3 Giugno 2015

Gli studi di settore sono “produttivi”?

di Giovanni Valcarenghi
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Ogni cosa, anche nel fisco, dovrebbe avere un senso logico compiuto; ciò significa che, prima di ogni altra caratteristica, ogni concetto dovrebbe essere razionale, facilmente comprensibile ed applicabile da tutti i contribuenti.

La riflessione di cui sopra è sollecitata dalla lettura della nota metodologica che accompagna i correttivi anticrisi applicabili, per gli studi di settore, sul periodo di imposta 2014.

Già si vacilla al solo pensiero di rendere applicabile lo studio di settore ad una annualità che, lo stesso legislatore, riconosce come interessata (profondamente) dalla crisi; infatti, lo studio di settore, per sua natura, è costruito ipotizzando che il contribuente si trovi ad operare in condizioni di normalità economica, vale a dire secondo parametri standard e senza particolari influenze negative, di natura personale, ambientale o economica.

Ciò vorrebbe dire che gli studi non dovrebbero applicarsi in periodi di crisi, ma ciò determinerebbe ripercussioni a catena certamente non volute da coloro che hanno a cuore la tutela del gettito ad ogni costo, anche se si dovesse calpestare il principio della tassazione sul solo reddito prodotto.

Comunque sia, sorvoliamo su tale aspetto e proviamo verificare insieme se la nota metodologica risponde almeno ai principi base evocati.

Si apprende che, nell’ambito delle analisi predisposte per la revisione congiunturale speciale degli studi di settore per il periodo d’imposta 2014, è stato predisposto un apposito studio sull’analisi dell’efficienza produttiva per 193 studi di settore, con l’esclusione dei 12 studi di settore relativi alle attività professionali che applicano funzioni di compenso basate sul numero degli incarichi.

Si è allora riscontrato che, per l’anno 2014, le attività economiche sono state caratterizzate da una riduzione dell’efficienza produttiva, rispetto al triennio precedente, a seguito della riduzione dei ricavi/compensi e del minor grado di utilizzo dei fattori produttivi impiegati (il lavoro e il capitale), collegati alla situazione di crisi economica. Sin qui nulla di anomalo né di sconvolgente.

L’analisi dell’efficienza produttiva è stata effettuata analizzando le informazioni contenute nella banca dati degli studi di settore in relazione ai periodi d’imposta 2010-2013 su un panel “non bilanciato” e utilizzando una “frontiera di produzione” che mette in relazione:

  • il valore della produzione;
  • con gli input produttivi impiegati, cioè il valore dei beni strumentali ed il numero di addetti.

Solo per comprendere cosa si debba intendere per valore della produzione, si propongono svariate formule di cui ci disinteressiamo in questa sede.

Più interessante, invece, è proseguire nell’analisi per sperare di trovare un conforto per comprendere come funzionerà il meccanismo di calcolo che potrà limitare l’applicazione del correttivo in funzione della capacità di sfruttamento dei fattori produttivi.

Ma le speranze vengono subito stroncate quando si legge che, per individuare la frontiera di produzione è stata utilizzata la metodologia della regressione quantilica (al 9° decile), con la seguente strutturazione:

 

ln (Y)= α+ β1ln (VBS+1) + β2ln (ADD) + µ

Ln

Logaritmo naturale

Y

Valore della produzione

VBS

Valore dei beni strumentali

ADD

Numero di Addetti

µ

Termine di disturbo casuale della regressione

Ma quali sono il significato e lo scopo di questo indice di andamento della efficienza produttiva?

Molto semplice; ai fini dell’applicazione dei correttivi, la misura del ciclo individuale impiegata per l’applicazione degli interventi previsti per la normalità economica e del correttivo congiunturale individuale è rappresentata dall’andamento dell’efficienza produttiva, calcolato con riferimento al periodo d’imposta 2014, rispetto a quella storica di riferimento, individuata come il maggior valore di efficienza produttiva del triennio precedente (periodi d’imposta 2011-2013).

L’efficienza produttiva è indicativa della capacità del soggetto economico di combinare gli input produttivi impiegati in maniera efficiente, nel senso di ottenere un valore della produzione il più vicino possibile a quello potenziale di efficienza.

Sin qui la fatica è stata compiuta per verificare l’efficienza produttiva, ma a Gerico interessa la variazione della medesima, quindi appare necessario un ulteriore sforzo.

Per il singolo soggetto, la Variazione dell’efficienza produttiva è calcolata come rappresentato in tabella.

 

VAR_EFF = EFF2014 – MAX(EFF2013; EFF2012; EFF2011)

livello di efficienza produttiva (EFF Anno_I)

EFF Anno_I = MIN (100, Valore della produzione * 100 / Valore di efficienza)

Valore di efficienza

exp [α + β1ln (VBS+l) + β2In(ADD)]

 

exp

esponenziale naturale

Chiudiamo qui per non uscire di senno, ben sapendo che poi tutti questi conteggi saranno effettuati da Gerico. Rimane però l’amaro in bocca di doversi confrontare con un sistema che misura il contribuente con strumenti eccessivamente complicati e fuori dalla portata comune.

Ciò dovrebbe far riflettere sulla inadeguatezza degli studi nella attuale situazione; Gerico ha già dato quanto poteva ed è giunto il momento di un pensionamento. Se, per caso, la Legge Fornero avesse decretato un allungamento della vita lavorativa dello strumento, saremmo in tanti (credo) a volerci bonariamente accollare l’onere di un versamento dei contributi mancanti!