Agriturismo ed enoturismo alla ricerca di un’equa tassazione
di Luigi ScappiniSenza ombra di dubbio, la forma societaria più utilizzata nel comparto primario è quella della società semplice. Le motivazioni di tale scelta vanno individuate principalmente nel regime fiscale previsto per l’imposizione diretta che, al rispetto dei limiti posti dall’articolo 32, Tuir, consiste in un’astrazione reddituale, in quanto l’imponibile è rappresentato dal reddito agrario, ovverosia “dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio di attività agricole su di esso.”.
Tale modalità impositiva, tuttavia, come ben noto, si limita alle sole attività agricole c.d. principali, ovverosia coltivazione del fondo, selvicoltura e allevamento di animali, nonché alle c.d. attività connesse di prodotto.
Per tutte le altre attività esercitabili da parte dell’imprenditore agricolo, il Legislatore ha previsto, nell’impossibilità “logica” di agganciare la redditualità di una prestazione di servizi a un reddito fondiario, un regime comunque specifico, che trova le proprie fonti primarie nella normativa relativa al reddito di impresa (articolo 56-bis, Tuir) e in normativa secondaria.
Tra le attività consistenti nell’erogazione di servizi, sicuramente spicca l’attività agrituristica e, più di recente, quella enoturistica.
L’attività agrituristica rientra, a pieno titolo, tra le c.d. attività tipizzate, ovverosia quelle previste dall’articolo 2135, cod. civ., il cui comma 3, nella seconda parte, ricomprende le “attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.
Da un punto di vista normativo, l’attività di ricezione e ospitalità, più comunemente rispondente al nome di agriturismo, ha trovato una propria normazione generale nella L. 730/1985, successivamente sostituita con la c.d. Legge quadro per l’agriturismo (L. 96/2006), mentre da un punto fiscale l’attuale norma di riferimento è l’articolo 5, L. 413/1991, che regola gli aspetti legati sia all’imposizione diretta sia all’imposizione indiretta.
L’articolo 5, L. 413/1991, per quanto riguarda l’imposizione diretta, introduce un regime forfettizzato di determinazione del reddito imponibile consistente nel 25% dell’ammontare dei ricavi conseguiti con l’esercizio di tale attività, al netto dell’Iva. Tale regime, tuttavia, per espressa previsione normativa non si rende applicabile ai “soggetti, … indicati alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 87” che, da un punto di vista civilistico, possono comunque svolgere l’attività.
Si viene, quindi, a creare una doppia modalità impositiva, entrambe sotto il “cappello” del reddito di impresa: una tassazione forfettizzata e una “classica” analitica ricavi meno costi.
Con l’introduzione dell’enoturismo, e successivamente dell’oleoturismo, il Legislatore ha ricondotto, fermo restando la possibilità di esercitare tali attività anche da parte di società di capitali, il regime impositivo a quello previsto per l’agriturismo e, quindi, all’articolo 5, L. 413/1991, con le limitazioni testé evidenziate.
Per le attività dirette alla fornitura di servizi, di cui all’articolo 2135, comma 3, cod. civ., il Legislatore, come detto, con decorrenza dall’ 1.1.2004, ha introdotto, a mezzo dell’articolo 2, comma 6, lettera b), L. 350/2003, l’articolo 56-bis nel Tuir, prevedendo una tassazione forfettizzata applicando “all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, conseguiti con tali attività, il coefficiente di redditività del 25 per cento.”.
A ben vedere trattasi della medesima modalità di tassazione prevista per le attività agrituristiche ed enoturistiche dall’articolo 5, L. 413/1991, trattandosi, in entrambi i casi, di prestazioni di servizio rese nel rispetto dei criteri individuati dal dato civilistico.
A seguito dell’attuazione delle linee di indirizzo della c.d. Riforma fiscale in fase di attuazione, individuate nella L. 111/2023, il Legislatore interviene sulle regole impositive previste per alcune attività agricole principali eccedenti i limiti previsti dall’articolo 32, Tuir (coltivazione in serra), per le attività connesse di prodotto aventi a oggetto beni non ricompresi nel Decreto ministeriale previsto dal comma 2, lettera c) dell’articolo 32, Tuir (l’ultimo risale al 13.2.2015) nonché per le prestazioni di servizi, estendendo di fatto l’applicazione dell’articolo 56-bis, Tuir, a tutti i soggetti operanti nel comparto primario, possibilità prima espressamente inibita dal comma 4 “ai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a), b) e d), nonché alle società in nome collettivo ed in accomandita semplice.”.
Ecco che, allora, si viene a creare una differenza di trattamento all’interno delle prestazioni di servizio in quanto, ad esempio, per una Srl società agricola che svolge attività agrituristica o enoturistica, non è possibile poter fruire di una tassazione forfettizzata in quanto norma di riferimento è l’articolo 5, L. 413/1991, che non è interessato dalla Riforma.
Al contrario, la stessa società se eroga una prestazione di servizi potrà a pieno titolo accedere a tale regime che diventa, per effetto delle modifiche all’articolo 56-bis, Tuir, il regime naturale.
Sarebbe necessario allineare i regimi impositivi attraverso una modifica dell’articolo 5, comma 1, L. 413/1991, o, in alternativa, una riconduzione delle attività agrituristiche ed enoturistiche, per quanto riguarda la disciplina fiscale relativa alle imposte dirette, al regime generalizzato delle prestazioni di servizio di cui all’articolo 56-bis, Tuir.