Ammortamenti: il Fisco entra nelle valutazioni di bilancio
di Giovanni ValcarenghiPaolo NoventaCorreva l’anno 2007 quando, all’interno della legge 244 del 24 dicembre, venne inserito un comma 34 all’articolo 1 ove si affermava che : “Gli ammortamenti, gli accantonamenti e le altre rettifiche di valore imputati al conto economico a partire dall’esercizio dal quale, … , decorre l’eliminazione delle deduzioni extracontabili, possono essere disconosciuti dall’Amministrazione finanziaria se non coerenti con i comportamenti contabili sistematicamente adottati nei precedenti esercizi, salva la possibilità per l’impresa di dimostrare la giustificazione economica di detti componenti in base a corretti princìpi contabili”.
Da un lato, dunque, si salutava il famigerato quadro EC che, seppure generava preoccupazioni operative per la complessità della compilazione, rappresentava il vero strumento che consentiva ai contribuenti di non inquinare il bilancio di esercizio per scelte di natura meramente fiscale.
Per altro verso, però, si affermava la potestà del Fisco di intromettersi in scelte di natura meramente civilistica, ovviamente al solo fine di disconoscere i vantaggi fiscali derivanti dalle medesime, con un evidente pericolo di valutazione finalizzata al solo recupero contabile.
Disconoscere i vantaggi fiscali derivanti da scelte non coerenti con i comportamenti contabili sistematicamente adottati nel passato, significa riuscire a dosare con saggezza i metri di valutazione della coerenza e della sistematicità, esercizio davvero difficile e, probabilmente, non sempre consono al verificatore.
Gli scettici, tuttavia, affermarono che si trattava dell’ennesima affermazione di principio cui sarebbe seguito un vuoto assoluto a livello accertativo; insomma, tanto rumore per nulla.
Chi scrive, invece, aveva percepito con diffidenza la norma, nella certezza di due concetti: il primo, relativo ai bilanci delle aziende, che non hanno mai brillato certo per coerenza di scelte contabili nel tempo, il secondo, relativo alla ghiotta occasione che poteva presentarsi al verificatore di recuperare ampie sacche di imponibile al ricorrere di particolari accadimenti. In particolar modo, nell’evenienza di performance aziendali al rialzo che seguono esercizi di difficoltà.
Tali concetti hanno trovato una brutale materializzazione nella sentenza di Cassazione n. 22016 del 17-10-2014, che si è occupata di una situazione assai frequente, relativa la periodo di imposta 2000 (quindi, antecedente alle modifiche operate nel 2007). Basta riportare queste affermazioni:
- i criteri di ripartizione del valore da ammortizzare devono assicurare una razionale e sistematica imputazione del valore dei cespiti durante la stimata vita utile dei medesimi onde eventuali modifiche dei criteri di ammortamento dei coefficienti applicati devono essere giustificate in forza di una valida ragione economica e specificamente motivate nella nota integrativa;
- nel caso di specie, la contribuente ha applicato nei periodi d’imposta antecedenti a quello in esame, ai propri beni strumentali, coefficienti di ammortamento pari al 50% di quelli stabiliti dalla normativa fiscale, mentre a far data dall’anno 1999 ha applicato ai medesimi beni i coefficienti stabiliti dalla medesima normativa in misura massima;
- la variazione del criterio di imputazione, non risulta fondata su una valida ragione economica e non ha trovato alcuna giustificazione nella nota integrativa al bilancio;
- tale omessa indicazione implica una violazione che non è meramente formale, ma direttamente contraria all’obbligo di verità e chiarezza nella redazione del bilancio, e che non si esaurisce con la prima annualità in cui si determina la variazione, ma permane per tutte le annualità in cui si rilevi uno scostamento (nel caso di specie assai sensibile) dal criterio di ammortamento originario.
Quindi, pur nel rispetto del limite massimo delle tabelle del DM del 31.12.1988 parte degli ammortamenti viene disconosciuta.
Gli scettici del 2007, sono divenuti più prudenti nel 2014 ma, sull’adagio che una rondine non fa primavera, hanno giustamente rammentato che una sola pronuncia non costituisce un orientamento consolidato.
Poco dopo, in particolare il 14 gennaio 2015, la Cassazione torna a pronunciarsi con la sentenza n. 451 al riguardo di un contribuente che, perduta l’esenzione decennale, aveva incrementato le aliquote di ammortamento. Qui si afferma che “… nel caso di specie; è incontestato che nessuna nota integrativa conteneva la benché minima motivazione circa la radicale modifica dei coefficienti di ammortamento intervenuta a far tempo dall’esercizio 1999, dunque proprio in concomitanza con la cessazione del regime decennale di esenzione territoriale Irpeg, che ne ha comportato una sorta di “prolungamento”, nella misura in cui l’improvviso (ed apparentemente ingiustificato) raddoppio dei componenti negativi ha determinato un abbattimento dei redditi, nel momento in cui essi erano divenuti nuovamente imponibili. Né, si sottolinea, alcuna giustificazione al riguardo è stata mai successivamente fornita dalla contribuente, nemmeno nel corso del giudizio”.
Così, se è vero che una rondine non fa primavera, appare altrettanto vero che non c’è due senza il tre.
Eccoci allora alla sentenza di Cassazione n. 20678 del 14.10.2015 ove si ha modo di leggere che “l’ammortamento deve essere necessariamente improntato a criterio di sistematicità e le quote di ammortamento, dovendo essere rapportate in modo tendenzialmente uniforme alla durata normale di utilizzazione dei beni strumentali, non possono, in assenza di adeguata esposizione della relativa giustificazione economica nella nota integrativa di bilancio, variare in relazione alle diverse annualità”.
Quindi, il Fisco, secondo il suddetto orientamento (che ormai pare consolidato) può sindacare le scelte contabili non coerenti del contribuente, forse anche a prescindere dalla modifica normativa del 2007 e, dopo la medesima, a maggior ragione.
Il tutto vale per apporci un memo di natura operativa: la variazione delle misure dell’ammortamento (quando le medesime crescono rispetto al passato) deve accompagnarsi con una adeguata giustificazione nella nota integrativa. Così, sarà migliore il bilancio e sarà assai più difficile (per non dire impossibile) per il Fisco sindacare la scelta del contribuente ritenendola non coerente con i comportamenti del passato.