stesso contesto investigativo”.
Per quanto concerne invece la struttura del reato, ossia la ricostruzione degli elementi costitutivi della fattispecie, la Suprema Corte ha ancora una volta sottolineato come il Giudice di merito possa avvalersi dell’accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari come “valido elemento di indagine”, a condizione che l’evasione e il superamento della soglia siano valutati in via autonoma, anche mediante comparazione con altri dati, senza che sia fatto apodittico richiamo alle risultanza tributarie.
Nel caso che ci occupa, peraltro, la Corte ha rilevato che l’accertamento era fondato su dati obiettivi, derivando dalla semplice sommatoria degli importi riportati nelle fatture emesse dalla società e non contabilizzati.
Infine, con riferimento all’elemento psicologico richiesto dalla norma incriminatrice, la Cassazione ha rimarcato come il reato de quo non venga meno per il fatto che l’omessa dichiarazione sia attribuita alla negligenza del professionista incaricato alla sua predisposizione e trasmissione, in quanto trattasi di reato omissivo proprio e la norma tributaria considera come personale e non delegabile il relativo dovere.
Nel caso di specie, è tuttavia bene osservare che la Corte di Appello aveva ritenuto indimostrata la negligenza del professionista ed il dolo specifico, richiesto per l’integrazione della fattispecie penale, era dimostrato anche dalla mancata esibizione delle fatture emesse dalla società e dall’effettuazione del pagamento delle imposte solo in epoca successiva alla contestazione.