Acceso a locale ad uso promiscuo senza i gravi indizi di violazioni fiscali
di Angelo GinexLa Corte di Cassazione, con ordinanza n. 7768, depositata ieri 10 marzo, è tornata a pronunciarsi in tema di accesso, da parte dei verificatori fiscali, presso un locale del contribuente che, al contempo, è utilizzato sia come sede legale, sia come abitazione privata.
La fattispecie in esame prende le mosse dalla notifica ad una associazione di un avviso di accertamento, con contestuale provvedimento di irrogazione delle sanzioni anche al legale rappresentante della stessa, poiché considerato l’autore delle violazioni contestate.
La Commissione tributaria regionale della Liguria, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dall’associazione e dal suo legale rappresentante, annullava l’atto impositivo ritenendo inutilizzabile il materiale probatorio su cui lo stesso era stato fondato, poiché acquisito a seguito di accesso dei verificatori presso l’abitazione del legale rappresentante in violazione dell’articolo 52 D.P.R. 633/1972. E ciò, così come precisato dai giudici liguri, «stante l’insussistenza e/o comunque l’assenza dell’indicazione dei gravi indizi di violazioni fiscali» nell’autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica.
Pertanto, tale statuizione veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate, la quale proponeva ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’articolo 52 D.P.R. 633/1972, in quanto la Commissione tributaria regionale della Liguria avrebbe errato nel ritenere necessaria l’indicazione, nell’autorizzazione all’accesso rilasciata dal Procuratore della Repubblica, dei gravi indizi di violazioni fiscali.
Come noto, l’articolo 52 D.P.R. 633/1972, per quanto concerne l’IVA, così come il corrispondente articolo 33 D.P.R. 600/1973, per le imposte dirette, gradua gli adempimenti procedurali in funzione del luogo in cui si ha l’acceso dei verificatori.
A ben vedere, la disposizione citata prevede testualmente che l’accesso nel luogo in cui il contribuente esercita la propria attività commerciale, agricola, artistica o professionale, nonché in quello utilizzato dall’ente non commerciale, deve essere previamente autorizzato dal capo dell’Ufficio da cui i verificatori dipendono.
Tuttavia, nel caso di locali utilizzati promiscuamente, ovvero sia per l’esercizio dell’attività commerciale o professionale, sia come abitazione privata, è necessaria un’ulteriore autorizzazione rilasciata dal P.M., che non deve contenere l’indicazione di gravi indizi di evasione ovvero di una motivazione specifica, in quanto si tratta di una sorta di atto dovuto, un mero adempimento procedurale che si limita a riscontrare la ricorrenza dei presupposti richiesti dalla norma ai fini dell’accesso domiciliare.
Infine, qualora si abbia un accesso domiciliare, quindi presso l’abitazione del contribuente, considerate le particolari caratteristiche del luogo di indagine, dove si svolge la vita personale e della famiglia, al fine di rispettare la riservatezza di tutti i soggetti coinvolti, occorre una preventiva autorizzazione del Procuratore della Repubblica, che dia conto della sussistenza di gravi indizi di violazioni delle norme tributarie.
Nella vicenda in esame, così come evidenziato dalla Corte di Cassazione, è risultato pacifico tra le parti che l’accesso sia avvenuto in un luogo utilizzato contemporaneamente sia come sede legale dell’associazione, sia come abitazione privata del legale rappresentante.
In considerazione di tale accertamento in fatto, quindi, i Giudici di vertice hanno affermato di dover ribadire il consolidato orientamento in materia secondo cui: «In tema di accertamento, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, prescritta dall’art. 52, primo e secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, ai fini dell’accesso degli impiegati dell’Amministrazione finanziaria (o della Guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli uffici finanziari ad essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente ovvero esclusivamente ad abitazione, è subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni soltanto in quest’ultima ipotesi e non anche quando si tratti di locali ad uso promiscuo. Tale ultima destinazione ricorre non soltanto nel caso in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi».
Ciò detto, la Suprema Corte ha osservato che la CTR della Liguria non si è attenuta al granitico principio di diritto sopra esposto, che evidentemente esclude la necessità di verificare se nella richiesta avanzata al Procuratore della Repubblica e nel provvedimento autorizzativo, risultassero effettivamente indicati i gravi indizi di violazioni fiscali.
Per tali ragioni, la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio al giudice di appello per un esame delle questioni rimaste assorbite.