Il riaddebito delle spese di studio
di Viviana GrippoRecentemente la Cassazione si è espressa in merito alla deducibilità delle spese comuni sostenute in caso di studio professionale condiviso da più professionisti.
La sentenza n. 16035/2015 sta facendo discutere, in particolare ha creato incertezza la previsione secondo cui il titolare dello studio non potrebbe dedurre l’intero ammontare delle spese sostenute dai e per i collaboratori/tirocinanti di studio in quanto non di sua intera competenza.
I giudici hanno richiamato la prassi dell’Agenzia delle Entrate, Circolare n. 38/E/2010 e C.M. 58/E/2001 nella parte in cui l’Amministrazione afferma che:
“
È
corretto ritenere che il costo sostenuto può essere dedotto dal professionista solo parzialmente, vale a dire per la parte riferibile alla attività da lui svolta e non anche per la parte riaddebitata o da riaddebitare ad altri. Infatti la parte di costo riaddebitata o da riaddebitare non è inerente alla attività da questi svolta e quindi non assume rilevanza reddituale quale componente negativo”.
Prima di approfondire gli aspetti fiscali legati alla fattispecie occorre fare un breve ripasso in merito al concetto civilistico di riaddebito delle spese tra professionisti. In particolare, per il Codice civile il rapporto intercorrente tra il soggetto attivo e quello passivo del riaddebito è qualificabile come mandato senza rappresentanza. Infatti, l’articolo 1703 Cod. civ. definisce il mandato come il contratto con il quale una parte, il mandatario, si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra, mandante, e prevede due figure tipiche:
- il mandato con rappresentanza (articolo 1704 Cod. civ.), in forza del quale il mandatario agisce in nome e per conto del mandante;
- il mandato senza rappresentanza (articolo 1705 Cod. civ.), con cui il mandatario agisce in nome proprio e per conto del mandante.
La stessa Amministrazione finanziaria, intervenendo sull’argomento con la Risoluzione n. 6/E/1998, ha chiarito che, da un punto di vista civilistico, il rapporto intercorrente tra il soggetto attivo e quello passivo del riaddebito deve qualificarsi come mandato senza rappresentanza. Ne è derivato che la stessa Amministrazione ha inquadrato il riaddebito quale corrispettivo di una prestazione di servizi e ha altresì chiarito che esso mantiene la stessa natura intrinseca dell’operazione ricevuta dal mandatario e successivamente ribaltata al mandante.
Tornando quindi all’aspetto fiscale, l’operazione viene inquadrata nella fattispecie prevista all’articolo 3, comma 3, D.P.R. 633/1972, secondo cui le prestazioni rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante e il mandatario; cosicché, secondo la tesi preferita dall’Amministrazione, il riaddebito si definisce quale servizio del mandatario reso senza rappresentanza al proprio mandante ed avente medesima tipologia di quello ricevuto, con la conseguenza che lo stesso avrà le medesime caratteristiche oggettive dell’operazione principale e, quindi, il medesimo regime di tassazione, con l’applicazione della stessa aliquota, fin anche quello di esenzione.
Più confuso si fa ora il trattamento delle imposte dirette.
Ai fini del reddito, come si evince dalle Circolari citate, per il professionista intestatario delle fatture di acquisto dei beni e servizi condivisi, le somme rimborsate dai colleghi/collaboratori:
- non costituiscono reddito di lavoro autonomo;
- non rilevano come componenti positive di reddito;
- non sono soggette a ritenuta d’acconto;
- devono abbattere il costo da questi sostenuto.
All’atto del ricevimento della fattura per l’acquisto del bene o del servizio, difatti, il professionista registrerà la seguente scrittura (supponiamo si tratti del canone trimestrale di locazione dell’immobile utilizzato come studio sostenuto da questi per euro 12.000,00):
Diversi a Banca c/c 14.640,00
Locazioni passive 12.000,00
Iva a credito 2.640,00
La voce “locazioni passive” quindi dovrà essere abbattuta dell’importo rifatturato al collega/collaboratore.
Il professionista emetterà una fattura (si supponga che la spesa sia ribaltata per il 30% e quindi per euro 3.600,00) con Iva per euro 4.392,00 e dovrà registrare la seguente scrittura:
Banca c/c a Diversi 4.392,00
a Riadd. spese comuni studio 3.600,00
a Iva a debito 792,00
Il professionista, quindi, in merito alle imposte dirette, vede aumentato il suo reddito tassabile sulla base della contrapposizione del costo per locazioni passive da lui stesso sostenuto e dell’importo riaddebitato; il suo reddito tassato diviene quindi pari a 8.400,00 euro (dato dalla differenza tra 12.000,00 e 3.600,00).
Ma cosa accadrebbe se il professionista non riaddebitasse tali spese?
È il caso esaminato dalla Cassazione in cui il professionista aveva dei collaboratori/tirocinanti (necessariamente dotati di partita Iva altrimenti il ragionamento non avrebbe senso) ai quali non riaddebitava le spese di studio.
In questo caso i giudici ritengono che il professionista debba determinare l’importo delle spese sostenute sulla base del principio di inerenza.
La quota parte di costo imputabile al titolare sarebbe da questi deducibile, la quota fruita dai collaboratori non inerente e quindi indeducibile.
Questo principio, sempre secondo i giudici, comporta che la quota parte di spese sostenute dal titolare ed inerenti, in quanto dallo stesso sostenute, non potranno essere dedotte nemmeno dai collaboratori/tirocinanti.
Ne consegue che, in presenza di spese sostenute dal titolare dello studio, si potranno verificare due fattispecie:
- spese da questi riaddebitate: il titolare ed il professionista cui è diretto il riaddebito potranno dedurre le spese nella misura a loro addebitata ed inerente,
- spese da questi non riaddebitate: il titolare potrà dedurre la sola quota ad egli addebitabile, mentre i collaboratori non potranno dedurre alcuna spesa.