Agevolazione prima casa: l’inerzia del Comune insidia il beneficio?
di Cristoforo FlorioCon la recente ordinanza del 1° ottobre 2015, n. 19684, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi del rispetto temporale del termine dei 18 mesi per il trasferimento della residenza, valevole ai fini dell’agevolazione “prima casa”.
Nel caso sottoposto al vaglio dei Supremi Giudici, la Commissione Tributaria Regionale aveva respinto l’appello del contribuente, proposto da quest’ultimo in relazione all’avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia delle Entrate a seguito del presunto omesso trasferimento della residenza, nel termine dei 18 mesi, presso il Comune in cui era sito l’immobile oggetto dell’acquisto agevolato.
Il contribuente aveva presentato all’anagrafe comunale la richiesta di trasferimento della residenza entro il termine dei 18 mesi dalla data dell’acquisto; tuttavia, la richiesta era rimasta inevasa da parte del Comune (presumibilmente per inefficienze amministrative) e, pertanto, tale prima istanza non aveva prodotto alcun esito.
Conseguentemente, lo stesso contribuente procedeva ad un rinnovo della domanda di residenza, questa volta successivamente al termine dei 18 mesi, cui faceva seguito l’accoglimento della richiesta da parte del Comune, con efficacia dalla data di detta seconda domanda.
A fronte di tali fatti, l’Agenzia delle Entrate prendeva a riferimento la seconda delle due domande di cambio di residenza proposte dal contribuente e considerava non tempestivo il trasferimento, con conseguente recupero delle maggiori imposte, oltre a sanzioni e interessi.
Prima di addentrarci oltre nelle conclusioni raggiunte dalla Suprema Corte, tentiamo di inquadrare da un punto di vista normativo la vicenda.
L’agevolazione “prima casa” è disciplinata dall’articolo 1 della Tariffa – parte prima, nota II bis), allegata al D.p.r. n. 131/86 e, come noto, consente alla persona fisica – al ricorrere di determinate condizioni – di usufruire di una tassazione di favore in fase di acquisto di un immobile o di un diritto reale.
In particolare, il beneficio fiscale in questione consta di una riduzione delle aliquote applicabili in fase di compravendita immobiliare, determinando l’applicazione dell’imposta di registro con l’aliquota del 2% in luogo del 9% o, in caso di vendita soggetta ad IVA, consentendo l’applicazione dell’aliquota del 4% in luogo del 10% o del 22%.
Tra i requisiti previsti dalla normativa vigente per usufruire dell’agevolazione in esame vi è quello basato sull’ubicazione dell’immobile da acquistare; infatti, l’immobile oggetto del trasferimento deve essere situato nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha o intende stabilire la residenza (tralasceremo volutamente in questa sede i casi specifici relativi alle ipotesi del luogo di lavoro del contribuente situato nel Comune in cui è ubicato l’immobile oggetto di acquisto ed il caso dei cittadini italiani residenti all’estero).
Laddove l’acquirente, al momento dell’acquisto dell’immobile, non soddisfi il requisito della residenza come sopra delineato potrà ugualmente usufruire della tassazione agevolata “prima casa”, a condizione di dichiarare nell’atto di compravendita la propria volontà di stabilire, entro 18 mesi dall’acquisto, la residenza nel Comune ove è ubicato l’immobile acquistato.
Tale dichiarazione deve essere resa dall’acquirente a pena di decadenza; si tratta, in buona sostanza, di una manifestazione di volontà, da cui scaturisce l’onere per il compratore di trasferire la residenza, entro il termine di 18 mesi, ed il cui mancato rispetto determina la perdita dell’agevolazione ed il conseguente recupero da parte dell’Amministrazione finanziaria delle maggiori imposte, maggiorate di sanzioni e interessi.
Tornando ai contenuti dell’ordinanza n. 19684/2015, la Cassazione – richiamando anche le disposizioni di cui all’art. 18, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 223/1989 – ha statuito che a fare fede ai fini dell’imposta di registro è la
data della dichiarazione resa dall’interessato al Comune, sempre che risulti poi accolta la richiesta di iscrizione anagrafica (si veda in tal senso risoluzione n. 20/E/1995).
In altri termini, ciò che conta ai fini del rispetto del requisito di residenza in ambito “prima casa” non è il momento conclusivo del procedimento di trasferimento della residenza ma il momento nel quale il contribuente manifesta (con la sua richiesta) l’intenzione – poi concretamente realizzata – di ottenere la nuova residenza anagrafica (siccome condizione per il godimento del beneficio fiscale), senza che assuma alcun rilievo il lasso temporale intercorrente tra l’inizio e la fine del procedimento, indipendentemente dalle cause e responsabilità del ritardo.
Caso del tutto diverso è invece quello in cui il Comune respinge la domanda di trasferimento di residenza, situazione per la quale è previsto che il contribuente, che non voglia decadere dal beneficio “prima casa”, deve dimostrare i vizi inficianti il provvedimento che respinge tale richiesta o quelli attinenti al procedimento da cui ha avuto origine il respingimento (si veda sul punto Cass. n. 14399/2010).
Peraltro, la pronuncia in esame si pone sulla medesima scia della precedente ordinanza n. 110 dell’8 gennaio 2015, in cui la Suprema Corte ha accolto il ricorso di un contribuente campano che si era visto revocare i benefici fiscali “prima casa” a seguito di un presunto tardivo trasferimento di residenza. Anche in questo caso, la Corte di Cassazione ha chiarito che il beneficio fiscale “prima casa” spetta a coloro che abbiano fatto richiesta formale di residenza entro il termine dei 18 mesi.
Pertanto, ai fini che qui interessano, se la domanda di trasferimento di residenza è posta nel termine previsto dalla legge per fruire dell’agevolazione “prima casa” resta irrilevante una eventuale tardiva annotazione anagrafica da parte del Comune.
Va inoltre evidenziato che nell’ordinanza n. 19684 la Cassazione ha decisamente adottato un principio di buon senso, in quanto – superando il dato formale della presentazione di una doppia domanda da parte del contribuente – ha riconosciuto che la seconda istanza non implicava una revoca della precedente, ma costituiva semplicemente una mera sollecitazione indirizzata al Comune rimasto inerte dinanzi ad una richiesta di iscrizione anagrafica.
Venivano cosi bocciate le pretese dell’Agenzia delle Entrate nonché le deduzioni burocratiche e automatiche poste dall’amministrazione comunale circa la valenza “sostitutiva” della seconda istanza rispetto alla prima, che rischiavano di ledere – unitamente ad una vero e proprio caso di inefficienza della pubblica amministrazione – i diritti legittimamente acquisiti dal contribuente.