Ancora sulle modifiche del decreto sulla giustizia civile
di Claudio CeradiniIl Decreto sulla Giustizia Civile, come abbiamo già iniziato a raccontare lo scorso martedì, affronta numerosi temi, tra cui alcune modifiche non secondarie alla legge fallimentare, intervenendo su concordato preventivo, fallimento ed accordi di ristrutturazione del debito. Del concordato si è già accennato, e resta una breve riflessione sull’art. 8 del decreto, che modifica l’art. 169bis L.F., e cioè la norma introdotta tre anni fa dall’art. 33, co. 1, lett. d) del D.L. 83/2012 (convertito con L. 134/2012). Il problema all’epoca era la disciplina nel concordato preventivo dei contratti stipulati dal debitore, totalmente assente, a differenza del fallimento in cui la normazione era già da tempo ampia e consolidata agli artt. da 72 a 83bis L.F.. Dalla rubrica dell’articolo 169bis, “Contratti in corso di esecuzione” alla sostanza della norma, fiumi di inchiostro sono stati scritti, per tentare una catalogazione delle circostanze in cui la nuova disciplina interveniva, e con quali modalità. L’art. 8 del decreto introduce una modifica probabilmente temporanea, suscettibile di ampia ed ulteriore revisione al termine dei lavori della Commissione Rordorf. Tuttavia qualche spunto è interessante. Si modifica la rubrica, che diviene “Contratti pendenti”, probabilmente con lo scopo di evitare la querelle dottrinale sull’applicazione della norma ai contratti completamente eseguiti da una delle parti, e quindi non più, per alcuni, in corso di esecuzione. Alla modifica della rubrica non fa peraltro seguito quella, conseguente, del primo comma, dove l’espressione “in corso di esecuzione” invece rimane, e con essa il nostro dubbio sul senso della modifica. Si prevede l’audizione del contraente in bonis, e l’assunzione di informazioni, circostanze ampiamente percorse nella prassi, per dire il vero, e oggi semplicemente codificate, e si precisa la data di effetto di scioglimento e sospensione, che decorre dalla comunicazione del provvedimento autorizzativo all’altro contraente. Al secondo comma si precisa, e per i tempi che corrono per le prededuzioni forse ce n’era bisogno, che appunto prededotti devono essere considerati i crediti conseguenti a prestazioni legalmente eseguite ed in conformità agli accordi (e solo in assenza agli usi negoziali) sino al momento dello scioglimento o della sospensione. Che valga anche per i professionisti che assistono in debitore? Ancora, e nonostante tutto, curatori e giudici continueranno a considerarli un danno da minimizzare e declassare, e non un credito, nel successivo ed eventuale fallimento? Infine viene aggiunto un ultimo comma, che riguarda unicamente i contratti di locazione finanziaria e che disciplina due circostanze ugualmente importanti. La prima evita interpretazioni stravaganti. L’obbligo di restituzione del bene interviene allo scioglimento del contratto, e non con la sospensione come qualcuno sosteneva, complicando probabilmente in molti casi (pensiamo agli immobili) una situazione già di per sé non troppo semplice. La seconda introduce un meccanismo simile a quello in essere per il fallimento, e disciplinato all’art. 72quater L.F.. La società di leasing dovrà versare alla procedura la differenza tra quanto ricavato dalla vendita, o da altra collocazione del bene a valori di mercato, ed il debito residuo, se inferiore, o al contrario farà valere il suo credito in chirografo.
Veniamo al fallimento su cui incidono gli artt. 5, 6, 7 ed 11 del decreto. Due sono gli ambiti di intervento, uno perlomeno doveroso dopo la raccomandazione della Commissione Europea a limitare a tre anni la durata delle procedure fallimentari, e l’altro altrettanto necessario dopo aver assistito, ed è sicuramente capitato a tutti, a comportamenti poco virtuosi.
L’art. 5 del decreto, modificando l’art. 28 L.F. incrementa da due a cinque anni il periodo di sorveglianza previsto all’ultimo comma, e soprattutto prevede che non possa essere nominato chi ha precedentemente svolto la funzione di commissario giudiziale nella procedura di concordato preventivo per lo stesso debitore. Sacrosanto lo spirito, troppo spesso la tentazione del doppio incarico ha fatto breccia nell’etica professionale. Avremmo però tutti gradito, credo, che la nomina fosse possibile (il Commissario ha già un quadro esauriente della situazione, il nuovo curatore deve costruirselo, con buona pace dell’efficienza) ma il compenso ridotto, considerevolmente.
Il medesimo articolo aggiunge poi un ulteriore comma all’art. 28, prevedendo che il curatore debba essere in possesso di una adeguata struttura organizzativa in termini anche di risorse, compatibile con quanto richiesto dal programma di liquidazione di cui al successivo art. 104ter L.F., che l’art. 6 del decreto modifica in alcuni punti essenziali. Si impongono termini precisi per la predisposizione del programma (180 giorni dalla sentenza), prima del tutto assenti, ipotizzandosi anche la revoca del curatore in caso di inottemperanza senza giustificato motivo. Si prevede poi esplicitamente che il curatore debba prevedere un termine (art. 104ter, co. 2, nuova lett. f) entro il quale esaurire la liquidazione, mai superiore a due anni dal deposito della sentenza, a meno che non vi siano motivi del tutto particolari, e nell’interesse dei creditori. Le cessioni potranno essere eseguite anche prevedendosi un incasso rateale (art. 107, nuovo co. 1, L.F.), ed il fallimento potrà essere chiuso anche in pendenza di giudizi, per i quali il curatore manterrà la legittimazione processuale ed un fondo per le spese, provvedendo eventualmente ad un ulteriore riparto alla conclusione del contenzioso.
Sono tutte modifiche apprezzabili, che vanno nel senso della indipendenza, della efficienza e della rapidità. La lentezza delle procedure fallimentari arreca ai creditori ulteriore danno rispetto alla falcidia, che si trasforma in beffa quando, ad esempio, comprendono che nemmeno il diritto di recupero dell’IVA cui all’art. 26 D.P.R. 633/1972 potrà essere esercitato se non alla conclusione della procedura (C.M. 77/E del 17/04/2000).
I fallimenti, lo sappiamo, non durano lustri per loro natura, c’è molto del nostro. Adesso dovremo correre di più, per legge.