3 Settembre 2015

Non si detrae l’IVA addebitata in misura maggiore al dovuto

di Giovanni Valcarenghi
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Cosa accade quando, in relazione ad una operazione IVA, il soggetto emittente addebita una imposta superiore a quella dovuta (si ipotizzi, per errore nella applicazione dell’aliquota)?

Può il soggetto committente/acquirente esercitare il diritto alla detrazione del tributo, ovvero agire nei confronti dell’Agenzia per richiedere la restituzione della maggiore imposta pagata?

Di questi temi si è occupata, recentemente, la Cassazione con la sentenza 17173 depositata lo scorso 26 agosto (di analogo contenuto la sentenza 17169 del medesimo giorno), in relazione ad una controversia sviluppatasi, nel settore dell’edilizia, a seguito di addebito di prestazioni con aliquota ordinaria, anziché nella misura ridotta del 4%.

La società committente aveva avanzato istanza di rimborso IVA e, nel corso dei controlli, è emersa l’irregolarità di cui sopra, oltre ad altre anomalie qui non di interesse.

Il punto cruciale analizzato dai giudici risiede nel fatto che il diritto alla detrazione non può essere esercitato in modo difforme dal titolo che lo legittima, e cioè dalla indicazione della imposta come liquidata nella fattura, atteso che quando la detrazione d’imposta “è superiore o inferiore a quella cui il soggetto passivo ha diritto“, perché la imposta indicata in fattura è in tutto od in parte non dovuta in relazione alla specifica operazione posta in essere, si rende necessario procedere alla rettifica del documento commerciale (Corte di Giustizia, 13.12.1989, causa C-342/87 e 31 gennaio 2013, causa C-642/11, ove si evince che l’esercizio del diritto di detrazione non si estende all’imposta dovuta esclusivamente per il fatto di essere indicata in fattura).

Soggetto passivo d’imposta è esclusivamente colui che indica l’imposta in una fattura, profilandosi pertanto una divergenza tra:

  • il rapporto di diritto civile, instaurato tra cedente/prestatore e cessionario/committente avente ad oggetto l’adempimento dell’obbligazione in rivalsa;
  • il rapporto di diritto tributario, instaurato tra cedente/prestatore (emittente fattura e soggetto-passivo d’imposta) ed Amministrazione finanziaria, avente ad oggetto l’obbligazione di pagamento del tributo.

In tali casi, spetta agli Stati membri adottare le norme idonee a consentire la rettifica e la correzione di eventuali errori formali o materiali mediante misure idonee a realizzare il principio della neutralità dell’IVA (sentenza 19.9.2000, causa C- 454/98; 18.6.2009, causa C-566/07), dovendo tali misure non eccedere rispetto a tale scopo (principio di proporzionalità), richiedendo solo quanto necessario ad assicurare la esatta riscossione della imposta ed evitare le frodi (sentenza 21.3.2000, cause riunite C-110/98 e C-147/98).

Rimane fermo che il recupero della imposta indebitamente versata all’Erario dal soggetto passivo è subordinato alla verifica della buona fede del contribuente, ovvero alla condizione che questi abbia fornito la prova di avere oggettivamente eliminato ogni potenzialità dannosa per l’Erario (perdita di gettito fiscale) determinata dalla erronea fatturazione della imposta (o perché la fattura, che rechi la indicazione della imposta superiore od inferiore a quella effettivamente dovuta, sia stata ritirata o distrutta dall’emittente, o perché quest’ultimo si sia tempestivamente attivato presso gli Uffici finanziari per elidere in concreto gli effetti della imposta indebitamente fatturata) (sentenza 19.9.2000,  causa C-454/98; 18.6.2009, causa C-566/07; 11.4.2013, causa C-138/12).

Quanto alla azionabilità della pretesa restitutoria della imposta indebitamente versata, si debbono individuare tre distinti rapporti (tra loro collegati ma che non interferiscono) connessi allo svolgimento dell’operazione imponibile:

  1. tra l’amministrazione finanziaria e il cedente, relativamente a1 pagamento dell’imposta;
  2. tra il cedente ed il cessionario, in ordine alla rivalsa;
  3. tra l’amministrazione ed il cessionario, per ciò che attiene alla “detrazione dell’imposta” assolta in via di rivalsa).

Così argomentando, ne deriva che:

  • il cedente non può opporre al cessionario (per la restituzione dell’indebito) l’avvenuto versamento dell’imposta;
  • il cessionario non può opporre all’amministrazione – che escluda la detrazione della imposta erroneamente liquidata in fattura – che l’imposta è stata assolta in via di rivalsa e versata all’amministrazione medesima;
  • solo il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell’amministrazione, la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto versato in via di rivalsa (Cassazione SSUU n. 6419 del 22/04/2003; Cassazione n. 6632 del 29/04/2003; n. 14933 del 06/07/2011; n. 24794 del 24/11/2005; n. 4020 del 14/03/2012).

Ovviamente, il rapporto di natura privatistica tra cedente e cessionario si configura laddove il cessionario rivesta la posizione di “consumatore finale“, e cioè a dire si identifichi nel soggetto definitivamente inciso dalla imposta, diversamente riemergendo il rapporto tributario tutte le volte in cui l’IVA indebitamente versata in rivalsa sull’acquisto di beni e servizi destinati all’esercizio dell’attività economica venga a riflettersi sulla liquidazione finale della imposta, esposta nella dichiarazione annuale del contribuente, qualora il Fisco contesti, in tutto od in parte, che l’IVA versata in rivalsa non poteva essere portata in detrazione.

La Corte di Giustizia ha, peraltro, ritenuto pienamente compatibile con i principi di neutralità, effettività e non discriminazione, una normativa nazionale in cui:

  • da un lato, il prestatore che ha versato erroneamente l’IVA alle autorità tributarie è legittimato a chiederne il rimborso e,
  • dall’altro, il destinatario dei servizi può esercitare un ‘azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore.

Tale sistema infatti consente a detto destinatario gravato della imposta erroneamente fatturata di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate (Corte di Giustizia 15.3.2007, causa C-35/05), non potendo lo Stato membro impedire, tuttavia, al destinatario del servizio (o al cessionario) di conseguire la restituzione dell’importo della imposta indebitamente fatturata, direttamente dall’Amministrazione finanziaria nel caso in cui l’azione civilistica nei confronti del prestatore di servizi (o del cedente) risulti impossibile od eccessivamente difficile, segnatamente in caso di insolvenza del prestatore.

Poiché, nel caso in esame, tale ultima fattispecie non si è verificata, risulta corretto il diniego alla restituzione del maggior tributo.

Ecco perché, nella pratica quotidiana, non risulta mai appagante risolvere eventuali dubbi in merito alla correttezza di una IVA addebitata liquidando la questione con la presunta neutralità del tributo (un soggetto versa, l’altro detrae); diversamente, occorre andare sino in fondo alla vicenda, specialmente quando si assiste l’acquirente o il compratore che sia soggetto passivo IVA.