Ai fini Irap non rileva l’entità dei compensi percepiti dall’avvocato
di Luigi FerrajoliCon la sentenza n. 16406 del 05.08.2015 la Corte di Cassazione si è nuovamente espressa sul tema dell’assoggettabilità dei professionisti all’Irap.
Nella fattispecie in esame un avvocato si era visto negare il diritto al rimborso dell’IRAP versata per l’anno 2001 ed aveva proposto ricorso avverso il provvedimento di diniego emesso dall’Agenzia delle Entrate; il giudice d’appello, confermando la sentenza di rigetto di primo grado, aveva ritenuto che il professionista non avesse dimostrato l’assenza di autonoma organizzazione, non avendo, in particolare, giustificato “in modo esaustivo le poste relative all’entità dei compensi indicati nel quadro RE5 …, ai compensi erogati a terzi …, ai costi inerenti l’attività esercitata … oltre le spese alberghiere e di rappresentanza indicate in dichiarazione“.
L’avvocato ha proposto ricorso per cassazione, denunciando in primo luogo la violazione dell’art.112 c.p.c. e dell’art.2909 cod.civ., avendo il giudice d’appello omesso di pronunciare (o rigettato implicitamente) l’eccezione di giudicato esterno sollevata in relazione ad altra sentenza della CTP di Roma, passata in giudicato, che aveva riconosciuto il diritto al rimborso dell’IRAP per annualità diverse, nonostante l’identità della situazione di fatto.
Inoltre, il professionista ha censurato la sentenza di secondo grado per insufficienza e contraddittorietà della motivazione e per violazione degli artt.2 e 3 D.Lgs. n.446/97 contestando, nello specifico, che il giudice di merito aveva ritenuto sussistente il presupposto dell’autonoma organizzazione senza considerare l’irrilevanza, a tal fine, dell’entità dei compensi professionali percepiti, e che, in base alle risultanze documentali:
- i compensi erogati a terzi, peraltro di esiguo importo, non costituivano costi per prestazioni di lavoro dipendente bensì remunerazioni per consulenze;
- il complessivo ulteriore importo indicato in L. 47.274.000 era costituito dal valore dei beni strumentali, pari a sole L. 1.811.000, e da spese varie (assicurazione professionale, abbonamenti a riviste, acquisto libri, ecc.) non riferibili all’acquisizione di beni idonei a configurare una struttura organizzativa autonoma.
La Cassazione ha respinto il primo motivo di ricorso, riprendendo il consolidato principio secondo cui “la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano contenuto ed entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene a quegli elementi che abbiano un valore “condizionante” inderogabile sulla disciplina degli altri elementi della fattispecie esaminata, con la conseguenza che la sentenza che risolva una situazione fattuale in uno specifico periodo d’imposta non può estendere i suoi effetti automaticamente ad altro, ancorchè siano coinvolti tratti storici comuni (da ult., Cass. n. 4832 del 2015 e precedenti ivi richiamati)”.
La Suprema Corte ha tuttavia accolto la seconda censura sollevata dal ricorrente ritenendo non adeguatamente motivata la sentenza di secondo grado nella parte in cui aveva ritenuto il ricorrente soggetto passivo dell’imposta.
I Giudici di legittimità hanno motivato la decisione sulla base del consolidato orientamento secondo cui il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:
- sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
- impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, o si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Cass., SS.UU., sent. n.12111/09 e Cass. n.25311/14).
Infine, la Cassazione ha ribadito che ai fini dell’applicabilità o meno dell’Irap non rileva l’entità dei compensi percepiti dal contribuente, cioè dell’ammontare del reddito conseguito, ma rileva l’impiego non occasionale di lavoro altrui, che costituisce una delle possibili condizioni che rende configurabile un’autonoma organizzazione.
Tale requisito sussiste se il professionista eroga, non occasionalmente, elevati compensi a terzi per prestazioni afferenti l’esercizio della propria attività, restando indifferente il mezzo giuridico utilizzato (Cass. sent. n.22674/14).
Pertanto, secondo la Suprema Corte, si deve considerare soggetto passivo dell’imposta “chi si avvalga, nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo, di una struttura organizzata in un complesso di fattori che per numero, importanza e valore economico siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how, con la conseguenza che può essere escluso il presupposto di imposta quando il risultato economico trovi ragione esclusivamente nella autorganizzazione del professionista o, comunque, quando l’organizzazione da lui predisposta abbia incidenza marginale e non richieda necessità di coordinamento (Cass. nn. 30753 del 2011, 13326 del 2013)”.