La Cassazione interpreta l’insussistenza del fatto contestato
di Luca VannoniI recenti interventi in materia di licenziamento, la Legge Fornero (L. 92/2012) e il c.d. contratto a tutele crescenti (D.Lgs. 23/2015), hanno ridotto le possibilità di reintegrazione del dipendente illegittimamente licenziato. I primi esiti giurisprudenziali, in riferimento in particolare all’articolo 18, come modificato dalla Legge Fornero (L. 92/2012) e come dimostra la recente Corte di Cassazione, n. 20540/2015,sembrano tuttavia preservare il ruolo centrale della reintegra, tutt’altro che residuale.
È necessario premettere come nel nostro ordinamento esistano tre principali sistemi di tutela in caso di licenziamento illegittimo:
- La tutela obbligatoria, per i lavoratori di imprese fino a 15 dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015;
- La tutela ex articolo 18 L. 300/1970, per i lavoratori di imprese oltre i 15 dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015;
- Le tutele crescenti, previste per i lavoratori assunti a decorrere dal 7 marzo 2015, a prescindere dalle dimensioni dell’organico aziendale, e per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 da imprese che superano la soglia dei 15 dipendenti con assunzioni successive al 7 marzo 2015.
Nel regime soggetto all’applicazione dell’articolo 18, tra i residui casi di reintegrazione è inclusa l’ipotesi in cui il lavoratore sia stato licenziato illegittimamente per motivi disciplinari, se emerge l’”insussistenza del fatto contestato”. Tale espressione è stata oggetto di un intenso dibattito dottrinale sull’esatta interpretazione, condensatosi su due posizioni:
- La teoria del fatto giuridico, dove l’insussistenza che dà luogo alla reintegra è intesa non solo in riferimento all’inesistenza del fatto nei suoi profili materiali, ma anche quando, pur in presenza di un fatto storicamente avvenuto, non integra giuridicamente l’inadempimento contestato;
- La teoria del fatto materiale, dove viceversa l’insussistenza è limitata solo a profili materiali, così da applicare la reintegra solo in caso di inesistenza stretta del fatto.
Proprio su tali aspetti è intervenuta la recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 20540/2015. Il caso riguarda il licenziamento di una lavoratrice, determinato dalle lamentele nei confronti dell’amministratore delegato, definito “paranoico” e “privo di legame con la realtà”, a cui erano seguiti fatti dimostratisi disciplinarmente irrilevanti, come la pretesa di discutere direttamente con l’amministratore delegato e la diffusione di notizie relative allo stesso che le erano state espressamente comunicate, e non acquisite mediante accessi non autorizzati alle informazioni aziendali.
Innanzitutto la Corte di Cassazione conferma l’illegittimità del licenziamento stabilità dalla Corte di Appello di Milano, in quanto fondato da fatti insussistenti o privi di rilievo giuridico. Nel fissare le conseguenze dell’illegittimità, essendo applicabile ratione temporis il nuovo articolo 18, la Corte di Cassazione ritiene applicabile la reintegrazione, in quanto nell’insussistenza del fatto contestato rientrano anche fatti sussistenti ma privi del carattere di illiceità e non suscettibili di alcuna sanzione: la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale ed ha come conseguenza la reintegrazione.
La Corte di Cassazione sposa quindi la teoria del fatto giuridico, ribaltando apparentemente gli esiti di una precedente pronuncia (n. 23669/2014), dove veniva affermata la tesi del fatto materiale. Ma attenzione: anche in quest’ultima sentenza il licenziamento illegittimo era stato sanzionato con la reintegra e, analizzandone il contenuto, il principio affermato non sembra poi discostarsi dalla sentenza in commento.
Se il fatto, esistente, è giuridicamente irrilevante, allora spetta la reintegra; se il licenziamento è illegittimo in ordine alla proporzionalità, giudicata eccessiva rispetto all’inadempimento, il lavoratore avrà diritto alla sola tutela risarcitoria. Ad ogni modo, è bene prestare attenzione, ove applicabile l’articolo 18, anche alle disposizioni della contrattazione collettiva: se il difetto di congruità è supportato dall’espressa previsione nel codice disciplinare di una sanzione conservativa, come la multa o la sospensione, per il comportamento che ha determinato il licenziamento, anche in questo caso la reintegra.
Con tutta probabilità, la Corte di Cassazione utilizzerà gli stessi principi anche in riferimento alla nuova disciplina a tutele crescenti del D.Lgs. 23/2015: pur essendo stato specificato, a superamento dei dubbi dottrinali, che l’insussistenza che dà diritto alla reintegra – esclusivamente per il lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 – è quella materiale, in essa potranno trovare approdo tutte quelle situazioni che saranno considerate irrilevanti disciplinarmente. Si evidenzia, ad ogni modo, che il D.Lgs. 23/2015 si distingue dall’articolo 18 per un aspetto molto importante: non è più prevista la reintegra per il difetto di congruità aggravato dalla previsione della sanzione conservativa da parte della contrattazione collettiva.
Se, infatti, di facciata potrebbe sembrarsi quanto mai dovuta la reintegrazione per forzature eccessive delle regole disciplinari, vero è che spesso le categorie e i concetti utilizzati dalla contrattazione collettiva sono dal carattere sibillino e indefiniti: nell’ottica di una maggior certezza del diritto è da valutarsi in modo estremamente positivo la non riprosizione di tale disposizione nelle tutele crescenti. Rimane, comunque, eccessivamente complicato il quadro di fondo, con regole distinte a seconda della data di assunzione, che possono determinare la situazione paradossale di conseguenze diverse in caso di licenziamenti basati sui medesimi fatti.