L’identificazione IVA del cessionario nelle cessioni intracomunitarie
di Marco PeiroloIn merito all’identificazione del cliente nell’ambito delle cessioni intracomunitarie, la giurisprudenza nazionale, sulla scia di quella comunitaria, ha affermato che occorre distinguere l’ipotesi in cui la cessione, assoggettata al regime di non imponibilità di cui all’art. 41 del D.L. n. 331/1993, sia posta in essere senza l’indicazione in fattura del codice identificativo del cessionario o con l’indicazione di un codice identificativo errato, da quella in cui il cessionario sia del tutto privo di soggettività passiva IVA, per esempio perché già cessato all’epoca dell’operazione.
Sul piano normativo, l’art. 50, comma 1, del D.L. n. 331/1993 stabilisce che le cessioni intracomunitarie sono effettuate senza applicazione dell’imposta nei confronti dei cessionari che abbiano comunicato il numero di identificazione agli stessi attribuito dallo Stato membro di appartenenza e, in linea con questa previsione, l’art. 46, comma 2, dello stesso decreto dispone che, a livello cartolare, la fattura deve contenere l’indicazione del numero di identificazione attribuito, agli effetti dell’IVA, al cessionario dallo Stato membro di appartenenza.
È vero che il secondo comma del citato art. 50 del D.L. n. 331/1993 prevede che l’Amministrazione finanziaria, su richiesta degli esercenti imprese, arti e professioni, conferma la validità del numero di identificazione del cessionario comunitario non residente, nonché i dati relativi alla ditta, denominazione o ragione sociale e, in mancanza, al nome e al cognome. Tuttavia, come sottolineato dall’ordinanza della Corte di Cassazione n. 17254 del 29 luglio 2014, laddove l’operatore nazionale non si sia attivato per ottenere la conferma dell’Ufficio, la cessione non perde automaticamente il diritto alla non imponibilità se in fattura è stato indicato un codice identificativo errato.
La mancata indicazione del codice identificativo, al pari dell’indicazione di un codice identificativo errato, rappresenta infatti una violazione formale, non idonea ad incidere sul regime impositivo dell’operazione, se il cedente è in grado di dimostrare la sussistenza dei requisiti sostanziali che ne qualificano la natura “intracomunitaria” dal punto di vista oggettivo, soggettivo e territoriale.
In proposito, è noto che il principio di destinazione applicabile agli scambi intracomunitari presuppone che i beni siano trasportati/spediti in altro Stato membro a destinazione di un soggetto passivo IVA che agisce in quanto tale e che la cessione comporti il trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento.
Con particolare riguardo al requisito soggettivo, se la violazione commessa dal cedente non può, di per sé, giustificare l’imponibilità dell’operazione, è pur sempre necessario che l’operatore nazionale sia in grado di fornire indicazioni idonee a dimostrare che la controparte non residente sia un soggetto passivo che agisce in quanto tale nell’ambito dell’operazione di cui trattasi. In difetto di tale dimostrazione, infatti, la violazione assume uno specifico rilievo ai fini del diniego del regime di non imponibilità applicato alla cessione, in quanto impedisce di provare la sussistenza di uno dei requisiti sostanziali dell’operazione costituito dallo status di soggetto passivo IVA del cessionario.
In pratica, il cedente deve verificare, con la diligenza dell’operatore commerciale professionale, le caratteristiche di affidabilità della controparte sotto un profilo sostanziale, ponendo in essere un comportamento apprezzabile in termini di buona fede finalizzato ad accertare che la cessione sia stata posta in essere effettivamente nei confronti di un soggetto passivo d’imposta che agisce in quanto tale in altro Stato membro.
Le considerazioni esposte portano a ritenere che, in sede di contenzioso, non può ritenersi assorbente – ed al contempo decisiva – la circostanza relativa alla mancata indicazione in fattura di un codice identificativo valido e alla mancata richiesta di riscontro del codice stesso, senza che si sia verificato se vi fossero comunque, sulla base degli elementi offerti dal contribuente, elementi idonei a dimostrare in maniera certa: (i) l’esistenza dei requisiti sostanziali per classificare l’operazione nell’ambito delle cessioni intracomunitarie e (ii) l’eventuale intento evasivo o elusivo del contribuente.
Nella diversa situazione in cui il cessionario sia del tutto privo di soggettività passiva IVA, per esempio perché già cessato all’epoca dell’operazione, la violazione commessa dal cedente non può più definirsi formale dal momento che l’operazione è stata considerata non imponibile in assenza del requisito soggettivo e, in questo contesto, il cedente non può considerarsi in buona fede non avendo verificato la persistente operatività del cessionario richiedendo all’Amministrazione finanziaria la conferma della validità del numero di identificazione della controparte (Cass., 24 luglio 2015, n. 15639).