Accertamento induttivo per le società a ristretta base familiare
di Marco BargagliAi fini delle imposte sui redditi, ai sensi dell’articolo 39, primo comma, lett. d) del D.P.R. 600/1973, nell’ambito del c.d. accertamento analitico – induttivo, l’ufficio procede alla rettifica del reddito d’impresa delle persone fisiche se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili o da altre verifiche ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa, nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio.
In buona sostanza, partendo dalle risultanze desumibili dalle scritture contabili, l’Amministrazione finanziaria, sulla base di “presunzioni semplici”, connotate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, può constatare l’esistenza di attività non dichiarate (ipotesi di ricavi in nero) ossia l’inesistenza di passività dichiarate (ipotesi di costi non deducibili), ricostruendo induttivamente il reddito.
Come chiarito dalla circolare del 23 maggio 1978 n. 29 – Min. Finanze – Tasse e Imposte Indirette sugli Affari, “il fondamento delle presunzioni semplici non deve essere il risultato di un’induzione arbitraria di sospetto o di semplici indizi concorrenti, bensì la valutazione complessiva e globale di tutti gli elementi certi che, dando origine alla presunzione stessa, permettono di risalire dal fatto noto al fatto ignoto”.
A questo punto occorre delineare esattamente le caratteristiche delle differenti forme di accertamento presuntivo operate da parte dell’Amministrazione finanziaria.
In particolare:
- con l’accertamento analitico – induttivo, l’ufficio agisce sulla base di “presunzioni semplici” (gravi, precise e concordanti), ma è tenuto a completare il quadro indiziario con ulteriori dati e notizie comprovanti l’evasione fiscale;
- con l’accertamento induttivo “puro”, l’ufficio può anche operare sulla base di sole “presunzioni semplicissime” non necessariamente connotate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, tenuto conto della totale inattendibilità della contabilità (es. nei casi di un evasore totale).
L’accertamento induttivo “puro” è disciplinato dall’articolo dell’articolo 39, secondo comma, lett. d) del D.P.R. 600/1973, in base al quale l’ufficio delle imposte determina il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili e di avvalersi anche di presunzioni semplicissime prive dei citati requisiti che caratterizzano le presunzioni semplici.
Tale ultima forma di accertamento può essere utilizzata quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate, ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione, sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture contabili.
In merito, si segnala che l’accertamento di tipo induttivo può riguardare anche la presunzione di distribuzione di utili a carico delle società a ristretta base azionaria.
Sul punto la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24531 del 24 settembre 2007, ha confermato che l’Amministrazione finanziaria può presumere che i soci di un’impresa a ristretta base familiare abbiano percepito “utili occulti” poi utilizzati per operare un notevole aumento di capitale a favore della persona giuridica.
Nel caso esaminato, infatti, la presunzione di distribuzione di utili avveniva sulla base di una “presunzione semplice” (connotata dai noti requisiti di gravità precisione e concordanza), tenuto conto che i soci non disponevano autonomamente di propri redditi che – potenzialmente – potevano essere conferiti nella società.
In particolare, gli ermellini hanno rilevato che: “i fatti rilevati dall’Ufficio e posti a fondamento dell’accertamento, ovvero il considerevole aumento di capitale della società costituita a base familiare da soci, che risultano fiscalmente nullatenenti, ha generato nell’Ufficio la presunzione che, in effetti, l’aumento di capitale nascondesse l’occultamento fiscale di redditi societari poi tradotti in aumento di capitale”.
Quanto sopra, continua la Corte, costituisce presunzione – sia pure semplice – che imponeva ai contribuenti di dare conto, in qualche modo, della provenienza del denaro oggetto dell’aumento di capitale.