Acquisto simulato del fabbricato del marito: scatta il reato di sottrazione fraudolenta
di Lucia Recchioni - Comitato Scientifico Master Breve 365Condannata per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte anche la moglie dell’imprenditore che, nell’ambito di una vendita simulata, ha acquistato l’immobile del marito.
A queste conclusioni è giunta la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23176 depositata ieri, 30 luglio.
Il caso riguardava il titolare di una ditta individuale che, al fine di evadere le imposte sui redditi e l’Iva, si avvaleva di fatture per operazioni inesistenti e presentava tardivamente (oltre i previsti novanta giorni) la dichiarazione Iva e la dichiarazione dei redditi.
Inoltre, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte alienava simulatamente alla moglie un appartamento con garage, unico bene a lui intestato, rendendo, di conseguenza, la procedura di riscossione coattiva inefficace.
L’imprenditore veniva quindi condannato per il reato di omessa dichiarazione (articolo 5 D.Lgs. 74/2000) e, unitamente alla moglie, per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (articolo 11 D.Lgs. 74/2000).
Alla moglie, tra l’altro, veniva negata la fissazione della pena-base nella misura minima, in considerazione del valore non irrisorio delle imposte dovute dal coniuge.
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce presentavano ricorso sia l’imprenditore che la moglie, coimputata.
Nello specifico, la moglie evidenziava la mancata motivazione in ordine all’elemento psicologico del reato, posto che la Corte d’appello si era semplicemente limitata ad individuare le ragioni per le quali l’imprenditore avrebbe avuto interesse a vendere, senza invece approfondire la posizione della moglie, colpevole soltanto di aver acquistato un immobile del coniuge.
La Corte di Cassazione qualifica il ricorso inammissibile, essendo stata adeguatamente dimostrata la fittizietà dell’operazione, la quale si era conclusa con l’emissione, da parte della moglie acquirente, di un assegno privo di provvista e mai posto all’incasso da parte del marito-venditore.
È stata quindi confermata la condanna della moglie a cinque mesi e dieci giorni di reclusione per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Altro aspetto di interesse, analizzato sempre nell’ambito della sentenza in esame, riguarda il rapporto tra il reato di omessa dichiarazione e quello di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti.
La Corte di Cassazione a tal proposito ricorda che le dichiarazioni presentate con un ritardo superiore a novanta giorni si considerano omesse; la presentazione della dichiarazione oltre il suddetto termine, quindi, può configurare il reato di omessa dichiarazione di cui all’articolo 5 D.Lgs. 74/2000.
Nel caso in cui in dichiarazione siano esposti elementi passivi derivanti dall’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti non si configura invece il reato di cui all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti): la dichiarazione presentata oltre i novanta giorni, infatti, non può avere nessuna conseguenza penale, anche in considerazione delle previsioni di cui all’articolo 2, comma 7, D.P.R. 322/1998 che limita gli effetti della dichiarazione presentata oltre i termini a quelli “favorevoli” all’Amministrazione finanziaria.
La disposizione da ultimo citata, infatti, prevede, come noto, che “Le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a novanta giorni si considerano omesse, ma costituiscono, comunque, titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta”.