Ai fini dell’imposta di registro non è cessione d’azienda il trasferimento delle quote in più atti negoziali
di Angelo GinexIn tema di imposta di registro, è illegittimo l’avviso di liquidazione per imposta proporzionale di registro conseguente a riqualificazione giuridica ex articolo 20 D.P.R. 131/1986, in termini di cessione d’azienda, del trasferimento delle quote di una s.r.l. in più atti negoziali, separati fra loro ma collegati in un’unica operazione commerciale, anche se posti in essere prima del 1° gennaio 2018, trovando applicazione retroattiva, fermi i rapporti già esauriti o coperti dal giudicato, gli articoli 1, comma 87, lett. a), L. 205/2017 (cd. Legge di bilancio 2018) e 1, comma 1084, L. 145/2018 (Legge di bilancio 2019), i quali ne hanno limitato la riqualificazione al solo atto presentato alla registrazione, e non anche agli atti a questo esterno ed asseritamente collegati.
È questo l’interessante principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 25071, depositata ieri 16 settembre.
La fattispecie sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità trae origine dalla notifica di un avviso di liquidazione per imposta proporzionale di registro in seguito alla riqualificazione giuridica ai sensi dell’articolo 20 D.P.R. 131/1986, in termini di cessione di azienda, di un’operazione di trasferimento delle quote posta in essere da una s.r.l. in più atti negoziali, che, seppur separati tra di loro, venivano ritenuti dall’Amministrazione finanziaria collegati in un’unica operazione commerciale.
Nei gradi di merito, la società contribuente risultava parte soccombente. In particolare, la Commissione regionale della Lombardia, confermando la decisione dei giudici di prime cure, affermava che la riqualificazione fosse legittima dal momento che, per quanto articolata mediante plurimi atti negoziali, l’operazione in esame doveva ritenersi sostanzialmente unitaria e con oggetto la cessione dei rami aziendali a favore della s.r.l. in veste di cessionaria finale delle quote.
La società proponeva pertanto ricorso in Cassazione deducendo, tra gli altri motivi, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 20 D.P.R. 131/1986, in quanto tale norma consentirebbe all’Amministrazione finanziaria di riqualificare il solo atto presentato alla registrazione, e non anche gli atti a questo esterni ed asseritamente collegati. Affermava inoltre che l’ordinamento tributario escluderebbe espressamente che operazioni quali quella in esame possano concretare abuso del diritto perché finalizzate al mero risparmio fiscale, in ossequio all’articolo 176, comma 3, D.P.R. 917/1986.
Infine, secondo la ricorrente, la violazione della norma era da ravvisare anche nel fatto che si trattasse di operazione rispondente a reali esigenze di riorganizzazione aziendale attraverso atti che si mantenevano soggettivamente, oggettivamente e finalisticamente distinti ed autonomi.
Ebbene, la Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso proposto dalla contribuente, ha richiamato la sancita retroattività delle riforme sul testo unico dell’imposta di registro apportate dalle leggi di bilancio 2018 e 2019 ed in particolare all’articolo 20 D.P.R. 131/1986, applicabile nella nuova formulazione anche agli atti negoziali posti in essere (come quello dedotto nel giudizio di cui alla pronuncia in esame) prima del 1° gennaio 2018 (cfr., Corte Cost. sent. 17.3.2021, n. 39).
In virtù di ciò, quindi, è stata esclusa la legittimità del ricorso all’istituto di cui all’articolo 20 D.P.R. 131/1986, avendo, l’amministrazione finanziaria, fondato l’impugnato avviso di liquidazione sull’asserito collegamento negoziale dei plurimi atti posti in essere dalla società e non proceduto alla mera riqualificazione “per intrinseco” del solo atto presentato per la registrazione.
Quanto poi alla rilevata possibilità di poter-dover comunque far valere la pretesa impositiva per “comportamento chiaramente abusivo”, i giudici di legittimità hanno osservato che l’azione accertativa intrapresa dal Fisco si è basata su una determinata riqualificazione giuridica unitaria dell’operazione nel suo complesso (considerando, quale elemento essenziale e distintivo, la concatenazione degli atti negoziali) a prescindere da qualsivoglia connotato abusivo e di elusività; connotati che già la pregressa giurisprudenza di legittimità in materia prevalentemente riteneva, del resto, del tutto estranei alla struttura ed alla ratio del citato articolo 20, posto a base della maggiore liquidazione.
Inoltre, è stato evidenziato che, ad ogni buon conto, non sono state applicate una serie di garanzie sostanziali e procedurali da parte dell’Amministrazione finanziaria che la connotazione di abuso del diritto richiederebbe, motivo per cui non è stata accolta neanche l’eccezione sulla rilevanza ex articolo 10-bis L. 212/2000 del collegamento negoziale.
Sulla base delle suesposte argomentazioni, la Suprema Corte ha pertanto cassato la sentenza impugnata, decidendo nel merito con accoglimento del ricorso originario della contribuente ed annullamento dell’atto impositivo impugnato.