Abuso del diritto di voto e minaccia di voto contrario all’approvazione del bilancio
di Fabio Landuzzi
La Corte di Cassazione con sentenza n. 9680 del 22 aprile 2013 ha affrontato un caso di presunto abuso del diritto di voto da parte di un socio il quale, secondo gli attori della causa, avrebbe indotto gli altri soci ad acquistare la propria partecipazione forzandoli ad eseguire tale operazione sotto la presunta minaccia che egli avrebbe altrimenti votato contro l’approvazione del bilancio d’esercizio.
Era quindi sorta una lite in quanto i soci acquirenti avevano in seguito eccepito l’annullamento del contratto di cessione delle partecipazioni sociali in quanto la loro volontà sarebbe stata estorta sotto la pressione illegittima del perseguimento, da parte dell’ex socio venditore, di un interesse extrasociale ossia del proprio personale interesse a dismettere la partecipazione. Il caso in questione affronta quindi il complesso tema del diritto del socio a votare contro l’approvazione del bilancio d’esercizio anche in funzione del proprio interesse a conservare oppure a dismettere la partecipazione sociale.
La Cassazione, richiamando l’istituto dell’abuso del diritto di voto, rammenta che questa fattispecie ricorre quando il socio persegue un interesse personale e antitetico rispetto all’interesse sociale, ovvero un cd. interesse extrasociale tale da poter causare un danno alla società; in tali situazioni, infatti, si realizzerebbe una violazione del principio di correttezza e di buona fede nell’esecuzione del contratto sociale. Già in passato (vedi Cassazione n. 11151 del 26 ottobre 1995) la Suprema Corte aveva affermato che la disposizione dell’art. 1375, Cod.civ., in materia di buona fede nell’esecuzione contrattuale, si deve ritenere applicabile a tutti i rapporti giuridici inclusi quelli societari, con la conseguenza che è illegittima la decisione assembleare quando essa risulti preordinata in concreto ad avvantaggiare in modo ingiustificato alcuni soci rispetto ad altri. E’ invece legittimo l’esercizio del diritto di voto quando questo sia comunque conforme all’interesse sociale, e l’eventuale danno subito da altri soci non sia il risultato di un intento fraudolento (ad esempio, dei soci di maggioranza) bensì solo una conseguenza indiretta della decisione, senza che si determini un danno per la società causato da mire egoistiche di alcuni soci o gruppi di essi (Tribunale di Firenze 23 ottobre 1996).
Nel caso tratto nella sentenza in commento, la Cassazione riconosce che la minaccia di far valere un diritto (il voto contrario all’approvazione del bilancio della società) assume i connotati della violenza morale tale da invalidare il contratto di vendita solo se è diretta a far conseguire un vantaggio ingiusto al socio; perché ciò si realizzi, occorre però che il fine perseguito dal socio consista nella realizzazione di un risultato “abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto medesimo” e che lo stesso sia anche “esorbitante ed iniquo”. Pertanto, la volontà di addivenire alla cessione della propria partecipazione può rappresentare un obiettivo iniquo ed esorbitante rispetto al voto in assemblea riguardo all’approvazione del bilancio?
La Suprema Corte risponde in modo negativo a questo interrogativo, in ragione del fatto che viene ritenuto legittimo far dipendere il voto favorevole o contrario all’approvazione del bilancio rispetto alla permanenza o meno della partecipazione, un aspetto questo che la Cassazione giudica né estraneo e né esorbitante rispetto all’esercizio del diritto di voto.
In altri termini, si riconosce che non possono essere ritenuti ingiusti i vantaggi perseguiti dal venditore, per il solo fatto che essi non sono direttamente funzionali all’interesse sociale.