Abitazione privata: accesso solo in presenza di gravi indizi
di Marco BargagliIl combinato disposto dell’articolo 52 D.P.R. 633/1972 (ai fini I.V.A.) e dell’articolo 33 D.P.R. 600/1973 (ai fini delle imposte sui redditi) formula le disposizioni sostanziali di riferimento in tema di accessi, ispezioni e verifiche in azienda, nonché i correlati poteri riservati all’Amministrazione finanziaria nel corso di una verifica fiscale.
Le ulteriori garanzie spettanti al contribuente nell’ambito di un’attività ispettiva sono sancite dalla L. 212/2000, che reca la disciplina in materia di Statuto dei diritti del contribuente e con la quale il legislatore ha introdotto precise regole da osservare nel corso dei controlli fiscali.
Anzitutto, per effettuare l’accesso all’interno dei locali adibiti all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali occorre esibire il foglio di servizio sottoscritto dal Comandante del singolo Reparto operante (Guardia di Finanza), ossia l’ordine di verifica o di accesso siglato dal responsabile dell’Ufficio (nel caso di accesso effettuato dall’Agenzia delle entrate).
Inoltre, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di attività professionali rende necessaria, oltre l’esibizione del correlato provvedimento come sopra illustrato, anche la presenza del titolare dello studio o di altra persona di fiducia eventualmente delegata da parte del professionista verificato.
In tema di accessi, ispezioni e verifiche presso la sede del contribuente ispezionato, sono state fornite indicazioni operative dal Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza (cfr. volume II – parte III – capitolo 2 “Poteri esercitabili”, pag. 13 e ss.).
Il citato documento di prassi prende in considerazione due ipotesi particolari:
- l’accesso nei locali adibiti esclusivamente ad abitazione privata e relative pertinenze;
- l’accesso nei locali c.d. promiscui (ossia quelli adibiti, oltre che all’esercizio di attività economiche, agricole e professionali, anche ad abitazione privata).
Nella prima circostanza, l’accesso in locali adibiti esclusivamente ad abitazione privata può avvenire solo in presenza della preventiva autorizzazione del Procuratore della Repubblica, nelle ipotesi di gravi indizi di violazioni delle norme tributarie, con il preciso obiettivo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altri documenti comprovanti le violazioni.
Sul punto, occorre ricordare che il provvedimento emesso da parte del magistrato che autorizza l’accesso all’interno dell’abitazione privata ha natura di atto amministrativo discrezionale, che deve essere adeguatamente motivato (con indicazione degli asseriti “gravi indizi di violazione delle norme tributarie”).
Di contro per accedere all’interno dei locali adibiti, oltre che all’esercizio di attività economiche, agricole e professionali, anche ad abitazione, occorre preventivamente ottenere l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica territorialmente competente e, successivamente, esibire l’ordine di accesso.
Come opportunamente segnalato dalla Guardia di Finanza nel citato Manuale operativo “il provvedimento dell’Autorità Giudiziaria che autorizza l’accesso nei locali ad uso promiscuo assolve ad una funzione formale di controllo della sussistenza dei presupposti di legittimità richiesti dalla legge stessa, per cui, nella richiesta di accesso, non è necessaria altra motivazione oltre a quella che dà atto della coincidenza fra domicilio privato e luogo di svolgimento dell’attività”.
I luoghi c.d. “promiscui” sono quelli ove il soggetto economico ha stabilito il centro effettivo della propria vita domestica, mantenendo tuttavia a sua disposizione alcuni locali o spazi dell’immobile adibiti anche all’esercizio dell’attività.
In merito, il citato documento di prassi, richiamando l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, precisa che l’uso promiscuo dei locali si verifica non solo nell’ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma ogni volta che l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale o professionale nei locali abitativi e, “quindi, sia possibile averli sottomano per ogni evenienza e, nel contempo, però, detenerli in stanze abitualmente destinate al sonno o ai pasti” (cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 6232 del 27.03.2015).
Tali concetti sono stati illustrati anche dalla suprema Corte di cassazione, sezione 6° civile, con la recente ordinanza n. 7723 del 28.03.2018.
Gli ermellini si sono espressi circa il corretto operato dei verificatori che avevano effettuato un accesso ai fini fiscali presso un ristorante-pizzeria ubicato in un immobile ove, al piano terra era situato il locale adibito all’esercizio dell’attività commerciale, mentre, al primo piano dello stesso immobile, si trovava l’abitazione-residenza del titolare dello stesso ristorante.
In merito, era stato rilevato un collegamento interno tra i due locali, che consentiva l’accesso da un piano all’altro.
Sul punto, i giudici di piazza Cavour hanno confermato la legittimità dell’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio, accogliendo la tesi dell’Agenzia delle entrate.
Infatti, richiamando la normativa sostanziale di riferimento e, in particolare, l’articolo 52 D.P.R. 633/1972, l’accesso degli impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali adibiti anche ad abitazione del contribuente ovvero esclusivamente ad abitazione, è subordinato “alla presenza di gravi indizi di violazioni soltanto in quest’ultima ipotesi e non anche quando si tratti di locali ad uso promiscuo”.
Nello specifico, la definizione di locali ad uso promiscuo ricorre non soltanto nell’ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi.
Conformemente, il giudice tributario di appello si è espresso in ordine all’autonomia delle due parti dell’edificio presso il quale è stato operato l’accesso, essendo il piano terra adibito ad attività di pubblico esercizio, mentre il piano primo utilizzato come residenza familiare del contribuente.
Tuttavia, a parere della suprema Corte di cassazione, il giudice di merito “ha eluso la questione della promiscuità dei due distinti locali ed in particolare non ha in alcun modo valutato l’allegazione agenziale che ricorresse tale circostanza per il fatto che esisteva un collegamento interno che consentiva l’accesso/recesso dal piano terra al piano primo”.
Per l’accesso effettuato nei locali c.d. promiscui (nel caso di specie ristorante/pizzeria-abitazione collegati tra di loro da un passaggio funzionale), non è necessario, infatti, dimostrare la sussistenza dei gravi indizi di violazione, ma basta unicamente ottenere l’autorizzazione della competente Procura della Repubblica.
Di contro, per effettuare l’accesso nei locali adibiti unicamente ad abitazione privata, l’Autorità giudiziaria dovrà seguire una rigorosa procedura e motivare adeguatamente il provvedimento di autorizzazione all’accesso presso il domicilio privato del contribuente.