Gol capolavoro del Napoli! Le spese di lite vanno sempre a tariffa
di Massimo ConigliaroUna vittoria spettacolare, degna del miglior Maradona.
La Corte di Cassazione ha accolto un ricorso della curatela fallimentare della Società Sportiva Calcio Napoli (da cui De Laurentiis rilevò il titolo sportivo nel 2004), il cui difensore – una commercialista con evidenti doti di attaccante – lamentava l’importo irrisorio del compenso liquidato dai giudici per i due gradi del giudizio di merito, entrambi vittoriosi per la formazione partenopea.
La sentenza, da custodire gelosamente e produrre nei nostri ricorsi, è la n. 16953 del 19 agosto 2015 (Sez. V, Pres. Piccininni, Est. Cirillo) ed ha sancito un importante principio in base al quale il giudice del merito non è tenuto a motivare circa la diminuzione o riduzione di voci tariffarie tutte le volte che liquidi compensi in somme inferiori a quelle domandate nella notula, fermo restando il dovere di non determinarli in misura inferiore ai limiti minimi (o superiore a quelli massimi) indicati nelle tabelle in relazione al valore della controversia e salvo che sussista manifesta sproporzione.
Nel caso trattato, la curatela fallimentare della Società Sportiva Calcio Napoli impugnava una cartella di pagamento di 4,7 milioni di euro. Il ricorso era accolto dalla commissione tributaria provinciale di Napoli che, annullava integralmente la cartella, ma compensava le spese processuali. Tale sentenza veniva impugnata dalla curatela sul capo delle spese; proponeva appello incidentale l’Agenzia delle entrate.
Il gravame principale delle curatela era accolto dalla commissione tributaria regionale della Campania che, rigettava anche l’impugnazione incidentale dell’Agenzia e condannava l’erario alla rifusione delle spese processuali liquidate, cumulativamente per il doppio grado, in complessivi 4 mila euro, di cui 3.700 per onorari, oltre oneri di legge.
In pratica, per due giudizi di valore superiore 4 milioni e mezzo di euro venivano quindi liquidati meno di duemila euro per grado.
Tale mortificante quantificazione degli onorari non veniva ritenuta legittima dalla curatela fallimentare che proponeva quindi ricorso per la parziale cassazione della decisione del giudice d’appello in punto d’insufficiente liquidazione delle spese dei gradi di merito.
La curatela fallimentare rappresentava peraltro che, per l’attività di assistenza difensiva svolta nei gradi di merito, il giudice delegato del tribunale aveva liquidato alla professionista la somma complessiva di 90 mila euro e dunque riteneva la evidente insufficienza della liquidazione (3.700 euro per onorario), a fronte di minimi tariffari per i dottori commercialisti pari a euro 61.751,75 per il giudizio di primo grado (valore Euro 4.692.851,42) e a euro 4.056,52 per il giudizio di appello (valore residuo Euro 104.720,69).
Denunciava pertanto la violazione di norme di diritto processuali e di specifiche disposizioni su voci tariffarie; con gli altri due motivi denunciava vizi di motivazione in ragione della inconsistente giustificazione della decisione di merito sui criteri adottati nelle liquidazione delle spese del doppio grado.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, evidenziando che l’art. 15, commi 1 e 2, del D.Lgs. 546/92 stabilisce che la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza e che i compensi agli incaricati dell’assistenza tecnica sono liquidati sulla base delle rispettive tariffe professionali. Ricorda peraltro che i nuovi parametri introdotti nel 2012, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare solo se la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore dell’apposito decreto e si riferisca al compenso spettante al difensore che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale (Sez. U, Sentenza n. 17405 del 12/10/2012, Rv. 623533).
Nella specie la liquidazione è stata ritenuta oggettivamente “irrisoria e praticamente figurativa” rispetto al valore incontroverso di una vertenza che, per insussistenza della pretesa tributaria impugnata, ha portato in primo grado al totale annullamento di un cartella di oltre 4,6 milioni di euro, mentre in secondo grado il valore è circoscritto all’ammontare delle spese processuali di prime cure, invocate con l’appello principale accolto, e alle questioni riguardanti l’Irap, oggetto del rigettato appello incidentale.
Aggiunge la Corte di cassazione in modo netto che “È siderale la distanza rispetto a qualsivoglia criterio liquidativo che possa dirsi minimamente aderente alla tariffa professionale dei dottori commercialisti vigente all’epoca. Il giudice d’appello affida le coordinate della propria liquidazione a generiche formule di rinvio a “valore economico delle lite” e alle “difficoltà operative frapposte alla difesa tecnica dell’appellante“: considerazioni evidentemente acritiche, svincolate dal contenuto degli atti di causa, indefinite e insignificanti, attagliandosi astrattamente a qualsivoglia ipotesi. Inoltre, totalmente erronea è la stessa tecnica di determinazione cumulativa adottata dalla commissione regionale, atteso che le spese del doppio grado del giudizio non possono mai essere liquidate cumulativamente dal giudice dell’appello, ma devono essere determinate separatamente ed analiticamente al fine di individuare i criteri di liquidazione in relazione all’attività defensionale svolta nei diversi gradi”.
In conclusione, la sentenza d’appello è stata cassata con rinvio al giudice competente, che procederà a nuova e motivata liquidazione delle spese dei gradi di merito nonché di quelle di legittimità.
Bel gioco e partita vinta!
Resta da scrivere l’importo (congruo) sull’assegno.