Accertamento induttivo: quando il fatto deve intendersi “notorio”
di Luigi FerrajoliLa Corte di Cassazione, con sentenza n. 24599/2014, ha statuito che nel caso in cui il Giudice si trovi a valutare l’operato dell’A.d.E. in relazione ad un accertamento condotto secondo una modalità induttiva, possa sfruttare ai fini decisionali il richiamo al “fatto notorio” (ovverosia alle “nozioni di comune esperienza”) solo ove questo risulti effettivamente tale, cioè nel caso in cui la sua conoscenza sia a tal punto diffusa ed incontestata da non potersene legittimamente dubitare.
La questione nasceva da un accertamento (condotto dalla G.d.F. nei confronti di una società impegnata nella lavorazione dei metalli preziosi) che vedeva il raffronto di documentazione contabile ed extracontabile, a seguito del quale l’A.d.E. individuava maggiori ricavi asseritamente non contabilizzati.
La C.T.P. di Arezzo con sentenza n. 65/01/07 accoglieva parzialmente il ricorso provvedendo a rideterminare, incrementandoli, i costi di produzione relativi ai maggiori ricavi in questione.
Nel prosieguo la C.T.R. Firenze, con sentenza n. 96713/08 del 16.12.2008, respingeva l’appello proposto dall’A.d.E..
Anche tale C.T.R. propendeva infatti per il riconoscimento dei costi presuntivamente sostenuti a fronte dell’accertamento dei maggiori ricavi (asseritamente non contabilizzati).
A detta della stessa, la C.T.P. di Arezzo aveva operato correttamente nel valutare ai fini della risoluzione della controversia oggetto di attenzione una serie di consulenze tecniche disposte in relazioni a differenti procedimenti, analoghi per materia a quello di cui si ragiona.
La C.T.R. Firenze affermava inoltre di concordare con le percentuali di incidenza dei costi di produzione emergenti da tali perizie, che sarebbero state ad essa note per avere la medesima C.T.R. affrontato in precedenza analoghe vicende processuali.
L’A.d.E. adiva dunque alla Suprema Corte denunciando, con il secondo motivo del ricorso, la violazione e falsa applicazione dell’art. 115, comma 2, c.p.c., poiché, a suo dire, la C.T.R. Firenze avrebbe errato nel non accogliere l’appello innanzi ad essa proposto a causa della pregressa conoscenza di dette percentuali di incidenza dei costi di produzione e dell’adesione a quelle emergenti dalle richiamate consulenze.
Tale conoscenza sarebbe difatti risultata ascrivibile alla “privata conoscenza” del Giudice (derivante da un’acquisizione di dati prettamente tecnici avvenuta in sede processuale e non configurabile come appartenente alla conoscenza della collettività) anziché “notoria”, come invece avrebbe dovuto essere ai sensi di Legge.
La Corte di Cassazione, nel riconoscere la fondatezza di tale motivo e nell’accogliere di conseguenza il ricorso, si richiama alle proprie pregresse pronunce, affermando che il ricorso alle nozioni di “comune esperienza” (che è concetto che tende a coincidere con quello di “fatto notorio”) integra una vera e propria deroga a quelli che sono i principi-cardine del processo civile, ovverosia quello del contraddittorio e quello dispositivo.
Il fatto stesso che vengano introdotti in sede processuale elementi probatori (i quali non risultano forniti dalle parti interessate né da queste vagliati in relazione ai fatti cui si riferiscono) comporta necessariamente il rispetto di un particolare rigore nella valutazione dell’effettiva conoscenza da parte della collettività di tali elementi.
Occorre infatti che il grado di certezza che li contraddistingue raggiunga una soglia tale da porli al riparo da qualsivoglia contestazione e dalla potenziale emersione dubbi in merito alla loro veridicità.
Un’acquisizione di elementi probatori aventi natura prettamente tecnica, al contrario, non soddisfa, a detta della Cassazione, tali necessità, così come del resto non provvedono in tal senso gli elementi valutativi che presuppongono specifiche conoscenze, i particolari accertamenti preventivi di dati o le conoscenze ricollegabili alla privata scienza del Giudicante.
Ciò che non è universale, fa notare la Corte di Cassazione, non può ritenersi notorio nemmeno nel caso in cui la relativa conoscenza derivi al Giudice dall’avere in precedenza affrontato vicende analoghe.
Il fatto che la C.T.R. Firenze abbia propeso per fondare la propria valutazione su consulenze disposte dalla C.T.P. di Arezzo in relazione a procedimenti differenti, nonché su una propria conoscenza formatasi in relazione ad altre controversie (per quanto analoghe), deve dunque essere censurato.
La particolare natura dell’attività imprenditoriale esercitata dalla società controricorrente (acquisto e lavorazione dei metalli preziosi) implica infatti un giudizio intrinsecamente tecnico sulla vicenda.
Ai fini della valutazione in sede processuale degli elementi probatori acquisiti occorre una specifica conoscenza che, non essendo contraddistinta dalla caratteristica dell’universalità, non può essere qualificata come “comune”.
Parimenti accade per la privata conoscenza che il Giudicante abbia di profili attinenti alla controversia esaminata, che non possono essere utilizzati ai fini decisori nel rispetto del dettato dell’art. 115 c.p.c..
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