L’IVA nella triangolazione “impropria” con cliente finale italiano
di Marco PeiroloNella triangolazione comunitaria “impropria” intervengono due soggetti identificati in Paesi membri dell’Unione europea diversi, mentre il terzo soggetto è identificato in un Paese extra-UE.
A fronte di un unico trasferimento fisico dei beni (dal primo cedente al cliente del promotore della triangolazione), si verifica un duplice trasferimento di proprietà, ossia dal primo cedente al promotore della triangolazione e da quest’ultimo al proprio cliente.
La C.M. 23 febbraio 1994, n. 13-VII-15-464/1994 (§ B.16.3) distingue il trattamento IVA delle suddette triangolazioni in base al ruolo assunto dal soggetto passivo italiano, in veste cioè di primo cedente, di promotore della triangolazione o di cessionario finale.
In quest’ultimo caso, in cui il soggetto passivo italiano è il destinatario effettivo dei beni, occorre ulteriormente distinguere a seconda che l’operatore extra-UE sia il primo cedente, ovvero il promotore della triangolazione.
Ipotizzando che l’operatore italiano acquisti dal fornitore di altro Paese membro i beni provenienti direttamente da un Paese extracomunitario, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che, per il cessionario finale italiano, l’operazione non assume natura intracomunitaria, atteso che si realizza, per il soggetto residente, un’importazione, in quanto tale soggetta a IVA in dogana ai sensi dell’art. 67 del D.P.R. n. 633/1972.
La R.M. 31 marzo 1999, n. 60/E ha chiarito il trattamento IVA della merce estera che giunge al confine comunitario di proprietà di un soggetto nazionale, il quale effettua l’immissione in libera pratica utilizzando titoli di importazione di un operatore comunitario.
Alla luce delle indicazioni contenute nella C.M. 20 novembre 1997, n. 11917/III/SD, è da considerare, nel caso di specie, che l’importatore ai fini IVA sia l’operatore comunitario intestatario del titolo, cui spetta il diritto alla detrazione dell’imposta assolta all’atto dell’introduzione dei beni in Italia.
Il rapporto tra cedente comunitario, che effettua materialmente lo sdoganamento, e l’acquirente nazionale concretizza, invece, un’operazione interna da assoggettare a IVA.
Secondo la citata risoluzione n. 60/E/1999, tenuto conto del fatto che il soggetto comunitario effettua un’operazione attiva in Italia, l’imposta assolta all’atto dell’importazione non può essere recuperata secondo la procedura del rimborso “diretto” (all’epoca disciplinata dall’art. 38-ter del D.P.R. n. 633/1972), ma unicamente attraverso l’identificazione diretta, ex art. 35-ter del D.P.R. n. 633/1972, o per mezzo della nomina di un rappresentante fiscale.
L’Amministrazione finanziaria ha, inoltre, precisato che, in assenza di identificazione in Italia del cedente comunitario, l’operazione interna deve essere regolarizzata dal cessionario nazionale mediante emissione di autofattura, a norma dell’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972.
Tali indicazioni devono ritenersi superate a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 18/2010. Dal 1° gennaio 2010, infatti, alla posizione IVA italiana del soggetto non residente (UE o extra-UE) resta preclusa l’emissione della fattura con addebito dell’imposta, siccome è il cessionario italiano, soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato, che deve assolvere il tributo mediante il sistema del reverse charge, ai sensi dell’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972.
Questa conclusione è confermata, tra le altre, dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate 29 luglio 2011, n. 37 (§ 4.2), secondo cui, dal 2010, “l’IVA relativa a tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi territorialmente rilevanti ai fini dell’imposta in Italia – rese da soggetti non residenti (ad eccezione di quelle rese per il tramite di una stabile organizzazione in Italia) – deve sempre essere assolta dal cessionario o committente, quando questi sia un soggetto passivo stabilito in Italia, mediante l’applicazione del meccanismo del reverse charge, ancorché il cedente o prestatore sia identificato ai fini IVA in Italia, tramite identificazione diretta o rappresentante fiscale”.
Ne consegue che il documento emesso dalla partita IVA italiana del soggetto passivo estero residente, per la cessione effettuata nei confronti del soggetto passivo nazionale, deve considerarsi non rilevante come fattura ai fini IVA, sicché occorre richiedere, al suo posto, la fattura emessa direttamente dal fornitore estero (risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 21 del 20 febbraio 2015). Ciò significa, altresì, che il cessionario italiano deve emettere autofattura entro il giorno 15 del terzo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione nel caso di mancata ricezione della fattura dal fornitore comunitario entro il secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione; l’autofattura va annotata entro il termine di emissione e con riferimento al mese precedente (artt. 46, comma 5, e 47, comma 1, secondo periodo, del D.L. n. 331/1993).
Nella triangolazione in esame, in considerazione della riformulata disciplina dei rimborsi chiesti dai soggetti stabiliti in altri Paesi membri, l’IVA assolta in dogana all’atto dell’importazione può essere chiesta in restituzione al Centro operativo di Pescara in base alla procedura prevista dall’art. 38-bis2 del D.P.R. n. 633/1972, a nulla rilevando la circostanza che l’operatore non residente effettua una cessione interna, dal momento che la relativa imposta è assolta, in reverse charge, dal cliente italiano (si veda il primo comma del citato art. 38-bis2).