Accertamento ricavi per mancato riscontro con i pos
di Davide David
L’introduzione dell’obbligo di accettare i pagamenti effettuati con pos (carta di credito, bancomat, ecc.) offre lo spunto per un breve esame di come i verificatori fiscali sono soliti utilizzare le risultanze dei pos per contestare ricavi non dichiarati e di quali possono essere le linee di difesa in un eventuale contenzioso.
Di norma la verifica consegue ad una indagine bancaria, a seguito della quale i verificatori sono soliti procedere con i seguenti metodi:
- una primo metodo consiste nel verificare l’eventuale differenza negativa tra il totale degli incassi giornalieri tramite pos e il totale degli scontrini, ricevute e fatture emessi nelle singole giornate. Ad esempio, se in un giorno il totale degli incassi tramite pos è di euro 7.000 e il totale dei corrispettivi registrati è di euro 5.000, i verificatori contesteranno ricavi non dichiarati per euro 2.000. Trattasi tuttavia di una casistica poco frequente, perché di norma il totale degli incassi giornalieri tramite pos è inferiore al totale dei corrispettivi annotati;
- un secondo metodo consiste nel richiedere al soggetto sottoposto a verifica di presentare gli scontrini, le ricevute e le fatture il cui totale corrisponde esattamente con il totale degli incassi giornalieri tramite pos, per poi assumere quali ricavi non dichiarati la differenza risultante da tale riscontro. Ad esempio, se il totale dei corrispettivi giornalieri è di euro 10.000 e il totale degli incassi del giorno tramite pos è di euro 7.000, al soggetto verificato è richiesto di presentare scontrini, ricevute e fatture il cui totale sia esattamente di euro 7.000. Semplificando, se per quel giorno il soggetto verificato ha emesso solo due ricevute, di cui una per euro 4.000 e una per euro 6.000, i verificatori riprenderanno quali maggiori ricavi tutti i 7.000 euro che non hanno trovato esatto riscontro. In questo caso la contestazione viene quindi mossa anche se il totale degli incassi tramite pos di quella giornata è inferiore al totale dei corrispettivi certificati da scontrino, ricevuta o fattura;
- un terzo metodo consiste nel richiedere alla banca il dettaglio di tutti gli incassi giornalieri tramite pos per poi confrontare i singoli incassi con i singoli documenti (ricevute, scontrini e fatture), assumendo quali ricavi non dichiarati i singoli pos rimasti senza riscontro. Ad esempio, se a fronte di un singolo incasso tramite pos di 100 euro non viene rinvenuto uno scontrino, una ricevuta o una fattura di pari importo, i verificatori contesteranno un ricavo non dichiarato di 100 euro. Anche in questo caso la contestazione viene mossa anche quando il totale degli incassi tramite pos di quella giornata è inferiore al totale dei corrispettivi certificati da scontrino, ricevuta o fattura.
A fronte di un accertamento di questo tipo un primo elemento di difesa può essere quello di eccepire un eventuale difetto di motivazione dell’atto.
Di norma, infatti, l’Agenzia delle entrate è solita motivare l’avviso di accertamento da “pos” richiamando le disposizioni sulle indagini finanziarie (di cui all’art. 32 del D.P.R. 600/1973), mentre è invece sostenibile che un accertamento da “pos” rientri tra quelli analitico-induttivi, da effettuarsi e motivare secondo lo schema riconducibile all’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. 600/1973.
Ciò in quanto le indagini finanziarie rappresentano una specifica metodologia di accertamento dei maggiori ricavi basata sul considerare, in via presuntiva, quali ricavi non dichiarati i versamenti rilevati nel corso delle indagini sui conti correnti riferibili al contribuente.
Nel caso dei pos, invece, i maggiori ricavi accertati non vengono determinati ponendo a confronto i versamenti effettuati sui conti correnti e i ricavi dichiarati, bensì ipotizzando, in via meramente presuntiva e senza il conforto di ulteriori elementi probatori, che alcuni dei pagamenti effettuati tramite pos costituiscano ricavi non dichiarati. Tutto ciò nella infondata ed errata supposizione che ad ogni pos debba necessariamente corrispondere un documento fiscale (fattura, ricevuta o scontrino) di pari importo.
Per la logica delle cose, nell’ambito di un accertamento basato su indagini finanziarie i pos vanno invece considerati alla stregua dei versamenti in contanti e vanno quindi confrontati con i ricavi dichiarati “per masse” e non per singola operazione (vedasi, in tal senso, la sentenza della CTP di Macerata n. 124 del 2.10.2001 e la sentenza della CTP di Genova n. 152 del 22.04.2013).
Una volta ricondotto l’accertamento da “pos” tra quelli analitico-induttivi può poi essere eccepito che comunque tale tipologia di accertamenti deve essere fondata su presunzioni “qualificate” che, ancorché semplici, siano tra loro “gravi, precise e concordanti”.
Da ciò consegue che, nel caso dei pos, l’Ufficio non può limitarsi a motivare l’accertamento con la sola dimostrazione del fatto noto (l’accredito dei pos) ma deve anche dimostrare che il fatto da provare (i presunti ricavi non dichiarati) risulta desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità.
Ebbene, nel caso dei pos sono molteplici le ipotesi nelle quali, del tutto ragionevolmente e secondo un criterio di normalità, ad un pagamento tramite pos non corrisponde l’emissione di un singolo documento fiscale di pari importo.
E’ infatti di esperienza comune, soprattutto nell’ambito della ristorazione e in quello della vendita di beni di consumo, che sono innumerevoli i casi nei quali, del tutto legittimamente, l’importo pagato non coincide con l’importo di un singolo scontrino, ricevuta fiscale o fattura.
A titolo esemplificativo, ma certamente non esaustivo di tutte le situazioni possibili, si possono citare: il caso del gruppo di dipendenti in trasferta in cui uno solo paga l’intero conto del ristorante con bancomat o carta di credito (per poi farsi rifondere dagli altri in contanti per la loro parte), richiedendo però che vengano emesse singole ricevute ai fini della documentazione delle spese di trasferta; il caso del gruppo di persone che pranzano assieme o che acquistano un regalo per un amico (con emissione di un unico documento fiscale) pagando chi con carta di credito (o bancomat) e chi in contanti; il caso di un unico acquisto (certificato da un unico documento fiscale) pagato in parte con carta di credito (o bancomat) e in parte in contanti per esaurimento del plafond di spesa.
Per quanto sopra è del tutto evidente che il solo mancato riscontro tra i singoli pagamenti effettuati tramite pos e i singoli documenti fiscali non può, da solo, ravvisare delle presunzioni gravi, precise e concordanti, presupposto necessario per legittimare un accertamento analitico-induttivo. Ciò in quanto, lo si ribadisce, è ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, che a fronte di un unico documento fiscale (ad esempio, di 2.000 euro) il pagamento venga effettuato con diversi mezzi di pagamento (ad esempio 1.500 con bancomat e 500 in contanti, o 1.000 da un amico con la sua carta di credito e 1.000 dall’altro amico con il suo bancomat, e via così). Tale assunto ha già trovato conferma in diversi pronunciamenti giurisprudenziali (vedasi, oltre alle sentenze già prima citate, anche la sentenza della CTR di Pescara n. 188 del 27.03.2013).
Per evitare inutili e defaticanti contenziosi è comunque opportuno, per quanto possibile, organizzarsi per associare ad ogni pagamento con pos un documento fiscale di pari importo ovvero per annotare adeguatamente i motivi del mancato riscontro tra i corrispettivi certificati e gli incassi tramite pos.