Accesso alla composizione negoziata in pendenza di un piano di concordato preventivo non eseguito
di Fabio GiommoniUna società che si trova in situazione di crisi, in quanto non riesce ad eseguire un piano di concordato preventivo omologato, può accedere alla composizione negoziata della crisi di impresa (“CNC”) e, nell’ambito di questa, può falcidiare ulteriormente i crediti concordatari mediante un accordo di ristrutturazione dei debiti (“ADR”)?
La questione è stata affrontata dal Tribunale di Pistoia e da quello di Ravenna, i quali sono giunti a conclusioni opposte, anche se è possibile individuare una soluzione unitaria, che è quella di ritenere ammissibile l’accesso alla CNC da parte di una società che non ha eseguito un piano di concordato preventivo omologato; semmai, si discute sui possibili esiti della CNC in tale circostanza.
La prima pronuncia, in ordine di tempo, è l’ordinanza del 29 febbraio 2024 del Tribunale di Pistoia, la quale si è espressa in merito alla conferma delle misure protettive per una società che aveva presentato nel 2018 una proposta di concordato preventivo in continuità, poi omologato con decreto del Tribunale di Pistoia del 10 luglio 2019 (e passato in giudicato in data 14 febbraio 2020, a seguito di opposizione promossa da un creditore).
Il piano prevedeva la prosecuzione dell’esercizio dell’attività d’impresa e la soddisfazione dei creditori, entro 60 mesi dalla definitività del decreto di omologa, mediante i flussi di cassa generati dalla continuità e dal prezzo di cessione dell’azienda risanata. Tuttavia, soprattutto a causa dello scoppio della pandemia di Covid-19 nel 2020, la società non era riuscita a realizzare i risultati reddituali sperati e, quindi, non solo non aveva effettuato i pagamenti previsti dei debiti concordatari, ma aveva anche generato ulteriore indebitamento.
Al fine di superare tale fase di crisi, il 21 dicembre 2023 la società aveva depositato presso la piattaforma telematica della CCIAA di Prato-Pistoia l’istanza di nomina dell’esperto per la composizione negoziata e tempestivamente aveva presentato la richiesta di misure protettive.
Il progetto di piano depositato in sede di domanda per l’accesso alla CNC si basava sulla presentazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa, ai sensi dell’articolo 61, D.Lgs. 14/2019 (“Codice”), mediante la suddivisione in categorie omogenee dei creditori “concordatari” e di quelli “della continuità”, intendendo i primi come coloro che vantavano ragioni di credito in seno alla proposta concordataria e i secondi come i creditori successivi.
In sede di conferma delle misure protettive, al di là delle valutazioni circa la fattibilità economica del piano presentato dalla società ricorrente (che effettivamente presentava delle criticità), il Tribunale di Pistoia ha evidenziato che, ferma la possibilità di eventuali rinegoziazioni/rinunce di singoli creditori, deve ritenersi giuridicamente non consentito l’accesso ad una seconda procedura concorsuale che si sovrapponga, in gran parte sostituendosi, alla prima. La proposta di concordato, una volta approvata dai creditori e cristallizzata con l’omologa, vincola il debitore e tutti i creditori con la forza del giudicato e non può essere modificata. L’obbligo del debitore di dare esecuzione al concordato preventivo, rafforzato nel Codice dall’ampliamento dei poteri esecutivi del commissario giudiziale (articolo 118, Codice), è incompatibile con l’accesso ad una nuova procedura concorsuale, al fine di modificare (o, in ipotesi, di far venire radicalmente meno) gli obblighi in precedenza assunti.
La giurisprudenza (tra le tante, Cassazione n. 29632/2017, SS.UU. n. 4696/2022 e Cassazione n. 43/2023) è granitica nell’affermare che il debitore è vincolato all’attuazione degli obblighi assunti con la proposta omologata e deve indirizzare “il proprio agire al conseguimento degli obiettivi prefigurati nella proposta presentata ed approvata dai creditori”. Il debitore, pertanto, può essere ritenuto insolvente in ragione della mancata esecuzione del patto concordatario.
Secondo il Tribunale di Pistoia, quindi, le obbligazioni assunte con il concordato preventivo omologato non possono essere in alcun modo modificate accedendo ad una seconda procedura concorsuale, perché ciò violerebbe il giudicato formatosi con l’omologa. La prospettiva di risanamento mediante l’ADR, ex articoli 57, 60 e 61, Codice, risulta, pertanto, giuridicamente non percorribile (e di conseguenza il Tribunale di Pistoia non ha confermato le misure protettive richieste in sede di accesso alla CNC).
La seconda pronuncia giurisprudenziale in tema è l’ordinanza del 25 ottobre 2024 del Tribunale di Ravenna, che, invece, ha confermato le misure protettive richieste con ricorso del 28 giugno 2024 in sede di accesso alla CNC da parte di una società in fase di esecuzione di un concordato preventivo in continuità aziendale omologato.
Rispetto alla proposta di concordato in continuità diretta della società istante, omologata con decreto del medesimo Tribunale di Ravenna del 29 maggio 2020, con la CNC si intendeva offrire una nuova soluzione ristrutturativa, comunque migliorativa rispetto allo scenario liquidatorio, basata sulla messa a disposizione dei creditori del cash flow generato dalla prosecuzione in continuità diretta di un ramo d’azienda non oggetto di cessione e dalla cessione in continuità di altro ramo aziendale, per il quale risultava già formalizzata e depositata in atti l’offerta di acquisto da parte di soggetto terzo.
Nell’occasione, il Tribunale di Ravenna ha preliminarmente osservato che l’accesso alla procedura di CNC, a valle dell’esecuzione inadempiuta di un concordato in continuità diretta, costituisce un’opzione lecita, in sé considerata, dal momento che non può predicarsi l’esaurimento, in capo alla debitrice che abbia ottenuto l’avallo omologatorio della proposta concordataria in continuità, del potere di rinegoziare ex post con i suoi diretti destinatari i termini di adempimento delle obbligazioni già oggetto di ristrutturazione concordataria, salvo ovviamente il diritto di questi ultimi di chiedere la risoluzione del concordato.
Nel caso di specie, per la verità, lo scostamento rispetto al piano di concordato inadempiuto era limitato, in quanto si prevedeva semplicemente la riduzione del perimetro della continuità “diretta” a favore di quella “indiretta”, mediante la cessione di un ramo d’azienda non originariamente ricompresa nel piano concordatario, sicché la modificazione prevista in seno alla CNC non appariva radicalmente disarmonica rispetto al piano omologato.
Tutto ciò ancorché la società istante si trovasse in situazione di obiettiva condizione di insolvenza, risultando oggettivamente inadempiuto l’accordo concordatario, ma vi era pure evidenza di un andamento economico dell’impresa caratterizzato da sostanziale equilibrio economico-finanziario, cui si accompagnava il dato relativo all’insussistenza di iniziative risolutorie del concordato.
Sicché, pur in presenza di stato di insolvenza, il Tribunale rilevava la concreta possibilità di addivenire al risanamento dell’impresa, quantomeno relativamente alla più consistente delle sue articolazioni aziendali, e così offrire ai creditori un trattamento, pur falcidiato, ma migliorativo rispetto all’alternativa liquidatoria.
Inoltre, il Tribunale di Ravenna non ha ravvisato ostacoli ad addivenire a tale risanamento attraverso una ulteriore ristrutturazione dei debiti, con previsione in seno alla CNC di una maggiore falcidia imposta ai crediti già ristrutturati in seno al concordato e, fra gli esiti possibili della composizione, si indicava espressamente l’accordo di ristrutturazione del debito, anche ad efficacia estesa, con la correlativa possibilità di pagamenti parziali a favore dei creditori aderenti (e anche non aderenti, alle condizioni ex articolo 61, Codice), con ciò ritenendo irrilevante la pregressa ristrutturazione concordataria già definitivamente consolidatesi.
In conclusione, entrambi i tribunali hanno ritenuto ammissibile l’accesso alla CNC da parte di una società in situazione di crisi a seguito di mancato adempimento di un piano omologato di concordato preventivo in continuità diretta, non ritenendo di ostacolo la situazione di insolvenza, anche pregressa, evidentemente non superata dall’implementazione del piano concordatario. Peraltro, la possibilità di accedere alla CNC da parte di impresa insolvente risulta espressamente confermata a seguito delle modifiche apportate all’articolo 12, comma 1, Codice, dal D.Lgs. 136/2024 (“Correttivo-ter”).
I due citati tribunali sono, quindi, d’accordo sulla possibilità che il debito concordatario (nonché quello di continuità sorto in sede di esecuzione del piano di concordato) possa essere ristrutturato mediante accordi “puramente” negoziali sottoscritti con i singoli creditori e, dunque, con esito della CNC mediante le soluzioni di cui al comma 1 dell’articolo 23, Codice (contratto con i creditori, convenzione di moratoria, accordo con i creditori) oppure mediante un accordo in esecuzione di un piano di attestato risanamento ex articolo 56, Codice.
Invece, i due tribunali non concordano affatto sulla possibilità di ristrutturare i debiti concordatari mediante altri strumenti di tipo “giudiziale”, quali l’accordo di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa.
In particolare, il Tribunale di Pistoia ritiene che l’omologa di un ADR ad efficacia estesa si ponga come una successiva “procedura concorsuale”, rispetto al concordato omologato, e per questo vada a modificare il precedente giudicato, eventualità ritenuta inammissibile.
In realtà, pur non potendo certo in questa sede approfondire la dibattuta natura dell’ADR, si può osservare che l’accordo di ristrutturazione dei debiti ha una preponderante componente negoziale, rispetto al concordato preventivo, che è una procedura concorsuale a tutti gli effetti, per cui non si vede perché, a fronte della fattibilità del piano, dell’accordo sottoscritto con la maggioranza dei creditori aderenti e di tutte le tutele assicurate dalla legge ai creditori non aderenti, non si possa addivenire alla ristrutturazione di un debito concordatario mediante un ADR, in particolare quando ciò sia evidentemente migliorativo rispetto ad una prospettiva di liquidazione giudiziale.
Deve, dunque, ritenersi preferibile l’impostazione assunta dal Tribunale di Ravenna circa la possibilità di ristrutturate un debito concordatario in esito alla CNC mediante l’omologa di un ADR, anche nella versione ad efficacia estesa.





