Acquisto di partecipazioni e indennizzo da clausole di garanzia
di Fabio LanduzziNei contratti di compravendita di partecipazioni societarie è prassi diffusa la presenza di “clausole di garanzia” anche note con il termine anglosassone di “representions & warranties”; con esse il cedente assicura e garantisce all’acquirente la sussistenza di determinate caratteristiche e la consistenza delle componenti del patrimonio della società le cui partecipazioni sono trasferite.
Alle clausole di garanzia è di norma collegata la clausola di indennizzo con cui le parti regolano la gestione e la soluzione delle circostanze in cui si possono innescare, appunto, le previsioni delle clausole di garanzia.
Si è soliti distinguere almeno due grandi tipologie di garanzie:
- quelle legali, le quali si riferiscono di norma alla stessa partecipazione (ad es. la titolarità della loro proprietà, l’assenza di pesi o vincoli al trasferimento, ecc.) oppure allo stato giuridico della società le cui partecipazioni sono cedute;
- quelle patrimoniali (c.d. “business warranties”) che riguardano invece il patrimonio della società ceduta, come ad esempio: la composizione del patrimonio sociale, l’assenza di passività inespresse, l’adempimento regolare alle pregresse obbligazioni tributarie, giuslavoristiche, contrattuali, ecc., e quindi la garanzia rispetto ad eventuali sopravvenienze passive che dovessero emergere successivamente al trasferimento, ma derivanti da fatti e circostanze riferibili ad un periodo anteriore.
La funzione delle clausole di garanzia e della clausola di indennizzo è in sostanza quella di tenere indenne l’acquirente dagli effetti pregiudizievoli di eventuali sopravvenienze passive, minusvalenze, insussistenze dell’attivo, ecc. e quindi indennizzarla per ogni danno o perdita che dovessero essere subiti, e che non si sarebbero verificati laddove la rappresentazione dei fatti e le dichiarazioni rese dal cedente all’atto della compravendita fossero state corrispondenti alla realtà.
Venendo agli aspetti fiscali relativi all’innesco delle clausole di garanzie e quindi alla liquidazione dell’indennizzo, in dottrina è sostenuta la tesi secondo la quale, a prescindere dalla qualificazione giuridica o negoziale di queste clausole, le somme che il cedente dovesse corrispondere all’acquirente a titolo di indennizzo rappresenterebbero una sorta di rideterminazione a posteriori del valore economico della società ceduta; in altri termini, la sostanza economica di queste clausole sarebbe quella di ristabilire, a seguito di un sopravvenuto evento negativo, una corrispondenza tra il valore economico-patrimoniale della società ceduta ed il prezzo corrisposto dall’acquirente.
Seguendo questo orientamento, le somme in oggetto sarebbero collegate al prezzo originariamente corrisposto, sicché assumerebbero la natura di aggiustamenti o “differenze di prezzo”, sia sotto il profilo contabile che sotto quello fiscale.
La Cassazione, nella sentenza n. 17011 del 13.08.2020, aveva fornito una diversa prospettazione.
Si trattava del caso di un soggetto Ias Adopter (ma questo non fa differenza) che, dopo avere acquisito le partecipazioni in una società poi fusa, a seguito della definizione di un avviso di accertamento relativo ad un anno precedente all’acquisto delle partecipazioni, ed averne quindi sostenuto, in prima battuta, il relativo costo (fiscalmente non deducibile) aveva azionato la clausola di garanzia prevista nel contratto di acquisto ed aveva ottenuto dal venditore il pagamento di una somma a titolo di parziale indennizzo.
La società lo aveva qualificato come una posta di natura patrimoniale, mentre a conto economico era stata rilevata solo la sopravvenienza passiva non coperta dall’indennizzo.
Fiscalmente, secondo la società, l’indennizzo non doveva quindi concorrere alla formazione del reddito imponibile.
La Cassazione non è invece stata d’accordo e, tra le motivazioni della sentenza, vi è che nel caso di specie non si sarebbe dinanzi ad una clausola di aggiustamento del prezzo, bensì a una clausola di garanzia o di manleva con cui il venditore si assumerebbe uno specifico impegno verso l’acquirente delle partecipazioni: ossia, reintegrare le passività sopravvenute e riferite alla precedente gestione della società acquisita.
Perciò, una clausola che avrebbe una funzione di tipo “assicurativo” così che “l’obbligazione che ne deriva a carico del cedente è finalizzata a tenere il cessionario indenne degli effetti pregiudizievoli sulla consistenza patrimoniale della società derivanti dal fatto predeterminato” con l’effetto che: la sopravvenienza passiva di natura tributaria sarebbe comunque non deducibile, mentre l’indennizzo ricevuto concorrerebbe alla formazione del reddito imponibile dell’acquirente in quanto sopravvenienza attiva ex articolo 88, comma 3, Tuir.
La tesi esposta nella citata sentenza non può assurgere però a soluzione definitiva e assoluta di questa complessa fattispecie.
Ne è prova anche la diversa soluzione a cui giunge la stessa Amministrazione Finanziaria nella risposta all’istanza di interpello n. 956-2412/2021, nella quale, accedendo ai principi che erano stati in precedente affermati dalla Cassazione nella sentenza n. 16963/2014, avalla la tesi della natura patrimoniale dell’indennizzo, quale rettifica di prezzo e quindi riduzione del costo di acquisto della partecipazione, escludendone la qualificazione a sopravvenienza attiva.
La risposta ha invece ritenuto, destando però perplessità, che la somma in questione sarebbe tuttavia soggetta ad Irap per via del principio della presa diretta dal conto economico, sebbene questa soluzione appaia assai distorsiva della natura economica, oltre che giuridico-formale, della somma stessa.
La fattispecie ha certamente un’elevata complessità tecnica, e richiama anche le parti del contratto ad una attenta formulazione degli accordi e delle clausole di garanzia e di indennizzo, al fine di agevolare una migliore qualificazione alla radice delle somme che dovessero essere corrisposte.