11 Marzo 2019

Acquisizione dati informatici e segreto professionale

di Marco Bargagli
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Nell’ambito di una verifica fiscale, eseguita nei confronti di un’impresa o di un professionista, è concessa la possibilità di acquisire tutta la contabilità del soggetto verificato la cui istituzione e conservazione è resa obbligatoria per Legge.

Per espressa disposizione normativa, l’acquisizione contabile può anche riguardare una serie di dati e notizie di natura extracontabile, anche se conservati su supporti informatici.

Infatti l’articolo 52, comma 4, D.P.R. 633/1972 prevede che l’ispezione documentale si estende a tutti i libri, registri, documenti e scritture, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie, che si trovano nei locali in cui l’accesso viene eseguito, o che sono comunque accessibili tramite apparecchiature informatiche installate in detti luoghi.

In merito, il Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza ha confermato la possibilità di procedere all’acquisizione di documentazione informatica fornendo, nel contempo, precise indicazioni operative (cfr. volume II – parte III – capitolo 2 “Poteri esercitabili”, pag. 27 e ss.).

In particolare, sarà possibile effettuare:

  • l’acquisizione dell’intero contenuto di un supporto di memorizzazione, prelevandone una “copia immagine”. La necessità di procedere in questo senso può ricorrere, ad esempio, nel caso in cui si sospetti fondatamente che il contribuente abbia cancellato un file di interesse e che esista una traccia “latente” di questa operazione all’interno del dispositivo fisico (es. pen drive, hard-disk, ecc.);
  • l’estrazione di mirate informazioni digitali, ove l’interesse degli operanti risulti circoscritto a particolari contenuti informatici specificamente individuabili.

Ciò premesso, in sede di apertura della verifica è sempre necessario valutare, in relazione agli obiettivi dell’intervento e alle circostanze del caso concreto, l’opportunità di procedere a ricerche finalizzate all’acquisizione di:

  • supporti informatici fisici (cd, dvd, hard-disk esterni, chiavi usb, ecc.);
  • dati presenti nell’hard-disk dell’elaboratore, mediante trasferimento su altro supporto informatico esterno (c.d. copia forense).

Per quanto riguarda le comunicazioni via e-mail, intercorse fra l’operatore ispezionato e soggetti terzi, ovvero fra articolazioni interne della stessa struttura imprenditoriale, occorre tenere presente le particolari disposizioni previste per l’acquisizione e l’esame di documentazione contenuta in plichi sigillati, o per la quale è opposto il segreto professionale, adattate alle prescrizioni dettate in tema di fatturazione e conservazione dei documenti in forma elettronica.

Per effetto delle richiamate previsioni, le comunicazioni inviate via e-mail già “aperte” e visionate dal destinatario sono direttamente acquisibili dai verificatori, mentre quelle non ancora lette o per le quali è eccepito il segreto professionale possono essere acquisite sulla base di un provvedimento di autorizzazione emesso dall’Autorità Giudiziaria (ex articolo 52, comma 3, D.P.R. 633/1972).

Con particolare riferimento alla possibilità di acquisire i dati informatici è recentemente intervenuta la suprema Corte di cassazione, sezione V civile, con l’ordinanza n. 6486 del 06.03.2019, nella quale è stato chiarito che per acquisire i dati extracontabili contenuti nel computer di un professionista sottoposto a verifica fiscale non è necessaria l’autorizzazione del magistrato qualora, al momento dell’estrazione dei dati, il personale dello studio che ha assistito i verificatori non si è espressamente opposto, risultando del tutto irrilevante la circostanza che il soggetto interessato non fosse presente al momento dell’avvio del controllo tributario.

In esito a una verifica fiscale eseguita dalla Guardia di Finanza, i cui contenuti erano stati trasfusi in apposito processo verbale di constatazione, il contribuente aveva:

  • eccepito l’illegittima acquisizione dei dati estratti dall’hard disk del computer rinvenuto presso l’abitazione di un medico esercente l’attività professionale di odontoiatra, riguardanti le radiografie effettuate nei confronti di vari clienti;
  • sottolineato che il segreto professionale non era stato eccepito, in quanto il professionista risultava assente al momento dell’avvio delle operazioni di verifica, avendo successivamente avuto notizia che era stata acquisita da parte dei verificatori copia dell’hard disk del suo computer.

A parere degli ermellini, che hanno respinto il ricorso del contribuente, “non è contestata in fatto la statuizione della CTR secondo cui il segreto professionale non fu opposto dal contribuente e ciò, di per sé, induce a ritenere legittima l’estrazione della copia dell’hard disk del computer del contribuente pur in assenza della specifica autorizzazione di cui al comma 3 dell’articolo 52 del D.P.R. n. 633/1972”.

Inoltre, come si legge in sentenza, giova osservare che le garanzie difensive, anche in relazione a quanto previsto dall’articolo 12 L. 212/2000, non richiedono la necessaria presenza della parte e che, in ogni caso, anche quando il contribuente, in occasione della notifica del processo verbale di constatazione assume di avere avuto conoscenza di detta acquisizione, alcuna contestazione fu in quella sede sollevata. Lo stesso ricorrente ha d’altronde implicitamente ammesso che, nel procedere a detta operazione di back up dei dati archiviati nell’hard disk del computer di studio, i militari della Guardia di Finanza si siano avvalsi della collaborazione del personale di studio presente, sicché anche sotto questo profilo è da escludere che detta operazione sia equiparabile ad apertura coattiva dei contenitori indicati nel comma 3 dell’articolo 52 del D.P.R. n. 633/1972, che necessita dell’autorizzazione ivi prescritta”.

In definitiva, a parere della suprema Corte, vale il principio secondo cui in materia tributaria, le irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento non comportano, di per sé e in assenza di specifica previsione, la loro inutilizzabilità, salva solo l’ipotesi in cui “venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale”, essendosi in proposito rilevato che l’accesso domiciliare era stato debitamente autorizzato.

Preso atto dell’approccio ermeneutico espresso in apicibus, rimangono alcune perplessità in ordine al fatto che, al momento dell’accesso, il professionista era assente dal locale verifica, motivo per cui non ha potuto immediatamente valutare se eccepire o meno il segreto professionale.

Sul punto, infatti, per garantire al meglio la difesa di una particolare categoria di contribuenti che, per ragioni connesse al loro incarico, sono depositari di dati e notizie riguardanti terzi soggetti, il legislatore ha previsto particolari disposizioni, come di seguito indicato:

  • articolo 52, comma 1, D.P.R. 633/1972: “… per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione, è necessaria anche l’autorizzazione del procuratore della Repubblica. In ogni caso, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti o professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato”;
  • articolo 52, comma 3, D.P.R. 633/1972: “È in ogni caso necessaria l’autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l’accesso a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale ferma restando la norma di cui all’articolo 103 del codice di procedura penale”.

Nel caso esaminato dai giudici di piazza Cavour da un lato era stata richiesta la prescritta autorizzazione, necessaria ad accedere nei locali professionali adibiti anche ad abitazione, dall’altro, l’accesso era stato eseguito in assenza del titolare dello studio.

In merito, si ritiene dirimente il fatto che ai collaboratori dello studio, che hanno assistito i verificatori nel corso delle operazioni ispettive, fosse stata rilasciata formale delega da parte del professionista.

Infatti, la medesima delega rilasciata dal titolare dello studio non può ridursi ad una mera rappresentanza formale in atti, ma deve consistere in una vera e propria attribuzione sostitutiva della presenza del titolare per assistere alle operazioni di accesso; solo un atto avente tali caratteristiche abilita, infatti, il delegato anche all’eventuale opposizione del segreto professionale, ai sensi dell’articolo 52, comma 3, D.P.R. 633/1972 (Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza, volume II – parte III – capitolo 2 “Poteri esercitabili”, pag. 14).

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