Accertamento su conti correnti e onere della prova
di Luigi FerrajoliL’articolo 2697 cod. civ. prevede espressamente che “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.
Tale principio generale in tema di distribuzione dell’onere della prova trova attuazione anche nel processo tributario; e, pertanto, in applicazione di tale norma, l’Amministrazione finanziaria che vanti un credito nei confronti del contribuente è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa.
Sennonché in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate si fondi su verifiche di conti correnti bancari (cfr. articolo 32 D.P.R. 600/1973), l’onere probatorio dell’Amministrazione si ritiene soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai predetti conti. Dunque si verifica una inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.
Ciò significa che quest’ultimo dovrà dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non siano riferibili ad operazioni imponibili, fornendo prove analitiche e non generiche riguardo ogni singolo versamento.
Tale principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31117 del 03.12.2018.
Nel caso di specie, la contribuente proponeva ricorso avverso un avviso di accertamento per Ires, Iva e Irap relativo all’anno di imposta 2006, che veniva accolto dalla CTP competente; provvedimento favorevole confermato dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia.
Avverso la decisione del giudice di secondo grado l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso avanti la Suprema Corte enunciando tre motivi di diritto, tutti relativi alle risultanze della CTU esperita nei precedenti gradi di giudizio che aveva sostanzialmente confortato le tesi della società.
Innanzitutto, il giudice di legittimità ha ritenuto di poter valutare congiuntamente il secondo e il terzo motivo di ricorso, dichiarando contemporaneamente l’infondatezza della prima argomentazione prospettata dall’Ufficio.
Ciò posto, la Corte di Cassazione, richiamando propria precedente pronuncia n. 15857/2016, ha evidenziato che, per quanto concerne l’accertamento delle imposte sui redditi basato sulle verifiche di conti correnti bancari l’amministrazione può ben fondare il proprio onere probatorio sui dati e sugli elementi ricavati dai predetti conti, secondo quanto previsto dall’articolo 32 D.P.R. 600/1973.
In tale caso, nei confronti del contribuente si verifica una vera e propria inversione dell’onere della prova in quanto il medesimo sarà tenuto a dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono relativi a operazioni imponibili.
Questo attraverso una prova analitica (non generica) per ogni versamento sul conto corrente di riferimento.
Nel caso di specie, secondo le tesi dell’Agenzia la CTR si sarebbe limitata ad accogliere in modo acritico le risultanze di una CTU, conformemente a quanto già fatto dal Giudice di prime cure.
Inoltre, il Giudice di merito avrebbe errato nell’affidare ad una consulenza tecnica d’ufficio l’assolvimento dell’onere probatorio in materia fiscale, con particolare riferimento alle verifiche sui conti correnti bancari. Così facendo, infatti, sia la CTP sia la CTR avrebbero consentito che l’onere probatorio che incombe in capo a parte contribuente fosse adempiuto e quindi risolto dalla CTU.
In altre parole, in presenza di versamenti giustificati, non si sarebbe potuto fare ricorso ad alcuna consulenza tecnica ma sarebbe stato onere del contribuente procedere in via analitica alla giustificazione dei movimenti bancari sul proprio conto corrente.
Principio cardine nel processo tributario è costituito dal fatto che il Giudice può certamente disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova, ma ciò può avvenire non certo per sopperire ad eventuali lacune difensive del contribuente (cfr. Cass. n. 955/2016).
Secondo la Corte di Cassazione, dunque, “i giudici di merito – limitandosi a richiamare le conclusioni della CTU – hanno mancato di spiegare su quali elementi si fosse basato il consulente e senza specificare se la perizia avesse valutato soltanto i dati forniti dall’Ufficio oppure anche gli elementi eventualmente contrapposti dalla contribuente, il che avrebbe potuto rendere l’elaborato peritale davvero neutro rispetto ai principi in tema di onere della prova e dunque preservarne le risultanze dal vizio di violazione di legge, connesso allo stravolgimento del suddetto onere”.
Per tali ragioni la Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla CTR della Sicilia in diversa composizione.