Jobs act: in vigore dal 24.09 le nuove norme sul controllo a distanza
di Luca VannoniCon la pubblicazione nella G.U. n.221 del 23 settembre, S.O. n.53, sono in vigore gli ultimi 4 decreti del Jobs Act, dedicati, in particolare al riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, con il D.Lgs. n.148 del 14 settembre 2015, alla razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale, con il D.Lgs. n.149 del 14 settembre 2015, al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, con il D.Lgs. n.150 del 14 settembre 2015 e, infine, alla razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini ed imprese ed altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, con il D.Lgs. n.151 del 14 settembre 2015.
Come emerge da una prima, sommaria analisi, i provvedimenti emanati riguardano vaste e fondamentali aree dell’ordinamento giuslavoristico: sicuramente, i provvedimenti che impatteranno maggiormente nell’attività professionale della consulenza del lavoro e nella gestione del personale sono il D.Lgs. 148/2015, in materia di ammortizzatori sociali, e il D.Lgs. 151/2015, che introduce un consistente numero di modifiche volte alla semplificazione della gestione dei rapporti di lavoro.
In questa prima analisi, mi soffermerò proprio sull’ultimo decreto citato, e, in particolare, sulla disposizione che più ha fatto discutere nelle fasi di gestazione del provvedimento relativa ai controlli dei lavoratori.
Il quadro normativo previgente si caratterizzava da una norma del 1970, l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, che ormai da qualche anno manifestava tutte le sue difficoltà nel normare e includere nella propria competenza le odierne tecnologie e strumentazioni. Tenuto conto anche della continua evoluzione dell’organizzazione del lavoro, la giurisprudenza sulla materia si è sempre caratterizzata da forti contrasti e incertezze, tanto da rendere, come è avvenuto, ineludibile un intervento di riforma.
La riforma dell’art. 4 innanzitutto si fonda su una miglior specificazione delle forme di controllo, comunque indirette, in quanto la valutazione della prestazione non può esserne l’oggetto e il motivo: gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla RSU o dalle RSA.
Da un punto di vista della procedura per la attivazione degli impianti o strumenti di controllo, sono state espressamente normate importanti disposizioni anticipate in via di prassi dal Ministero del Lavoro: in mancanza di accordo con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, si può procedere con l’installazione previa autorizzazione della DTL o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più DTL, dal Ministero del Lavoro.
Particolarmente interessante la deroga introdotta dal D.Lgs. 151/2015: gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, come pc e smartphone, e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze non devono essere oggetto delle procedure autorizzative sopra previste.
Nell’attesa che il Ministero del Lavoro emani le proprie istruzioni, particolarmente rilevanti stante il ruolo nel procedimento autorizzativo, è opportuno evidenziare che ora la legge prevede espressamente la possibilità di utilizzare le informazioni raccolte con gli strumenti di controllo, da autorizzare o non, a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto delle disposizioni in materia di privacy. Proprio il Garante della Privacy, con una serie di dichiarazioni, ha espresso le proprie perplessità sull’estensione dell’utilizzabilità dei dati acquisiti, in particolare ai fini disciplinari nei confronti del lavoratore. Al di là delle diverse opinioni, la norma ora da maggiori certezze al datore di lavoro nell’utilizzo di eventuali dati da cui emergano evidenti comportamenti disciplinarmente e penalmente rilevanti, che, nel recente passato, hanno trovato esiti contrastanti nella loro valutazione giudiziale.
Inoltre, è opportuno precisare che nulla è stato previsto in materia di internet e posta elettronica, materia sulla quale è necessario rispettare i principi in materia di protezione dei dati, previsti dal D.Lgs. n.196/2003, di liceità, correttezza, necessità, pertinenza, completezza e non eccedenza.
La sanzione, contenuta nel codice della privacy, per le violazioni delle disposizioni sopra citate è quella dell’art.38 dello Statuto dei lavoratori che prevede che le stesse siano punite, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con l’ammenda da 154 a 1.549 euro o con l’arresto da 15 giorni ad 1 anno. Nei casi più gravi le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente e la sentenza di condanna è pubblicata. Quando, per le condizioni economiche del reo, l’ammenda possa presumersi inefficace anche se applicata nel massimo, il giudice può aumentarla fino al quintuplo.