30 Luglio 2015

Prova rigorosa della crisi di liquidità per l’omesso versamento Iva

di Luca Dal Prato
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Con la sentenza n. 25317 del 17 giugno 2015 la Corte di Cassazione penale conferma che non è esente da colpa il debitore inadempiente a causa della “crisi di liquidità” in quanto, per la sussistenza del reato, non è richiesto alcun fine di evasione trattandosi di dolo generico integrato da una condotta omissiva. Il reato di omesso versamento dell’IVA consistente infatti nel non saldare entro il termine lungo – o almeno non contenere oltre la soglia penalmente rilevante – quanto indicato nella dichiarazione IVA entro la scadenza dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo, ai sensi dell’art. 10 ter del D.Lgs. n. 74/00.

Passando all’esame del caso al vaglio della Suprema Corte, il contribuente non ha dimostrato che l’improvvisa crisi economica non era a lui imputabile e che la stessa non poteva essere adeguatamente fronteggiata attraverso il reperimento di altre risorse destinate ad onorare le obbligazioni tributarie. Considerato infatti che il debito IVA è relativo a operazioni attive, il debitore doveva organizzare diversamente le proprie risorse in modo da adempiere all’obbligazione tributaria. Per tale ragione, la crisi di liquidità non è invocabile laddove non si dimostri che il mancato accantonamento di quanto dovuto non dipende dalla scelta di non far debitamente fronte alle esigenze dell’Erario. Diversamente, la scelta di destinare le risorse liquide dell’impresa al pagamento di altri debiti (comprese le retribuzioni dei dipendenti) non esclude affatto, anzi conferma, la volontarietà del mancato pagamento che sussiste a prescindere dal fatto che l’inadempimento esprima o meno l’intenzione di evadere l’imposta.

Le difficoltà economiche escludono anche la “causa di forza maggiore” invocabile laddove ci si trovi davanti ad un fatto imponderabile e imprevedibile non ricollegabile ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente. Il margine di scelta esclude quindi la forza maggiore, soprattutto quando è il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità. Se si considera inoltre che nei reati omissivi la causa di forza maggiore è integrata non tanto dalla semplice difficoltà di porre in essere il comportamento, quanto dalla sua assoluta impossibilità, nel caso di specie non è invocabile alcuna causa di forza maggiore in quanto l’inadempimento è causato da un illegittimo mancato pagamento di Iva.

Risultano infine particolarmente interessanti le conclusioni della sentenza laddove i giudici, per affermare che la tesi difensiva del contribuente non costituisce prova rigorosa dell’assoluta impossibilità di adempiere all’obbligazione tributaria, si spingono a elencare quelli che, a loro avviso, dovevano essere gli indicatori sostanziali della “crisi di liquidità”. In particolare, vengono presi in considerazione i seguenti elementi:

  • le cause di insolvenza dei clienti nei confronti dei quali si era emesso fattura;
  • l’ammontare esatto dell’IVA non incassata;
  • le fatture insolute;
  • l’incidenza dell’insoluto sul debito annuale verso l’Erario;
  • le iniziative giudiziarie o stragiudiziarie tempestivamente ma inutilmente intraprese per riscuotere l’insoluto.

In conclusione, l’utilizzo di queste argomentazioni potrebbe essere una utile traccia per tentare di sostenere la prova dell’assoluta impossibilità ad adempiere al pagamento dell’Iva.

 

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